Nella veglia di Pasqua il Vangelo presenta alcune donne che all’alba si recano al sepolcro di Gesù. Vanno per stare vicino alle sue spoglie, l’unica cosa che rimane del Maestro: un gesto umanissimo che ispira la cura delle tombe che custodiscono le spoglie de nostri cari. Lì incontrano l’angelo sfolgorante che siede sulla pesante pietra che sigillava la grotta: postura che manifesta la supremazia della vita e della luce sulla morte e sul buio. Poi annuncia che Gesù è risorto e seguono alcune parole che Cristo ripeterà poco dopo.
La prima è l’invito a non temere, a non avere paura. Questo invito attraversa tutta la Scrittura e rimbalza fino a noi. Ma è veramente possibile non avere paura quando ci attendono prove e tribolazioni, rischi seri per la salute, per l’economia e la tenuta sociale? L’esortazione del Risorto è concreta oppure è un modo di dire pietoso ma generico? Ha senso? Si, ha senso. Il Risorto non ci assicura l’immunità dai malanni e dalla morte, non ci preserva dai rovesci e da timori nelle difficoltà. Ma ci invita a guardare oltre e ci dice: non temete perché, al di là delle umane preoccupazioni, la cosa più importante non andrà perduta; la sfida della vita, anche se tutto franasse, è già vinta; non temete la solitudine degli uomini, perché nessuno in realtà è solo; nelle inevitabili incertezze del tempo, il vero futuro è assicurato. Non temete, poiché io sono risorto e sono con voi! Esiste il timore di perdere o di non raggiungere dei beni, ma il vero timore che dobbiamo avere è quello di perdere non dei beni, ma il Bene. Questo timore radicale, Gesù l’ha annullato con la sua Pasqua.
Cari Fratelli e Sorelle, l’invito del Risorto ci rinfranca, ma anche ci richiama a riconoscere quali sono i timori che ci portiamo dentro, le paure che dimorano nei nostri cuori. E’ un invito a prenderne atto, a metterli in ordine, forse a cancellarne qualcuno: possiamo fallire molte cose, ma non dobbiamo fallire la vita. E Gesù ci rassicura su questo, ci dice di non avere paura, di non disperare perché Lui, l’’Amore del Padre, si è messo dalla nostra parte, ha giocato la vita per tutti, ed ha vinto. Anche noi, dunque, siamo vincitori se apriamo il cuore e viviamo con Lui.
L’altra parola di Gesù alle donne è: “annunciate ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”. Il cristiano è colui che non solo crede che Gesù è risorto, ma anche che lo vede: è il vedere della fede e del desiderio. Non c’è fede vera senza desiderio di vedere ciò che si crede, meglio, Colui in cui si crede. Noi tutti siamo chiamati a scorgere il Signore accanto a noi: riusciamo noi a scovarLo nei nascondigli della nostra esistenza? Credere ma non vedere non aiuta la vita. Il Signore è una presenza misteriosa, ma visibile se camminiamo nella fede e nel desiderio.
Perché in Galilea, come se Gesù desse un appuntamento ai suoi fratelli? Per farci capire che non siamo noi a programmare la fede, a pretendere che Dio operi e si faccia sentire o vedere quando e dove vogliamo noi. La nostra Galilea è dove dobbiamo essere secondo i nostri doveri: ogni momento lieto o doloroso, chiaro o incomprensibile, può essere la Galilea. Il Signore si farà vedere se non saremo distratti dalle cose, ma soprattutto da noi stessi. Vederlo vivo e vicino cambia la vita, accende il sole, disegna l’orizzonte: le preoccupazioni quotidiane resteranno, ma non ci getteranno nello sgomento. Ad ognuno il Risorto ripete: non temere, io sono con te. L’augurio che ci scambiamo sia questo: sentire questo invito, di tenerlo stretto nel cuore, e di comunicarlo a tutti.