Vaticano, 27 giugno 2019

Monsignor Marcello Semeraro.

Anticipazioni e promesse. La riflessione di mons. Semeraro per la VI Domenica di Pasqua

Dopo avere ascoltato il racconto del Vangelo (cf. Gv 14,15-21), vorrei chiamare questa la Domenica delle anticipazioni e delle promesse. Anticipa l’ascensione al cielo del Signore e il dono dello Spirito Santo: sono i misteri che celebreremo le due prossime domeniche. Con la scelta della lettura di questa pagina la Chiesa ci annuncia che la cinquantina pasquale va verso la conclusione, ossia il suo perfezionamento nel Dono, lo Spirito, nel quale sono inclusi tutti gli altri doni di Dio. C’è così la duplice promessa di Gesù: non ci lascia orfani e ci ottiene dal Padre un altro Paraclito. «Orfani». C’è chi conosce la tristezza di questa parola? Vuol dire sentirsi abbandonati, perché non si vede più la persona cara; essere privati prima del tempo di una presenza necessaria.

Anche Gesù ci è necessario. C’è una stupenda preghiera di san Paolo VI che dice: «Tu ci sei necessario, o Cristo, per vivere in comunione con Dio Padre, per conoscere il nostro essere e il nostro destino, per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini, per conoscere il senso della sofferenza, per liberarci dalla disperazione, per camminare nella gioia e nella forza della tua carità la nostra via faticosa» (cf. Omnia nobis est Christus. Lettera pastorale all’arcidiocesi [di Milano] per la Quaresima 1955). Ai suoi discepoli – ed a noi –, però, Gesù parla di un’altra presenza. Un altro Paraclito, dice.

Presso il Padre il primo nostro Paraclito è proprio Lui, «Gesù Cristo, il giusto» (1Gv 2,1). «Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi», grida san Paolo (Rm 8,34). Egli, allora, ci promette una vicinanza ancora più interiore e permanente e ce la indica nel Paraclito. È la prima volta che appare questa parola nel vangelo. Torna altre volte nel quarto vangelo, ma qui vuol dire anzitutto uno che ci sta più che vicino per soccorrerci, per aiutarci: «rimane presso di voi e sarà in voi» (v. 17). Non c’è, dunque alcun abbandono. Gesù non ci lascia soli. Quello che una volta disse a san Paolo apparendogli in visione, Gesù lo ripete a noi: «Non aver paura, perché io sono con te» (At 18,9-10).

C’è poi un’altra cosa, che Gesù dice per la prima volta ed è l’amore dei discepoli per lui. «Se mi amate» (v. 15). C’è qui un evidente passaggio dal lessico della fede a quello dell’amore. Tutto nella vita cristiana nasce dall’amore. Chi non ama Gesù, non riesce neppure a credere in lui, perché credere in lui vuol dire amarlo e corrergli incontro per identificarsi con lui. Chi non ama Gesù non riesce ad amare davvero gli altri, perché amare vuol dire espropriarsi e donarsi. Proprio come ha fatto Lui. Se nascono dall’amore, anche i comandamenti non sono degli obblighi, ma verifiche dell’amore.

Il Paraclito, Gesù lo chiama «Spirito della verità» (v. 17). Poco più avanti dirà che questo stesso Paraclito c’insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che egli ci ha detto (cf. v. 26). O l’umiltà di Gesù! Sa che non sempre è riuscito a farsi capire dai suoi discepoli. Quante volte un genitore, un educatore, un sacerdote, anche un amico hanno l’impressione di non essere ascoltati, non essere capiti; quante volte necessitiamo dell’umiltà di Gesù, il vero e unico Maestro. Ci sarà un tempo nel quale, quelli cui abbiamo sinceramente donato, capiranno e anche allora sarà una fioritura dello spirito, perché la generatività è questo: «Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni» (Sl 126,5-6).

Con un primo, lento e graduale rientro nella normalità delle nostre assemblee domenicali, da domani sarà possibile partecipare anche fisicamente alla celebrazione eucaristica. In queste Domeniche ho cercato di starvi accanto anche con le mie riflessioni omiletiche. Se, però, le restrizioni di questi tempi possono insegnarci qualcosa, non dimentichiamo, pur riaprendo le chiese, che i veri adoratori del Padre sono quelli che lo adorano in spirito e verità (cf. Gv 4,23-24); ricordiamo che il tempio di Dio siamo noi (1Cor 3,17); ricordiamo che, come ci ha insegnato il Concilio, c’è pure una «Chiesa domestica» dove i genitori (e gli adulti più in generale), sono per i loro figli e per chi è più giovane «i primi maestri della fede» (cf. Lumen gentium, n. 11). Che Dio vi benedica.