Carissimi fratelli e sorelle di Calabria, riesce difficile pensare che ci possa essere qualcosa da festeggiare, in questi giorni vissuti da reclusi in casa, con i problemi di sempre, ma ora cresciuti così tanto che si fa molta più fatica a conviverci. La mancanza di lavoro, le lacune di una sanità che si manifestano nel confronto tra Stato e Regioni, l’assedio della ’ndrangheta, che c’è e si sente benissimo, anche quando non si mostra, sono elementi che inquietavano già prima che il virus entrasse nelle nostre vite ed oggi hanno maggior peso, generando timori ed ansie, che anche i vostri Pastori condividono con voi.
Viviamo un tempo come mai c’era capitato prima di vivere: famiglie spezzate dal contagio, strade semivuote, negozi, fabbriche e scuole chiuse, persino chiese deserte. Anche la Pasqua non sarà quella solita, e quest’anno nella sua salita al Golgota Cristo non troverà, sui tornanti della Passione, chi lo sostenga o gli porti per un tratto la Croce. Sembra, insomma, il tempo della disperazione, l’avverarsi della più truce delle profezie, chiusi dentro, chiusi da fuori. Per un istante almeno, però, guardiamoci nell’anima ed oltre che sulla paura (e sull’egoismo che ne deriva), soffermiamoci sugli stili di vita e sulle convinzioni che parevano immodificabili, ma sono stati zittiti in poche settimane in cui la morte ha imperversato portandosi via tanta gente, molti anziani, tantissimi eroi quotidiani e noi non abbiamo neppure potuto celebrarli, ricordarli, e donargli nel sacramento dell’Unzione la tenerezza di Dio e con il mormorio delle Ave Maria, delle persone raccolte attorno al loro feretro.
Proprio in questi giorni nei quali la vulnerabilità e la fatica della speranza paiono lasciarci sospesi tra caso e necessità e le domande sul vivere e sul morire restano sospese, appaiono solidi i fili della tessitura del mistero dell’incontro. Tra gli uomini e tra essi e Dio. Dentro le zone del rispetto di questa inedita distanza-vicinanza che per fermare il contagio porta a sacrificare persino i riti pubblici della Settimana Santa, c’è in realtà Cristo, c’è la vita, con la cura di sé e dell’altro. C’è la comunità ecclesiale, che con il filo spirituale tiene insieme trapassati e viventi, mentre raccorda distanze e latitudini. Qui resistono fili di senso, di sogni buoni, di dignità, di giustizia, di gratuità fraterna. «Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere», osservava Hetty Hillesum, scrittrice vittima della Shoah. Ecco: queste parole dovrebbero essere un motto nel giorno oscuro della prova. La vita è sempre una realtà grandiosa che può piegare anche il dolore più atroce. La nostra capacità di amore è tale da poter contrastare l’onda montante del male e dell’odio. La nostra anima ha in sé l’energia e la luce dello Spirito del Risorto, che noi Pastori vogliamo oggi e sempre annunciare e con essa vogliamo fronteggiare ogni tempesta e seminarla nel terreno arido della storia, d’ogni singola storia.
Dovremmo raccogliere più spesso l’invito alla speranza soprattutto quando, al primo ostacolo, ci lasciamo cadere le braccia e alla prima prova scegliamo le vie più facili: quella di arrenderci o quella della fuga. La speranza è la faccia di Dio che si scopre di momento in momento, secondo il volto delle nostre disperazioni. Tutte le speranze, anche le più tenui, le più fragili, perfino i sogni e le illusioni, appartengono alla speranza. Un niente basta a far battere un cuore ed un niente gli può bastare. E se un niente può fermarci sull’abisso, la speranza donata dal Risorto fa suo questo niente scorgendo la spiga quando gli occhi vedono appena il seme.
Allora, andrà tutto bene, come ci viene ripetuto, però dobbiamo volerlo; perché per bloccare il subdolo insinuarsi della distanza servono lucidità, attenzione all’altro. Ecco, perché dobbiamo tornare a chinarci con intelligenza, sui legami e sulle forme della vita comune che resiste -per nostra fortuna- e all’occorrenza rinasce. E ciascuno di noi nella propria intimità, un sentimento analogo dovrà volere per indirizzare il proprio agire nell’edificazione di un mondo nuovo. Dobbiamo portarci nei pressi del sepolcro del male, del niente, del dolore, della disperazione, per accorgerci che “la pietra era stata rotolata via” (Mc 16,3-4).
Carissimi amici, non ci sono solo tenebre in noi e attorno a noi. «Quanto più gravi sono i nostri problemi, tanto maggiori opportunità stiamo dando al Redentore, tanto più grande dev’essere la nostra speranza», diceva sant’Oscar Arnulfo Romero.
Abbiamo di fronte a noi la questione del futuro, che attende la nostra creatività, non il riparo dal presente, ma la necessità di un ripensamento profondo, di un ri-orientamento radicale, che i cristiani dovranno operare alla luce del Cristo “Via”, Verità e Vita (cfr. Gv 14,-6). Non sarà come chiudere una parentesi, ma ridisegnare insieme una convivenza nuova nella quale sobrietà, attenzione a ciò che vale, ovvero alle fragilità, all’uso dei saperi e dei poteri, siano seminati e diffusi e tra le generazioni e le loro culture.
Per risorgere come comunità si dovrà chiudere con il passato e concentrarci tutti sul futuro con spirito di coesione e regole nuove. C’è bisogno di un nuovo patto di fiducia fondato su nuove priorità.
Cristo Risorto insegna e realizza: la vita trionfa, il mirabile duello tra morte e vita sarà vinto dalla vita: Rex vitae mortuus, regnat vivus! (dalla Sequenza “Victimae paschali”). Questo evento non lo si potrà cambiare, neppure una Pasqua con le chiese aperte solo per i celebranti e le manifestazioni della fede popolare sospese e rinviate. Non siete soli, non siate soli: scegliete la via che porta alla dignità di popolo: sarà vera Pasqua!
Di cuore mi stringo a Voi tutti ed in unione con tutti i Vescovi di Calabria, vi benedico uno ad uno. Buona Pasqua.
Mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza Episcopale Calabra