La IV Domenica di Pasqua – in tutti e tre i cicli dell’anno liturgico – è dedicata al Buon Pastore. Nei versetti del cap. 10 di Giovanni, proposti quest’anno, Gesù in realtà si paragona anzitutto alla «porta» delle pecore, ma l’immagine del pastore è presente, contrapposta all’estraneo, ladro e brigante. Il contesto è di controversia, con i farisei che avevano contestato a Gesù il miracolo verso il cieco nato (cap. 9): sono loro, quindi, i pastori non buoni, che non vanno seguiti. In ciò, Gesù riprende una lunga tradizione biblica, di accusa verso i falsi pastori che abbandonano il gregge (si pensi alle invettive dei profeti Ezechiele o Zaccaria). Ma Dio – dice la Scrittura – non abbandonerà mai le sue pecore: e anche Gesù parla di un pastore che conosce le pecore per nome, che le guida, e di cui esse conoscono la voce; e di una porta sicura, che reca con sé salvezza e vita.
Si tratta forse di immagini un po’ strane al giorno d’oggi (in verità, il Vangelo afferma che neanche i farisei capirono quelle parole!), ma la promessa che esse contengono mantiene tutta la sua forza: Dio si prende cura del suo popolo e lo fa in modo incondizionato (come ricorda Lc 15, va in cerca anche della pecora smarrita). Agisce per amore, non come l’estraneo, il ladro o il brigante, che ha sempre un secondo fine. C’è molta tenerezza nell’immagine del pastore che chiama ciascuna pecora per nome, le conduce fuori, cammina davanti ad esse. E le pecore sanno chi seguire, dice Gesù…