La mattina di sabato 30 maggio 2020 nella Basilica Cattedrale di Spoleto l’arcivescovo Renato Boccardo ha presieduto la Messa Crismale, che si sarebbe dovuta tenere il 9 aprile scorso, rinviata dopo la chiusura totale dell’Italia a causa del Covid-19. Erano presenti tutti i presbiteri della Diocesi a significare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio Vescovo. Presente il vescovo emerito di Orvieto-Todi mons. Giovanni Scanavino, che vive nel convento degli agostiniani di Cascia. In questa Messa sono stati consacrati gli Oli Santi: il Crisma, l’Olio dei Catecumeni e l’Olio degli Infermi. Tutti i sacerdoti, poi, hanno rinnovato le promesse fatte nel giorno dell’ordinazione. Si è trattato della prima Messa che mons. Boccardo ha celebrato nel Duomo dal giorno (18 maggio, ndr) in cui è stato possibile tornare a vivere l’eucaristica con i fedeli. A causa della ridotta capienza della Cattedrale per il “distanziamento sociale”, sono state accolte solo un centinaio di persone, che hanno occupato i posti indicati sui banchi; non c’è stata la distribuzione degli Olii al termine della celebrazione (essi verranno recapitati nella settimana seguente ai Pievani, che li faranno pervenire ai Parroci della propria Pievania; la Messa è stata trasmessa in diretta sulla pagina Facebook (SpoletoNorcia) e sul canale YouTube (Archidiocesi Spoleto Norcia) della Diocesi.
All’inizio dell’omelia l’Arcivescovo ha ricordato quei sacerdoti che celebrano un anniversario significativo del proprio ministero presbiterale: don Dario Dell’Orso rettore emerito della Basilica di S. Benedetto in Norcia 70 anni, mons. Giuseppe Chiaretti arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve 65 anni, don Giuliano Medori parroco di Poggioprimocaso di Cascia 55 anni, don Renzo Persiani parroco di Cascia 50 anni, padre Angelo Beda Ison dei Francescani della Custodia di Terra Santa 25 anni. É fatta grata memoria di quei presbiteri chiamati in questo ultimo anno a celebrare la liturgia del cielo: don Natale Rossi, padre Luigi Montanari degli Agostiniani di Cascia, padre Bonaventura Vergari dei Francescani di Monteluco e don Giovanni Ferri.
La crisi del Covid-19 fonte di trasformazione. «L’esercizio del nostro ministero – ha detto mons. Boccardo nell’omelia – si colloca in un tempo particolare che ha “scombussolato” la vita del mondo. Ma ogni crisi è fonte di trasformazione. Così come di purificazione, di correzione, di rinnovamento. E, prima ancora, di verità. Perché ha la caratteristica di porre in evidenza ciò che normalmente rischia di passare in secondo piano; diventa una opportunità per ricentrarsi sull’essenziale, che non è diverso da ciò che dovrebbe orientare le scelte e i comportamenti di ogni tempo». In questo tempo di Covid-19 «sono germogliate – ha proseguito – cose belle e per certi versi inaspettate: la riscoperta di relazioni più autentiche, la condivisione nella fede in famiglia, un contatto più profondo e vitale con la Parola di Dio, una rinnovata attenzione e sensibilità operativa nei confronti di chi è nella sofferenza e nel bisogno».
L’Arcivescovo ha concluso l’omelia (consultabile per intero nel sito www.spoletonorcia.it<http://www.spoletonorcia.it>) consegnando a se stesso e ai preti due verbi su cui riflettere: “lasciare” e “desiderare”. «Come affronteremo la paura di lasciare? Perché certamente dovremo scegliere di lasciare alcuni aspetti della nostra abituale vita ecclesiale. Saremo in grado di compiere qualche scelta coraggiosa? Come accompagneremo le comunità nell’abbandonare abitudini consolidate e non più corrispondenti al tempo che viviamo? Come le aiuteremo ad investire in percorsi inediti? Sarà importante come presbiteri e come Chiesa diocesana dare un nome alle paure, altrimenti esse domineranno le scelte (o le non-scelte)». E poi, “desiderare”: «Siamo preti ancora capaci di desiderare un domani per la nostra Chiesa? Sentiamo la gioia di metterci in gioco, di lasciarci inquietare, di non rassegnarci al quieto vivere? Desiderare è guardare la stella polare del nostro ministero, è sentite la nostalgia per quello cui abbiamo donato la vita. I preti anziani non dovrebbero contare solo gli anni che stanno davanti a loro, ma essere lieti che i sogni per i quali hanno faticato lungo il loro ministero siano consegnati con nuovo slancio alla generazione futura. I sacerdoti di mezza età dovrebbero sentire che il meriggio fecondo del loro ministero non è una rendita, ma un tesoro prezioso in vasi di creta (cf 2 Cor 4, 7), la manna che deve essere rinnovata ogni giorno (cf Es 16, 16-20), vivendo il dono del ministero non da soli ma nella sinfonia dei legami ecclesiali. I preti giovani intuiscono che la Chiesa di domani sarà la loro Chiesa. Forse saranno meno numerosi, ma se non coltivano fin da ora legami di fraternità e di prossimità tra loro, con i giovani, le famiglie e le comunità, non potranno tessere il loro futuro».
All’inizio dell’omelia l’Arcivescovo ha ricordato quei sacerdoti che celebrano un anniversario significativo del proprio ministero presbiterale: don Dario Dell’Orso rettore emerito della Basilica di S. Benedetto in Norcia 70 anni, mons. Giuseppe Chiaretti arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve 65 anni, don Giuliano Medori parroco di Poggioprimocaso di Cascia 55 anni, don Renzo Persiani parroco di Cascia 50 anni, padre Angelo Beda Ison dei Francescani della Custodia di Terra Santa 25 anni. É fatta grata memoria di quei presbiteri chiamati in questo ultimo anno a celebrare la liturgia del cielo: don Natale Rossi, padre Luigi Montanari degli Agostiniani di Cascia, padre Bonaventura Vergari dei Francescani di Monteluco e don Giovanni Ferri.
La crisi del Covid-19 fonte di trasformazione. «L’esercizio del nostro ministero – ha detto mons. Boccardo nell’omelia – si colloca in un tempo particolare che ha “scombussolato” la vita del mondo. Ma ogni crisi è fonte di trasformazione. Così come di purificazione, di correzione, di rinnovamento. E, prima ancora, di verità. Perché ha la caratteristica di porre in evidenza ciò che normalmente rischia di passare in secondo piano; diventa una opportunità per ricentrarsi sull’essenziale, che non è diverso da ciò che dovrebbe orientare le scelte e i comportamenti di ogni tempo». In questo tempo di Covid-19 «sono germogliate – ha proseguito – cose belle e per certi versi inaspettate: la riscoperta di relazioni più autentiche, la condivisione nella fede in famiglia, un contatto più profondo e vitale con la Parola di Dio, una rinnovata attenzione e sensibilità operativa nei confronti di chi è nella sofferenza e nel bisogno».
L’Arcivescovo ha concluso l’omelia (consultabile per intero nel sito www.spoletonorcia.it<http://www.spoletonorcia.it>) consegnando a se stesso e ai preti due verbi su cui riflettere: “lasciare” e “desiderare”. «Come affronteremo la paura di lasciare? Perché certamente dovremo scegliere di lasciare alcuni aspetti della nostra abituale vita ecclesiale. Saremo in grado di compiere qualche scelta coraggiosa? Come accompagneremo le comunità nell’abbandonare abitudini consolidate e non più corrispondenti al tempo che viviamo? Come le aiuteremo ad investire in percorsi inediti? Sarà importante come presbiteri e come Chiesa diocesana dare un nome alle paure, altrimenti esse domineranno le scelte (o le non-scelte)». E poi, “desiderare”: «Siamo preti ancora capaci di desiderare un domani per la nostra Chiesa? Sentiamo la gioia di metterci in gioco, di lasciarci inquietare, di non rassegnarci al quieto vivere? Desiderare è guardare la stella polare del nostro ministero, è sentite la nostalgia per quello cui abbiamo donato la vita. I preti anziani non dovrebbero contare solo gli anni che stanno davanti a loro, ma essere lieti che i sogni per i quali hanno faticato lungo il loro ministero siano consegnati con nuovo slancio alla generazione futura. I sacerdoti di mezza età dovrebbero sentire che il meriggio fecondo del loro ministero non è una rendita, ma un tesoro prezioso in vasi di creta (cf 2 Cor 4, 7), la manna che deve essere rinnovata ogni giorno (cf Es 16, 16-20), vivendo il dono del ministero non da soli ma nella sinfonia dei legami ecclesiali. I preti giovani intuiscono che la Chiesa di domani sarà la loro Chiesa. Forse saranno meno numerosi, ma se non coltivano fin da ora legami di fraternità e di prossimità tra loro, con i giovani, le famiglie e le comunità, non potranno tessere il loro futuro».