Caritas: i nuovi poveri, vittime dell’emergenza che stiamo vivendo

Caritas: i nuovi poveri, vittime dell’emergenza che stiamo vivendo

L’emergenza sanitaria che ha investito l’Italia tutta da fine febbraio, ha vissuto, parallelamente, emergenze di tipo sociale ed economico. Lavoratori che si sono trovati costretti senza lavoro o in cassa integrazione, gente che non ha potuto più provvedere agli affitti, possessori di partita IVA e attività commerciali ridotti ai minimi storici. Ma non solo.

“Gli ultimi report italiani sono ben chiari: in questo momento stiamo conoscendo nuovi impoveriti, persone che hanno perso il lavoro, ma non solo – le parole di Giuliano Faralli, direttore della Caritas diocesana, che prosegue – a questi si aggiungono i famosi neet, giovani che non studiano e non lavorano e impoveriscono le realtà familiare non solo a livello umano, ma anche culturale e psicosociale”.

I giovani si sono rivelati ben presto una delle fasce sensibili delle emergenze che hanno investito il territorio italiano e diocesano. “I nuovi poveri sono innanzitutto i giovani, vittime del disordine sociale, dell’incapacità gestionale delle politiche del lavoro. I giovani vivono le povertà lavorative, relazionali, sociali tutte consequenziali tra loro.

Un impoverimento tanto sociale, quanto economico, quello descritto e toccato con mano dal neo direttore della Caritas poliziana e dai tanti volontari che lo aiutano in questo impegno gravoso. “E’ sbagliato considerare il povero come colui che non ha soldi. In questa stagione pandemica abbiamo visto nuove persone impoverirsi: diventare poveri significa non poter più provvedere al proprio stile di vita – le parole del direttore della Caritas diocesana – la gente ha sempre lavorato, fatto calcoli, mettendo anche qualcosa da parte e ci sta qualche piccolo eccesso nella vita. Adesso non riuscire a fare calcoli, soddisfare bisogni extra ci permettere di non mettere in atto questa normalità. Non possiamo giudicare i vizi delle persone, in questo periodo si è persa la normalità”

Una normalità che in questi giorni, a piccoli passi, stiamo assaporando in tutta la sua semplicità. “Toccherà a noi, cittadini della diocesi, capire come voler uscire da questa pandemia. Siamo in un momento di frastuono interiore: dobbiamo far sì che i nostri paesi siano occasioni di slanci lavorativi, culturali, sociali – ha detto – Come nasce la povertà dalle nostre parti? Semplice. Nel momento in cui non mi sento responsabile dell’altro, nel momento in cui giro la testa quando uno butta la carta per terra o quando l’altra persona non lavora, nasce la povertà! Il non farsi prossimo e vicino a chi ne ha bisogno fa scattare la molla della povertà e della difficoltà del vivere”.

Una pandemia che sicuramente ha cambiato la sua gente. Non solo economicamente e socialmente, ma anche in una dimensione psicologica e ideologica.

“Il Papa dice che dobbiamo smettere di andare in chiesa come chiesa, ma dobbiamo andare nel mondo come Chiesa. Un pensiero stimolato da tanti Santi uomini politici. La Chiesa deve andare nel mondo ed essere capace di promuovere la vita, l’austerità, la bellezza del volto e della vita dell’altro. Le nuove strategie non possono partire solo da aule parlamentari, ma devono partire da una società consapevole di dover rispondere ad un impegno, una responsabilità, che è la tutela e la salvaguardia del creato, in cui vi è anche l’uomo nella sua integrità”.

Infine uno sguardo a quella che è stata la pandemia nella sua totalità e delle aspettative di cambiamento, auspicate a inizio pandemia. “La pandemia ci ha colto impreparati e ne stiamo uscendo ancor più impreparati. Siamo stati troppo tempo fuori al balcone e poco tempo a coltivare le relazioni. Si sono volute le chiese aperte: la realtà è che oggi le chiese sono poco frequentate e non certo per un fattore di capienza ridotta. Il cittadino vuole le sue libertà, ed è giusto così. Mi dispiace, però, vedere poche situazioni di libertà e tante occasioni di libertinaggio. Vogliamo tanta libertà perché siamo stati chiusi in casa? Bene, ma dimentichiamo che siamo tutti stati in casa e non solo io. Collezioniamo poca libertà e tanto libertinaggio quando mettiamo il proprio io in testa. Esattamente così nascono le nuove povertà e si invade anche la libertà dell’altro”.

Ed ecco gli ingredienti esatti per sopperire alla poca libertà e all’eccessivo libertinaggio. “La solidarietà è il fertilizzante, l’humus della vita sociale. Lo abbiamo visto con benefattori e benefattrici che hanno messo in campo tempo e risorse economiche in questo momento di difficoltà. A questo si deve sommare la carità, l’amore, il tratto distintivo dei cristiani. Le comunità parrocchiali sono state chiamate a modificare il proprio vivere e il proprio agire, ma nonostante tutto hanno dovuto mantenere intatte solidarietà e carità”.

Giù le maschere, non le mascherine. Quel tanto invocato cambiamento delle persone durante la pandemia, probabilmente, ci ha relegato a cittadini impoveriti. Non economicamente, ma dal punto di vista sociale e relazionale.