In genere non amiamo affatto essere etichettati come pecore, perché oggi questo significherebbe essere persone che non hanno spina dorsale, che seguono un qualunque capo, senza capire che cosa stanno facendo e verso dove sono dirette, stordite come sono – e forse anche plagiate – dal frastuono dell’autorità di un impostore.
È esattamente il contrario di quanto Gesù propone nel Vangelo di questa quarta Domenica di Pasqua: seguire il buon pastore, entrare dalla porta, attraverso passaggi di vita piena.
Egli, infatti, riconosce alle pecore la capacità di distinguere fra mille la voce del Pastore buono, di avere le idee chiare per entrare dalla porta di casa – rifugio e sicurezza dalle incursioni maligne – e di uscire dalla porta, rimanendo in comunione con il buon pastore, senza tradimenti e deviazioni.
Le sue pecore sono in grado di smascherare briganti e mercenari, che si spacciano per leader positivi, ma in verità sono guide cieche. Le sue pecore sono interlocutrici di un dialogo in cui Gesù ci mette la faccia, cioè la vita: si compromette, vive e muore per loro, ha un amore che si vede e si trasmette perfino nel tono della voce.
Non solo: Gesù steso è la porta d’ingresso, la password per la pienezza di vita dei suoi amici.
Seguire lui non è un obbligo, ma un impegno di gioia, perché accogliamo il Pastore come sostegno, nutrimento, presenza amica – forte e dolce insieme – che indirizza, protegge, medica, consola, guida, dando senso alla nostra vita.