Giovedì Santo. Mons. Semeraro: ogni povero è un altare

Giovedì Santo. Mons. Semeraro: ogni povero è un altare

1. «Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso»: l’abbiamo ascoltato da san Paolo e noi, questa sera, c’inseriamo in questa catena di trasmissione: riceviamo e celebriamo … ma quest’anno lo facciamo in forma inconsueta. In questa stagione così dolorosa noi sacerdoti sembriamo fisicamente appartati, ma non siamo soli. Non lo siamo anzitutto perché nessun cristiano è mai solo per davvero.
Nella Chiesa non ci tengono uniti una «tessera d’iscrizione», o un vincolo di simpatia, ma lo Spirito Santo del quale il nostro corpo è tempio (cf. 1Cor 6,19). La Chiesa è proprio questo: il mistero dell’unico e medesimo Spirito in Cristo e in noi, cristiani. Quest’unità nessuna distanza può annullarla. Se la stessa Eucaristia – di cui in questo giorno ricordiamo
l’istituzione – ci unisce in un solo corpo è perché ad «incorporarci» è il medesimo Spirito che rende il pane e il vino corpo e sangue di Cristo. La Chiesa c’è solo dove c’è lo Spirito (cf. Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 24,1: PG 7, 966).
Potremmo, allora, assistere a mille Messe, ma se lo Spirito non dimora in noi, allora siamo nella Chiesa soltanto col corpo, ma non col cuore (cf. Lumen gentium n. 14); basta, invece, una sola comunione spirituale – come ci ricorda anche il Papa – perché Gesù ci dica: tu ed io siamo una sola cosa. Queste parole le disse prima di avviarsi al giardino degli ulivi!

2. Carissimi, voi, dunque, ci vedete come appartati, ma non perché siamo divenuti «chiesa delle catacombe», ma perché non accada che i gesti santi si trasformino in veicolo di malattia e di morte. Noi, ministri dei santi misteri, non siamo degli alieni, ma abbiamo carne ed ossa come voi e il virus può annidarsi nelle nostre mani anche quando benedicono. Gli stessi «santi segni» non sono entità immateriali… Eppure anche oggi – anzi, oggi per più motivi – la morte del Signore dev’essere annunciata e la sua Risurrezione dev’essere proclamata nell’attesa della sua venuta.
Per questo noi sacerdoti celebriamo l’Eucaristia: non perché ne abbiamo l’esclusiva, ma perché, accanto un popolo che è in difficoltà e combatte contro un nemico invisibile e insidioso, abbiamo il dovere di essere intercessori. Prima di ordinarci, il Vescovo ci ha chiesto: «Volete insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo affidatovi…?» e noi abbiamo risposto: «Si, lo voglio». È questo ora il nostro dovere, senza omettere il resto.
Intercedere, ossia affidare a Dio i reconditi desideri del cuore umano, come fece Mosè che, mentre Giosuè combatteva contro Amalek, sul monte innalzava le mani per invocare da Dio la vittoria (cf. Es 17,8-16). Vogliamo ricordarlo nel giovedì che, con l’istituzione dell’Eucaristia, ricorda pure quella del sacerdozio ministeriale.

3. E ricorda pure il comandamento dell’amore! San Giovanni ci ha raccontato che, vedendo giungere l’ora di passare da questo mondo al Padre, Gesù volle amare i suoi fino alla fine. Vuol dire: sino all’estremo della vita di chi ama; fino al compimento di ogni possibilità d’amare! È questo il significato della lavanda dei piedi. Il bagno col quale Gesù ci lava e ci
purifica è l’amore. Egli stesso, anzi, è amore che si mette ai nostri piedi perché noi possiamo stare in piedi nella dignità di figli di Dio.
Questa è la notte dell’«amore» di Gesù per noi; dell’amarci come Lui ci ha amato. E se questa sera non potremo recarci in chiesa per adorare l’Eucaristia ascoltiamo quest’esortazione di san Giovanni Crisostomo: «Ogni volta che vedi un uomo che ha bisogno, guardalo con fede e ti renderai conto che sotto i tuoi occhi c’è un altare; guardalo così ed egli ti sarà avvocato presso Dio» (In Epist. II ad Cor. Homil., XX, 3: PG 61, 540). Ecco: è un altare pure chi in questi giorni sta soffrendo e quanti si prendono cura di loro stanno servendo Dio su quell’altare. Diceva san Vincenzo de’ Paoli che «non è lasciare Dio,
quando si lascia Dio per Iddio. Lasciare l’orazione per assistere un povero è servire Dio» (P. Coste, Saint Vincent de Paul. Corrispondances, Entretiens, Documents, IX/1, LeCoffre, Paris 1923, 319).