Comunicare e celebrare. Dal virtuale al reale: la differenza si sente

Comunicare e celebrare. Dal virtuale al reale: la differenza si sente

Streaming, dirette televisive, condivisioni social. in queste ultime settimane – e soprattutto nei giorni del Triduo Pasquale – la liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa, si è confrontata a tu per tu con i più moderni sistemi di comunicazione.

È stato un rapporto fecondo che ha permesso, a migliaia di fedeli in tutta l’Isola, di partecipare alle varie celebrazioni presiedute dal Papa e dai nostri vescovi. I numeri lo confermano: tutte le emittenti che hanno scelto di trasmettere i riti pasquali hanno registrato flussi di audience molto più alti rispetti alla normale programmazione. E lo stesso discorso vale per i canali social, gestiti dai vari uffici per le comunicazioni sociali delle nostre diocesi.

Ma non ci sono solo i numeri: pensiamo all’importanza della preghiera in famiglia, garantita anche attraverso sussidi liturgici distribuiti ai vari livelli e resi fruibili grazie al web.

Nel momento stesso in cui è possibile aprire sul tavolo un primo bilancio – anche economico – dell’investimento comunicativo, è necessario far emergere anche alcune riflessioni che permettano di verificare il grande lavoro svolto in queste ultime settimane. E tra le domande che scaturiscono da questa prima ondata comunicativa, una sembra particolarmente urgente in vista della cosiddetta fase 2, post-emergenziale: che fine ha fatto la dimensione comunitaria e sacramentale? Con questo moltiplicarsi di celebrazioni non si rischia di snaturare il senso del mistero celebrato?

È una domanda alla quale ha risposto lo stesso Papa Francesco: Dobbiamo uscire dal tunnel – ha detto durante una celebrazione a Santa Marta – per tornare insieme perché questa non è la Chiesa. Che il Signore ci insegni questa familiarità con i sacramenti e col santo popolo di Dio. La trasmissione delle celebrazioni – dettata da questo tempo di emergenza – è quindi un servizio alle comunità ma non può e non potrà in alcun modo diventare un’alternativa alla concretezza dell’incontro. Senza la nostra presenza fisica alla liturgia non ci può essere quella actuosa participatio tanto auspicata dal Concilio.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni dello scorso anno, il Papa aveva avvertito questo rischio di una Chiesa virtuale. L’immagine del corpo e delle membra – ha scritto Francesco – ci ricorda che l’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro.

C’è poi un interrogativo meno teologico e più tecnico: è sufficiente puntare una telecamera sull’altare per rendere efficace questo servizio? La risposta della Chiesa è un netto No. Se mediante la tecnologia ci è possibile raggiungere molti, se non tutti, è anche vero che non bisogna mai dimenticare che l’Eucaristia è un grande dono, il più prezioso, e di esso e della sua celebrazione è doveroso prenderci cura, senza approssimazioni e trascuratezze.

Le parole sono prese da un decalogo emanato della Conferenza Episcopale Italiana per correggere alcuni limiti ed errori che, soprattutto nel primo periodo, hanno caratterizzato le varie trasmissioni: omelie incomprensibili, inquadrature con prospettive improbabili e, soprattutto, il moltiplicarsi di celebrazioni registrate che hanno fatte perdere di vista il senso di vivere in diretta la santa messa.

Con i suoi punti di forza, e gli innegabili limiti, la comunicazione ecclesiale, se ben gestita, sarà di grande importanza per accompagnare le nostre comunità nel lento ritorno alla realtà: nei prossimi mesi passeremo dalle dirette al contatto diretto. Non è un passaggio di poco conto. Usciremo dalle nostre case, ascolteremo il Vangelo dalla viva voce del ministro, ritorneremo a guardarci negli occhi e, allo stesso tempo, utilizzeremo gli strumenti comunicativi con maggiore responsabilità. E poco importa se per un po’ di tempo non ci potremo scambiare il segno della pace: questo periodo ci avrà insegnato ad avere uno sguardo nuovo verso chi ci sta a fianco.

Michele Spanu, incaricato regionale dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Sardegna