Preghiera al tramonto

Mons. Angiuli: comportiamoci da figli della luce

Cari fratelli e sorelle, la quarta domenica di quaresima, tradizionalmente chiamata domenica “Laetare” è la “sorella gemella” della terza di Avvento, la domenica “Gaudete”. La liturgia ci fa pregustare in anticipo la gioia pasquale. L’antifona d’ingresso ci ha invitati a esultare con queste parole: «Rallegrati,
Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione».
Lasciamoci incantare da questo poetico appello alla gioia. È bello vedere la quaresima come un’aurora che annuncia il sole di Pasqua! Questa domenica rappresenta un momento di serenità in mezzo alla mestizia di questi giorni. In fondo, è un bisogno umano vivere nella gioia. Il battesimo è il sacramento della gioia. Dopo la nascita alla vita naturale, dà inizio a quella spirituale. Un fremito di gioia pervade i genitori, i familiari e tutta l’assemblea liturgica. La “nuova creatura” è una nuova primavera a livello personale, familiare ed ecclesiale.
In queste ultime tre domeniche di quaresima dell’anno A, l’itinerario penitenziale assume una più evidente tonalità battesimale. Dobbiamo fare memoria del nostro battesimo e vivere gli impegni spirituali che abbiamo assunto. Le tre figure evangeliche della samaritana, del cieco nato e di Lazzaro rappresentano i tre simboli battesimali: l’acqua, la luce e la vita. Possiamo così riscoprire i significati spirituali del rito battesimale: siamo stati lavati dal peccato, abbiamo riacquistato la vista spirituale e abbiamo stretto un’indistruttibile alleanza con le tre persone della Trinità. Il cristiano è una persona purificata dal male, illuminata nel cuore e nell’intelligenza, e rinata a vita nuova per opera dello Spirito Santo. Ecco la nostra nuova identità!
Pertanto, vi esorto con le parole di san Leone Magno: «Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo».

Cari fratelli e sorelle, non passate troppo facilmente sopra il mistero dell’unzione sacramentale. Essa realizza la nostra mistica trasformazione! La prima lettura ha richiamato l’unzione regale di Davide (cfr. 1Sam 16, 1.4. 6-7. 10-13). Il battesimo ci conferisce anche l’unzione profetica e sacerdotale. L’unzione regale ci spinge a lottare contro Satana. L’unzione profetica ci invita ad annunciare il Vangelo a ogni persona, fino ai confini del terra. L’unzione sacerdotale ci esorta a pregare e a fare «in ogni cosa eucaristia» (1Ts 5,18).
I gesti di Gesù nei riguardi del cieco nato sono molto eloquenti (Gv 9,6-7). Tocca gli occhi del corpo e guarisce anche quelli dell’anima. Nelle sue mani esperte, il fango, ossia la debolezza dell’uomo, diventa una medicina spirituale che, insieme all’acqua della fonte, cioè allo Spirito Santo, risana e dona la vita nuova. La fragilità della carne è sostenuta dalla grazia dello Spirito. Diventati luce nel Signore, dobbiamo comportarci come figli della luce, gareggiando «in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5,9). Essere veri cristiani significa cercare, scegliere e compiere solo ciò che è gradito al Signore (cfr. Ef 5,10).

Cari fratelli e sorelle, a me sembra che la particolare situazione che si è venuta a creare con il coronavirus ci impone molti limiti, ma ci offre anche un “tempo favorevole” per vivere più profondamente il cammino quaresimale. Durante questo tempo siamo invitati a praticare le tre opere penitenziali: la preghiera (rosario, lectio divina, lettura della vita dei santi), il digiuno corporale e spirituale, l’elemosina. La forzata permanenza a casa può trasformarsi in un’occasione propizia per vivere meglio questi fondamentali esercizi spirituali. Soffermiamoci ancora una volta a esaminarli.

Per pregare più intensamente è necessario costruirsi la “cella interiore”. Attingendo al Vangelo (cfr. Mt 6,1-18), i Padri della Chiesa hanno insegnato il dovere di coltivare la vita interiore per entrare in profonda comunione con Dio e non trovarsi sballottati da qualsiasi vento di dottrina (cfr. Ef 4,1). È nota l’esortazione di sant’Agostino: «Non estraniarti, rientra in te stesso, la verità abita dentro di te». È l’invito a non andare vagando al di fuori della propria anima, disperdendosi nell’esteriorità, ma a rientrare in se stessi. La verità abita nel fondo del cuore. In quell’abisso, Dio prende dimora e dialoga silenziosamente con l’anima. Gesù ha detto: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Questa era anche una delle convinzioni più care a santa Caterina da Siena. Il suo biografo, il beato Raimondo di Capua, scrive che la santa «si costruì un eremo mentale, una cella tutta interiore, dalla quale stabilì di non uscire, benché fosse impegnata in qualsiasi negozio esterno». In numerose lettere, la santa senese confida che si era costruita una celletta nel cuore erigendola sulle fondamenta dell’umiltà, con le pareti di speranza, imbiancata di purezza, con lo zoccolo della fede, col soffitto di prudenza, con la finestra dell’obbedienza, la porta della carità, la chiave della povertà, l’ornamento di un crocifisso. Rimanendo nella sua “cella interiore” svolse un’intensa attività, viaggiando per il mondo, assistendo gli infermi, e dialogando con i potenti della terra del suo tempo.

Il digiuno ci chiede di vivere la contritio e la compuntio cordis. L’uomo moderno si illude di potersela vedere “a tu per tu” con Dio senza vivere il pénthos cioè il dono delle lacrime. Il termine pénthos ha la stessa radice del vocabolo pathos. Sul piano etimologico derivano entrambi dal verbo pathein, che significa soffrire. Il pentimento è un dolore interiore che apre a una relazione con Dio e con il prossimo ed ha, come obbiettivo, la ricostruzione di queste relazioni fondamentali. Il pénthos opera in una duplice maniera: come acqua, estingue la fiamma delle passioni e purifica l’anima dalle sue macchie; come fuoco, grazie alla presenza dello Spirito santo, vivifica, infiamma e riscalda il cuore, accendendolo d’amore e di desiderio appassionato di Dio. Le lacrime sono un secondo battesimo. Nel primo, l’acqua è simbolo delle lacrime. Nel secondo, il simbolo cede il posto alla realtà.
Nel IV secolo, la via delle lacrime si affermò in tutta la sua ricchezza nelle espressioni ascetiche e mistiche. I padri del deserto e i Cappadoci furono tra i primi a sottolineare il valore delle lacrime. Papa Francesco è ritornato più volte su questo tema, anche perché non è altro se non lo sviluppo della beatitudine evangelica: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4). In questi giorni difficili, sperimentiamo la bellezza del pentimento, del pianto e della contrizione!

L’elemosina ci impegna a vivere la carità attraverso le opere di misericordia corporali e spirituali. La fantasia della carità è grande. Seguendo le indicazioni della caritas diocesana e rispettando le norme civili, nella misura del possibile, aiutate le persone anziane e sole a risolvere le incombenze quotidiane. Porgete a tutti parole di consolazione e di speranza. Non potendo accostarvi ai sacramenti, rafforzate i vincoli di comunione e di fraternità, amandovi di vero cuore e pregando gli uni per gli altri. Invochiamo insieme il Signore perché ci sostenga in questo tempo di prova e, con il salmista, gli chiediamo: «Rendici la gioia per i giorni di afflizione, per gli anni in cui abbiamo visto la sventura. Si manifesti ai tuoi servi la tua opera e la tua gloria ai loro figli. Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio: rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza» (Sal 89, 15-17).