Disponibile il nuovo numero del mensile “L’Aurora”

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Dopo lunghe settimane di pesanti restrizioni e limitazioni di ogni genere, finalmente il quattro maggio è partita la cosiddetta fase 2 del Covid-19. È stato deciso, infatti, di dare il via libera alla riapertura di alcuni servizi essenziali alla vita della comunità, concedendo anche la possibilità di ritornare ad esercitare il culto attraverso la partecipazione alla Santa Messa celebrata in chiesa. Ci hanno detto, naturalmente, che non si tratta di un “liberi tutti” ma che, soprattutto in questa fase, bisognerà attenersi scrupolosamente a regole ben precise, onde evitare il pericoloso ritorno ad un nuovo lockdown che metterebbe in ginocchio l’economia del paese e la vita di tante famiglie. Anche in questa fase, sono state previste pesanti sanzioni per quanti non si atterranno alle indicazioni dei decreti governativi. Tuttavia, è soprattutto al senso di responsabilità dei cittadini che è fatto affidamento per la buona riuscita della lotta contro il virus. Un appello alla responsabilità e alla scrupolosa “obbedienza alle regole”, nei giorni scorsi, è arrivato anche da papa Francesco durante la Santa Messa celebrata a Santa Marta.
Responsabilità, dunque! Non semplicemente l’ossequio formale ad una legge esterna; non solo un dovere da espletare perché costretti a farlo; ma una vera e propria “obbligazione morale” alla quale nessuno può impunemente sottrarsi. Il cristiano, in particolare, sa che un atteggiamento di superficialità o, peggio ancora, l’assunzione di un comportamento trasgressivo che mettesse in pericolo il bene della vita, propria e degli altri, non si configurerebbe come espressione di “libertà interiore” nei confronti della legge, ma andrebbe vissuto semplicemente come un “peccato” nei confronti di Dio.
Responsabilità, dal latino respondeo, per il cristiano, infatti, è innanzitutto “risposta” ad un appello che viene da Dio. Pretendere di essere legge a se stesso, obbedire solo alle proprie convinzioni, o peggio ancora, seguire solo i propri capricci, sarebbe davvero una colpa grave, soprattutto quando ad essere in gioco è il bene che è a fondamento di ogni altro bene, qual è appunto la vita umana.
Agire in maniera responsabile, lo sappiamo, comporta a volte anche una limitazione della libertà individuale. Ma è proprio questo il fascino paradossale della responsabilità: che può essere esercitata solo da chi ha la capacità di agire e scegliere liberamente, anche se, allo stesso tempo, implica anche un limite all’esercizio della propria libertà. La quale, però, non ci è data come qualcosa che vale per se stessa, ma come un mezzo, se pur nobilissimo, perché l’uomo possa realizzare se stesso in quanto uomo. E poiché l’uomo, solo l’uomo, conoscendo cos’è il bene e cos’è il male, può liberamente scegliere l’uno o l’altro, solo quando sceglie il bene, per se e per gli altri, realizza pienamente se stesso e conquista la sua libertà.
Andare in giro senza mascherina o non rispettare il distanziamento sociale, organizzare comitive per andare al mare o entrare in chiesa senza igienizzare le proprie mani, non è sinonimo di libertà; stiamo scegliendo il male piuttosto che il bene. Stiamo semplicemente dicendo che la salute e la vita di chi ci sta accanto ci interessa ben poco, tant’è che non ci facciamo scrupoli a metterle in pericolo.
E allora, anche se ci costerà qualche piccolo sacrificio, accogliamo con serietà e serenità l’appello alla responsabilità. È soprattutto un atto d’amore che siamo chiamati a compiere. Lo dobbiamo a noi stessi, alle persone che ci hanno lasciato, lo dobbiamo soprattutto alle migliaia di medici, infermieri e volontari che hanno rischiato e continuano a rischiare la propria vita per salvare quella degli altri.

Mons. Giuseppe La Placa, direttore L’Aurora