A seguito delle recenti disposizioni ministeriali finalizzate al contenimento dell’emergenza coronavirus le nostre strutture sociali a carattere residenziale continuano a garantire i loro servizi essenziali alle oltre 50 persone vulnerabili, persone sole e talvolta con patologie e problemi psichici.
Sono ospiti italiani, giovani soli ed emarginati; donne vittime di violenze; uomini; papà separati; ai quali non è stato non è stato, di fatto, limitato il contatto con l’equipe (educatori, psicologi, assistenti sociali, operatori e ausiliari della Comunità “Migrantesliberi”) che all’unisono ha deciso di continuare a garantire tutti i servizi. Una scelta dettata dallo spirito di condivisione e dall’indole altruista soprattutto nei confronti dei più deboli che, a maggior ragione, in questo particolare periodo hanno bisogno di maggiori attenzioni per non gravare ulteriormente sulla già comprovata sanità pubblica.
Contenimento della distanza di sicurezza, utilizzo dei DPI, particolare attenzione per l’igiene collettiva, ma anche nuovi metodi educativi e sociali per prestare la giusta attenzione all’altro.
Gli operatori e i volontari della Comunità “Migrantesliberi”, all’interno delle varie Case Famiglia si sono trovati ad organizzare nuove attività ludico ricreative, favorire scambi, interazioni e far comprendere la gravità dell’emergenza al fine di ottenere collaborazione da parte degli ospiti ed annullare, o quanto meno limitare al minimo, i nervosismi che purtroppo possono insorgere quando si è costretti a stare troppo tempo tra le mura domestiche. «Siamo fortunati – commenta don Geremia Acri– perché la “cura della relazione”, da sempre filo conduttore del nostro modus operandi, in questa circostanza si sta rivelando foriera di grandi sorprese. Affrontare con serenità le difficoltà del tempo sospeso dalla pandemia ci mette nella condizione di conoscere meglio l’altro e tessere relazioni umane di grande valore. Certamente non possiamo salvare il mondo e tutta l’umanità, ma come diceva Madeleine Delbrêl: “Salvare il mondo non significa offrirgli la felicità, ma dare un senso alla sua sofferenza e regalargli una gioia che nessuno potrà sottrargli”».
È questo un tempo nuovo per tutti e la necessità diventa virtù. La nostra scelta di prossimità testimonia, ancora una volta, che operare nel sociale significa concretizzare con coraggio azioni educative mirate al bisogno reale di ogni persona in quanto unica ed inimitabile. Mi piace pensare ad un “Welfare di relazione” che si sostituisce o, meglio, arricchisce quello “istituzionalizzato” che talvolta “garantisce” solo risposte attraverso rigidi schemi organizzativi e burocratici. Che sia sociale, economico, organizzativo e istituzionale, oggi bisogna promuovere su tutti il “modello umano” di relazioni per favorire risposte solide e coese e rafforzare la rete di servizi e di solidarietà già esistenti. Il Covid-19 ci sta togliendo tanto, ma altresì ci sta mettendo sotto gli occhi l’essenziale, finora invisibile».