Mons. Carboni: l’occasione per “rientrare in noi stessi”

Mons. Carboni: l’occasione per “rientrare in noi stessi”

In queste ultime settimane, come molti di voi, sono stato costretto dalla drammatica situazione che stiamo vivendo ad annullare incontri con le comunità cristiane, celebrazioni, momenti di formazione e preghiera, visite all’ospedale e ai malati. Manca a me come a tutti voi la dimensione relazionale e la presenza “fisica”, con la quale normalmente comunichiamo ed esprimiamo vicinanza, amicizia, interesse, affetto. Questo però ci rende maggiormente consapevoli che esiste anche un’altra dimensione nella relazione, e cioè la capacità di far sentire la presenza e l’interesse attraverso differenti codici di comunicazione. D’altra parte, ci sono tante persone che spesso lavorano lontane dalle loro famiglie e dai loro cari, anche per mesi, ma non per questo mancano di far sentire il loro affetto e la vicinanza in tanti modi. Per noi cristiani, fare comunità, sentirci un corpo solo, non si esaurisce nella presenza fisica, ma nella consapevolezza condivisa che è il Risorto che crea comunità e ci raduna.

All’inizio del cammino di Quaresima la liturgia ci ha ricordato che si tratta di un tempo penitenziale e austero. Oggi, a quasi un mese dal mercoledì delle ceneri, ci rendiamo conto di quanto quella indicazione sia stata veritiera. Un tempo penitenziale diverso da quello che avevamo immaginato e che ci mette alla prova. Al tempo stesso dobbiamo riconoscere che la difficile situazione che stiamo vivendo è anche tempo di grazia, anche se non facile da comprendere. Siamo tentati di chiedere a Dio ragione di questa emergenza; sappiamo che il Signore non manda virus o malattie, ma è piuttosto la nostra fragilità creaturale che ci espone a questi eventi che spesso non possiamo prevedere. Il Signore non è distante dalla nostra sofferenza, anzi il vangelo lo presenta spesso come medico delle anime e dei corpi. Attraverso il dono dell’intelligenza e dell’empatia ci ha dato la capacità di collaborare, di aprirci agli altri, di sentire come il dolore di altri uomini e donne è anche nostro; ci sprona a trovare strade per affrontare e risolvere il problema, per creare una rinnovata umanità che si renda conto di essere fragile ma in questa fragilità si senta più unita e disposta a superare le divisioni che la feriscono. Dovremmo leggere con attenzione questi segni che ci ricordano come contrasti e fratture rendono ancora più difficile il vero bene di tutti.

Il ritmo della nostra vita è rallentato. Può essere una buona occasione per “rientrare in noi stessi” come direbbe S. Agostino, dedicando tempo alla riflessione, alla preghiera, all’incontro con Dio. Anche se ci può sembrare strana la chiesa aperta ma vuota, o il suono delle campane che invitano a una celebrazione che non ci sarà, tutto questo è l’invito a leggere la presenza del Signore in mezzo a noi e dentro di noi. Quelle campane e quella porta aperta su una chiesa deserta ci ricordano che il tempio siamo noi, che possiamo cercare e trovare il Signore nel nostro cuore. San Paolo ci ammoniva: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? … Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi” (1Cor 3,16). Certo, dobbiamo riconoscere che abbiamo nostalgia della Chiesa fatta di pietre, dove si celebra l’Eucaristia domenicale e i sacramenti della nostra vita cristiana: battesimo, Eucaristia, Confermazione, matrimonio e spesso l’ultimo saluto alle persone care. Non si tratta di mettere in contrapposizione i luoghi della presenza del Signore, ma piuttosto imparare ad apprezzarli entrambi. Partecipare all’Eucaristia, “fare la comunione” è certo fondamentale nel cammino di crescita della nostra vita cristiana, ma non meno importante è “fare comunione” con Cristo e con gli altri anche in altri modi. Sentirci parte di una comunità che condivide preoccupazioni e speranze e che si ritrova nell’invocare il proprio Signore. Così comprenderemo che essere Chiesa ha molti modi di realizzarsi: quello sacramentale, ma anche quello comunionale, caritativo, contemplativo.

Questa è occasione propizia per riscoprire la famiglia, lo stare insieme e dedicare tempo al dialogo e all’ascolto. Il Signore ci ha detto: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Abbiamo sentito parlare spesso di “Chiesa domestica”, ma forse mai come in questa circostanza ne comprendiamo la verità. Se non possiamo andare nella Chiesa di pietra, facciamo “chiesa” in famiglia. Siamo talmente abituati a identificare la Chiesa con la presenza del sacerdote, che non ci ricordiamo che tutti, nel battesimo, facciamo parte del popolo di Dio. Il Concilio Vaticano II ha messo in evidenza il sacerdozio comune dei fedeli, come ci ricordava anche la prima lettera di Pietro: “Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2,5). Siamo dunque chiamati a riscoprire in famiglia la presenza del Signore, specialmente nelle Sua Parola, nella meditazione della Scrittura.

È vero che partecipare, almeno attraverso le immagini che in questo tempo ci vengono offerte dalla tv o via streaming, alla celebrazione Eucaristica ci aiuta e conforta, ma dobbiamo a questo aggiungere anche la nostra parte, il nostro ascolto. Solo così il digiuno eucaristico potrà essere mitigato dal nutrimento della Parola.