Non c’è sosta da quando è cominciata l’emergenza coronavirus per la rete della carità diocesana letteralmente presa d’assalto e già provata duramente dai pesanti strascichi della crisi economica che aveva messo in ginocchio le fasce più fragili della popolazione e molte famiglie «normali». Ne abbiamo parlato in un raro momento di «tregua» telefonica nel pomeriggio della Domenica della Palme «senza ulivi» con il direttore della Caritas diocesana Pierluigi Dovis.
Direttore, cosa vi preoccupa di più come Caritas in questo tempo di emergenza assoluta?
“Siamo particolarmente preoccupati perché man mano che prosegue l’emergenza sanitaria emergono sempre più forti le conseguenze di natura sociale ed economica che la crisi coronavirus ha aperto. Una situazione di difficoltà che avrà tempi lunghi e modalità al momento poco prevedibili, ma sicuramente l’impatto sarà più duro di quello causato dalla recessione economica iniziata nel 2008 da cui ci stavamo appena rialzando a fatica. La riflessione che più impegna oggi la Caritas diocesana è capire come si potrà ripartire per venire incontro a bisogni nuovi e molto più profondi, non solo per lo strato più povero della popolazione, ma anche per coloro che saranno vittime del lavoro che verrà ridimensionato”.
Il coronavirus ha messo allo scoperto la piaga del lavoro precario e nero: da un momento all’altro migliaia di famiglie si sono ritrovate prive di occupazione e reddito…
“È uno degli elementi che ci allarma di più: ci sono strati di popolazione che fino a qualche settimana fa con lavoretti in nero di pulizia, colf, badanti, piccole manutenzioni riuscivano a sbarcare il lunario. Ora hanno perso anche quell’occupazione e, non avendo nessuna copertura assistenziale, si trovano completamente sguarniti e hanno bisogno di azioni di supporto molto onerose sia dal punto di vista dei costi che del sostegno futuro: cosa fare per persone che lavoravano in nero e ora non hanno più alcuna fonte di reddito? La soluzione è regolarizzare il lavoro o studiare formule diverse per creare occupazione? E come riusciamo a supplire alla mancanza di reddito per persone che non hanno più mezzi per mangiare regolarmente? Nelle file delle mense, soprattutto in città, in questi giorni abbiamo riscontrato un incremento del 40% di persone che non si erano mai viste: prima del coronavirus riuscivano con qualche espediente a far fronte alle necessità, adesso sono in ginocchio”.
Cosa accadrà a queste persone?
“Nel momento in cui ripartiremo temo che in tanti non riusciranno a reintegrarsi nel tessuto sociale perché alcune tipologie di lavoro in nero, penso all’aiuto domestico, dopo la crisi non saranno più richiesti non per motivi legali ma prettamente economici. E poi non dimentichiamo che accanto all’emergenza coronavirus non dobbiamo trascurare le «azioni ordinarie» di sostegno alla povertà come le case di accoglienza per donne e per minori o i co-housing sociali per famiglie con sfratto esecutivo… È come se per curare i malati di coronavirus trascurassimo tutte le altre patologie…”
Come state affrontando l’emergenza?
“Innanzitutto dobbiamo colmare i buchi che si sono creati: in primis, venire incontro il più possibile alle esigenze immediate delle persone che non hanno da mangiare. Il problema casa in questo momento è rimandato perché gli sfratti sono stati bloccati. Abbiamo riattivato la rete a livello ecclesiale con un’ottima collaborazione a partire dal Banco Alimentare e con associazioni come Terza Settimana, Maria Madre della Provvidenza, Sermig e altre realtà senza le quali non riusciremmo a raggiungere le persone al proprio domicilio perché la Caritas diocesana sta in piedi con pochissimi operatori e volontari”.
E poi?
“In secondo luogo dobbiamo intervenire per proteggere anche dal punto di vista sanitario le fasce più deboli in particolare le persone senza dimora che, non avendo un tetto non possono ovviamente rispettare l’invito «io resto a casa». Sono i più esposti al contagio. Come Caritas diocesana, in sinergia con il Servizio adulti in difficoltà della città di Torino, con il Cts e il Sermig che offrono accoglienza notturna per le persone senza dimora e con cui collaboriamo per la gestione dei sette dormitori che fanno parte delle rete ecclesiale, abbiamo allungato i tempi di permanenza nelle strutture per evitare il più possibile il rischio di contagio. Abbiamo rinforzato l’attenzione ai presidi sanitari con la sanificazione continuativa e aumentando la pulizia degli ambienti e delle persone. Inoltre cerchiamo di fornire agli ospiti pasti di qualità per non peggiorare le loro condizioni di salute.”
Ma non ci sono solo i senza fissa dimora…
“Esatto. Il nostro terzo intervento riguarda le fasce di popolazione fragili che l’emergenza coronavirus ha reso ancora più vulnerabili: anziani soli, famiglie con disabili o congiunti non autosufficienti e i detenuti negli istituti di pena o in misure detentive alternative alla carcerazione come gli arresti domiciliari. Per queste persone abbiamo messo in campo interventi straordinari su due livelli: l’ascolto in modo che non vengano meno punti di riferimento relazionali, il rifornimento di generi alimentari e, in carcere, prodotti per l’igiene personale. La Caritas diocesana normalmente non distribuisce cibo ma in questi giorni, con alcune realtà associative ed ecclesiali del territorio, abbiamo messo in piedi una rete di contatti per distribuire alimenti di qualità in modo che, nelle famiglie con disabili o bambini piccoli, non si mangino solo scatolette o cibo scadente. Quarto intervento, il sostegno con l’ascolto, una rete che nella nostra diocesi è molto ampia con più di 90 i centri attivi sul territorio. Poiché in questi giorni non ci si può incontrare di persona è stato incrementato l’ascolto telefonico che sta creando reti amicali tra i volontari e chi telefona. È un modo per fare sentire la comunità cristiana vicina che ci sta facendo riscoprire il valore dell’ascolto in una situazione di paura, dolore, smarrimento e sconforto”.
Chi vive l’emergenza nell’emergenza, come ha sottolineato più volte il Papa che ha scelto il carcere per i testi della Via Crucis di quest’anno, sono i detenuti…
“Persone richiedenti asilo e detenuti sono in fondo alla piramide. Per i primi non siamo ancora riusciti a mettere in piedi progetti di inclusione efficaci per cui, in un momento come questo non riescono a stare in piedi da soli. In carcere la situazione è ancora più allarmante perché i detenuti sono del tutto abbandonati, non certo dagli operatori interni ai penitenziari ma perché, a causa delle misure anticontagio, non hanno più nessun rapporto con l’esterno, a partire dalle proprie famiglie, per cui si sentono doppiamente reclusi. In carcere non entra più nessuno e i ristretti non hanno neppure il necessario per potersi lavare: i prodotti che ricevevano dalle famiglie, dal volontariato e da alcune parrocchie non arrivano più. Come Caritas diocesana nei giorni scorsi abbiamo recapitato alle Vallette alcuni bancali di bagnoschiuma e altri prodotti per l’igiene personale. Il blocco inoltre ha fermato tutti gli inserimenti lavorativi e i tirocini con cui i reclusi potevano riprogettare il proprio reinserimento nella società: questo significa privare i ristretti della capacità di reagire con esiti che possono essere esplosivi. È di questi giorni l’appello alle autorità di un gruppo di detenuti del carcere di Torino, i cosiddetti articolo 21 soggetti a lavoro esterno, che sono bloccati in condizioni critiche per via del fermo dei provvedimenti di semilibertà.”
Insomma in un momento così drammatico la rete della carità sta funzionando…
“Da quando sono iniziate le chiusure totali per il coronavirus l’interazione tra Caritas e parrocchie della diocesi sono andate aumentando in modo significativo sia dal punto di vista operativo e soprattutto della condivisione di uno stile, contatti che ci hanno permesso di scambiarci opinioni e consigli sul da farsi con i parroci, i volontari, le Conferenze di San Vincenzo parrocchiali, i Volontariato Vincenziano e tutte le altre realtà ecclesiali caritative. E questo fa molto sperare: mi piacerebbe il 40° anniversario della Caritas diocesana, che stiamo celebrando in un momento così particolare, possa far riemergere in modo molto forte l’idea del card. Anastasio Ballestrero quando ha fatto nascere la Caritas nella diocesi di Torino. E che cioè la Caritas non è un gruppo, non è un servizio: la Caritas è la rete dell’attenzione di carità che le parrocchie hanno intorno ai poveri e intorno al Vescovo. E questa situazione così complicata ci sta dicendo che aveva ragione Ballestrero: lo stiamo sperimentando, senza rete non si fa nulla”.
Ma la rete della carità deve sostenere dei costi….
“Certamente: le indicazioni governative anticontagio hanno ridotto notevolmente il numero dei nostri volontari che non sono più giovani e in piena salute e il dispendio di risorse dal punto di vista economico che siamo mettendo in campo è elevato: ci stiamo letteralmente dissanguando e riteniamo di non poter fare diversamente. Siamo certi che la divina Provvidenza ci guida e ci sostiene anche dal punto di vista delle necessità economiche ma ci sembra importante che le comunità cristiane della diocesi sappiano che un modo per poter essere vicino alle persone in difficoltà, pur non potendolo fare fisicamente, è sostenere la rete della carità diocesana. Per questo ci appelliamo a tutti come abbiamo fatto in altre situazioni di emergenza: la generosità è ben accolta attraverso i canali soliti di sostegno alla Caritas diocesana che ha messo a disposizione per l’emergenza coronavirus. Grazie”.
Marina Lomunno
È possibile sostenere le attività che necessitano di essere intensificate utilizzando conto corrente bancario: IBAN IT81R0329601601000064319198 intestato a: Arcidiocesi Torino – Caritas conto corrente postale 12132106 intestato a: Caritas Diocesana Torino
Causale: “Emergenza Coronavirus”