Albano. Mons. Semeraro: con san Giuseppe guardiamo al Bambino e alla Madre

Albano. Mons. Semeraro: con san Giuseppe guardiamo al Bambino e alla Madre

1. Ho accolto subito e con piacere la proposta del vostro parroco, di celebrare la Santa Messa in questa chiesa parrocchiale dedicata a san Giuseppe, Sposo di Maria Vergine, oggi che è la sua festa. Ci vedete qui noi soli, don Angelo ed io davanti all’altare; soli e distanti l’uno dall’altro, per osservare le disposizioni ricevute. Quand’ero giovane, la festa di san Giuseppe era religiosamente festa di precetto ed era pure festa civile; poi questo è cambiato. Oggi, liturgicamente è una festa solenne, ma noi siamo tristi per l’emergenza che stiamo vivendo a causa del coronavirus.
Misuriamo la distanza gli uni dagli altri e in questa situazione risentiamo il bisogno della vicinanza, riscopriamo il valore del contatto, nutriamo il desiderio della famigliarità. Di questo, in tempi ordinari, avevamo forse un po’ dimenticato il valore, ma ora ne avvertiamo la mancanza; eravamo entusiasti delle mille occasioni offerteci dai contatti virtuali e adesso ci accorgiamo che non bastano… Gli stessi, però, ci permettono di avvicinare le lontananze, di non perderci di vista. Ciononostante ci sentiamo spaesati, frastornati, esiliati.
Esiliati. Ed ecco che la persona di san Giuseppe si risveglia nel mio animo proprio con questo carattere dell’esilio. «Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto» (Mt 2,13-14). Ricordo che nella sua «Vita di Gesù Cristo» l’abate G. Ricciotti descriveva questa fuga come un viaggio faticoso, notando che i soldati romani ritenevano quell’itinerario più pericoloso della stessa guerra.

2. Dai racconti evangelici sappiamo che Maria e Giuseppe «si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua» (Lc 2,41). Ci è lecito pensare che ogni volta abbiano portato con sé il Bambino. Due volte il vangelo ce lo riferisce esplicitamente (cf. Lc 2,22. 42).  Il Tempio era il luogo dell’offerta del sacrificio a Dio, il luogo della sua dimora. E la sinagoga è il luogo dello studio e della meditazione sulla Parola di Dio. A Nazaret – dove Gesù dimorò per circa trent’anni – c’era una sinagoga, che Gesù frequentava abitualmente e anche vi insegnava (cf. Mt 13,54; Mc 6,3; Lc 4,16). «Ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto», risponderà Gesù al Sommo Sacerdote (Gv 18,20).
Come dimora della Santa Famiglia in Egitto le tradizioni copte indicano delle grotte, oggi segnalate da santuari. Di certo, però, per tutto il tempo che rimase in Egitto la Santa Famiglia stette spaesata un po’ come noi… Ma noi non siamo in terra straniera; abbiamo, sì, delle difficoltà, ma non ci mancano le possibilità di avere dei contatti e stare al sicuro in casa. Anche per la preghiera abbiamo tanti aiuti… Sono davvero grato ai nostri parroci per quello che fanno aiutando le comunità a pregare insieme. Anche questa sera avremo la possibilità di essere simbolicamente uniti, alle ore 21, per la recita del Santo Rosario della B.V. Maria.
Gesù, Maria e Giuseppe furono in situazione ben più dolorosa di noi. E cosa fecero senza Tempio e senza sinagoga? Furono loro il tempio; anzi, Maria e Giuseppe avevano in Gesù il loro Tempio. Non lo ha detto egli stesso, di essere un tempio? «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», disse e l’evangelista annota: «parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,19-21). Domenica scorsa abbiamo ascoltato il vangelo della Samaritana. Ricordiamo quello che Gesù le disse: «Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità» (Gv 4,23-24). Sono giorni, questi, in cui questa parola del Signore possiamo meglio capirla. Come Maria e Giuseppe in Egitto, anche noi dobbiamo trovare in Gesù il nostro Tempio e in questo Tempio possiamo sempre abitare, anche quando ci è difficile poter uscire da casa per recarci in chiesa.

3. Per pregare, non è indispensabile recarsi in chiesa e in ore difficili potrebbe esserci pure chiesto di farne a meno. I «sacrifici» non si fanno, forse, rinunciando per qualche tempo a cose lecite e buone? Gesù ci ha detto: «Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore». Non ce lo ha detto per tenerci tranquilli, ma per farci avere la sua gioia. Una gioia piena (cf. Gv 15.9-11). Ha pure detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Sono cose che possiamo fare anche noi, in questi giorni: pregare in famiglia; osservare i comandamenti del Signore. Di comandamenti, anzi, ne basta uno che li riassume tutti. Gesù, infatti, ci ha pure detto: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). Preghiamo, amiamo, viviamo in carità…
Quando, poi, fu morto Erode, «un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele”» (Mt 2,19-20). Aspettiamo con fiducia anche noi questo annuncio. Questi giorni, intanto, viviamoli alla maniera di san Giuseppe. Come era già accaduto ai pastori di Betlemme, anche Giuseppe in Egitto vedeva «il bambino con Maria sua madre» (Mt 2,11). Oggi noi possiamo fare come lui: pregare la Santa Madre di Dio, essere uniti a Gesù nella carità. Con san Giuseppe guardiamo al Bambino e alla Madre di Dio. Mettiamoci dalla sua parte, imitiamolo.
Quest’anno ricorrerà il 150 anniversario della sua proclamazione a patrono della Chiesa universale. Quando il beato Pio IX prese questa decisione, nel Decreto che fu promulgato l’8 dicembre 1870 fece scrivere: «Quegli, che tanti re e profeti bramarono vedere, Giuseppe non solo Lo vide, ma con Lui ha dimorato e con paterno affetto L’ha abbracciato e baciato; e per di più ha nutrito accuratissimamente Colui che il popolo fedele avrebbe mangiato come pane disceso dal cielo, per conseguire la vita eterna». Ecco un modello di santità. Per intercessione di san Giuseppe, allora, chiediamo al Signore di potere anche noi riunirci, presto, tutti insieme e ritrovarci anche fisicamente raccolti attorno alla mensa eucaristica per nutrirci del pane disceso dal cielo, che è cibo di vita eterna. Amen.