a cura di Vania De Luca, Presidente nazionale UCSI
“Oggi vorrei che pregassimo per tutti coloro che lavorano nei media, che lavorano per comunicare, oggi, perché la gente non si trovi tanto isolata; per l’educazione dei bambini, per l’informazione, per aiutare a sopportare questo tempo di chiusura”.
La giornata di Papa Francesco inizia con la celebrazione eucaristica a Santa Marta, alle 7, seguita in diretta streaming o televisiva da tante persone chiuse in questi giorni in casa. È un dono, in questi tempi difficili in cui anche le celebrazioni religiose, a partire dalla Messa, si svolgono senza partecipazione dei fedeli. La messa del papa è preceduta da un’intenzione di preghiera. Sabato 29 marzo il pensiero, specifico, è stato rivolto a quanti lavorano nei media e che aiutano la gente a non sentirsi del tutto isolata.
L’informazione, una buona informazione, è indubbiamente un aiuto a sopportare un tempo che è di chiusura, quasi sospeso, all’interno delle mura domestiche.
Vorrei richiamare tre punti molto semplici che queste parole mi hanno suscitato.
1. Il papa non aveva mai voluto la diretta sulla messa di Santa Marta, che era dall’inizio del pontificato una celebrazione condivisa con un piccolo gruppo di fedeli ammessi a parteciparvi, ma in queste settimane difficili ne ha fatto un elemento di comunicazione e di condivisione spirituale attraverso i mezzi di comunicazione. Gli stessi che hanno veicolato in tutto il mondo, (che così è stato connesso, unito) la preghiera di venerdì 27 marzo in una piazza San Pietro vuota come non avevamo mai visto. In quell’occasione il papa aveva citato medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Nei “tanti altri” erano inclusi anche giornalisti e operatori dell’informazione, come parte di una comunità che sta offrendo il suo contributo, importante, in questa crisi così profonda e globale che una volta superata nulla sarà più come prima.
2. Il secondo pensiero va proprio a chi lavora nei media, giornalisti ma non solo. In un’emergenza così grande e con una opinione pubblica attenta e impaurita i giornalisti hanno maturato la consapevolezza del loro ruolo di servizio pubblico. Lo abbiamo visto, nel nostro piccolo, anche attraverso gli articoli proposti dal sito Ucsi.it e dall’attenzione che hanno suscitato. L’informazione ai tempi del Coronavirus ha da un lato stimolato consapevolezza, dall’altro ha costretto a mettere in atto forme nuove nell’esercitare più che un ruolo una funzione, quella informativa, di cui si dovrà tenere conto anche in futuro. Basti pensare al massiccio uso dello Smart Working, alla possibilità di connettersi da remoto anche in reti e sistemi complessi, alle modalità nuove di relazioni interne e di resa esterna che molte redazioni hanno sperimentato proprio come effetto della crisi e che meriteranno approfondimenti significativi.
3. Nulla sarà come prima anche per l’informazione. Prima della pandemia, in un contesto inquinato da fake news e crisi di fiducia, cinquantadue italiani su cento affermavano di non essere in grado di distinguere le notizie vere da quelle false e sessanta su cento giudicavano inaffidabili le notizie in circolazione nel nostro Paese (dati del report 2019 del Reuter Institute for the study of Journalism). Nella pandemia gli stessi italiani hanno manifestato la necessità di un’informazione corretta, equilibrata, completa, basata su verità e fonti certificate, non allarmistica e contemporaneamente non omissiva.
Nella speranza di uscire presto dall’emergenza non possiamo che auspicare, nel futuro, una rinascita e una ricostruzione, a partire dalle fondamenta, anche del modo di fare informazione.