In questo periodo dell’epidemia del Coronavirus stiamo tutti vivendo l’esperienza di Gesù nel deserto. Siamo privati della Celebrazione Eucaristica e di nutrirci del Corpo di Cristo, non ci è possibile incontrare e stare insieme ai nostri figli, nipoti e amici. Ci sentiamo agli “arresti domiciliari”.
Ma quanto si sentono ancora più soli, più tristi, più emarginati i nostri fratelli ristretti che si trovano in carcere? Sono sospesi i colloqui con i loro cari: genitori, mogli e i loro bambini. Il colloquio per loro è un momento molto atteso e desiderato, perché dà loro forza, coraggio, speranza per continuare a vivere lontano dai loro affetti. Manca loro anche la presenza dei catechisti, per il conforto e l’incoraggiamento che donano, l’incontro con i volontari per le diverse attività che si svolgono quotidianamente.
A noi catechisti ci conforta la forza della preghiera e della speranza, che ci fanno sentire vicini a loro. Ci conforta anche sapere che la Direttrice, la Comandante, il Cappellano, gli agenti, le educatrici, i medici, gli infermieri continuano con impegno, sacrificio e tanta umanità a seguirli, curarli e confontarli. Preghiamo sempre per loro e chiediamo a ognuno di fare lo stesso.
Alla nostra preghiera di ogni giorno per i medici, i ricercatori, gli operatori sanitari, che con abnegazione e spirito di sacrificio curano i malati, e per coloro che il Signore ha accolto tra le Sue braccia misericordiose, vogliamo unire anche la preghiera per tutti i detenuti. Il carcere è una parte della nostra società, della nostra Chiesa, anche loro sono figli di Dio. Gesù stesso ha detto: “ero carcerato e siete venuti a trovarmi”. La nostra preghiera li farà sentire meno soli e meno tristi, sentiranno che il Signore gli è vicino e li ama, e che la Madonna li protegga.
Non pensiamo che chi si trova in carcere sia privo di sentimenti religiosi e di buoni propositi. Noi catechisti siamo fermamente convinti che in fondo al cuore di ogni uomo il Signore ha posto un “seme di bontà”, che prima o poi si manifesta. Questo seme si fa sentire anche in carcere.
Tanti detenuti ci confidano di pregare il Signore nella solitudine della loro cella, tanti hanno un libretto di preghiere oppure pregano come gli suggerisce il cuore. Il carcere non è soltanto un luogo di espiazione, ma anche di preghiera; così si ripete l’atteggiamento di Paolo e Sila, che in prigione erano “in preghiera” (cfr. Atti, 16,25).