I giorni di primavera sono particolari per la vita delle nostre comunità cittadine. Ognuna celebra la propria festa, in onore del proprio Santo Protettore. Lo fa con quei colori, quei riti, quei gesti, quelle tonalità che distinguono e la rendono unica ciascuna, unicità che custodisce, esprime e trasmette l’identità di quella comunità.
La Pandemia che stiamo attraversando ci priva anche di questo. Ogni comunità risulta mortificata, potata, si può dire anche aggredita, in quella che è la sua identità, perché è impossibilitata a porre gesti, a vivere incontri, a celebrare eventi, che hanno come protagonista, non la folla anonima e omologata della movida, ma il Popolo nella sua realtà profonda, che, nel celebrare la Festa del Santo Patrono, in quei gesti, così specifici e speciali, esprime la gioia e l’orgoglio della propria unicità e della tradizione che ne manifesta l’identità.
Mi sono chiesto: quello che ci capita è solo un brutto momento da subire rassegnati, nell’attesa che tutto passi,? E anche: come reagire per non risultare sopraffatti da quanto accade?
Certo, lo comprendiamo tutti: non possiamo cercare surrogati consolatori e nemmeno inventare alternative che risultino riduttive e lasciano comunque la tristezza nel cuore.
Penso che ci possa aiutare quanto Papa Francesco ha detto al termine di una lunga intervista che gli hanno fatto proprio nel momento in cui la Pandemia ha manifestato la sua brutalità nell’aggredire il vissuto di tutti noi. Egli ha fatto riferimento a un verso di Virgilio quando Enea, sconfitto a Troia, aveva perduto tutto e gli restavano due vie d’uscita: o rimanere là a piangere e porre fine alla sua vita, o fare quello che aveva in cuore, ovvero andare oltre, andare verso i monti per allontanarsi dalla guerra. È un verso magnifico, dice il Papa, citandolo: «Mi rassegnai e sollevato il padre mi diressi sui monti». E conclude: “è questo che tutti noi dobbiamo fare oggi: prendere le radici delle nostre tradizioni e salire sui monti.”
Carissimi, quella che Papa Francesco ci propone, se da una parte può sembrare una ritirata, dall’altra ci aiuta a entrare nella possibilità nuova che la triste circostanza che viviamo contiene per noi. Innanzitutto, egli ci invita a prendere sulle spalle le nostre tradizioni.
Ci dobbiamo allora chiedere: Cosa significa questo? Mi sembra di poter dire che dal momento che siamo impediti nell’azione, abbiamo la possibilità di rivisitare il senso e il significato di quanto, con orgoglio e fedeltà, ripetiamo ogni anno nella ricorrenza della Celebrazione della Festa.
Qual è la radice di tutto, quali le motivazioni che la animano e la rendono parte della nostra vita di popolo, quali gli elementi che fanno vibrare l’animo e il cuore di ciascuno nel preparare e nel vivere gli eventi che la costituiscono, quale il frutto che godiamo e condividiamo ogni anno e che fa sorgere sempre in noi il desiderio di riproporre e rivivere ciclicamente tutto con nuovo slancio e nuovo ardore?
Sono domande che consegno a ciascuno di voi e nello stesso tempo che propongo a ciascuna delle vostre comunità. Un invito alla ricerca del senso e dell’anima delle nostre feste che poi, se fatta, insieme, fa scoprire il fuoco che c’è sotto e che anima tutto e diventa un vero antidoto al folklore che rischia purtroppo di diventare elemento prevalente delle tradizioni quando si perdono la memoria e le motivazioni che la festa contiene.
Dal verso di Virgilio proviene un secondo suggerimento sottolineato da Papa Francesco, quello di salire sui monti. Anche qui se il primo suggerimento ci invita a ricercare la profondità , questo ci spinge a guardare tutto dall’alto.
Dai monti, dall’alto, si vede l’insieme, si trova il giusto distacco per comprendere il tutto. E’ anche questa una operazione necessaria per entrare nella contemplazione della bellezza delle cose e dei gesti che compongono la realtà.
In questo suggerimento dobbiamo cogliere un richiamo chiaro e preciso: l’invito a cogliere e leggere tutto alla luce della Parola di Dio. Proprio questo è il significato che nella Bibbia viene attribuito al riferimento ai monti. Ce lo dice il Salmista: “alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra” (Sal 120). E’ proprio la Parola di Dio il fondamento di tutto quello che esiste: leggiamo nel prologo di San Giovanni che tutto è stato fatto per mezzo della Parola e in vista della Parola. E si dice anche che la Parola si è fatta carne, storia, ha posto la sua dimora in mezzo a noi. Di quella Parola, la Parola accolta e vissuta nella fede è espressione ogni gesto della nostra vita personale e collettiva, lo può essere in negativo, in quanto Parola rifiutata, o in positivo in quanto Parola accolta. E’ lì che va ricondotta la nostra vita di singoli: a quanti l’hanno accolto, continua Giovanni, ha dato il potere di diventare Figli di Dio, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo ma da Dio sono stati generati. E è sempre lì che va ricondotta la nostra vita di Popolo di Dio: ecclesia è l’assemblea dei convocati e raccolti dalla Parola di Dio ascoltata e vissuta e testimoniata.
Come vedete c’è un bel cammino davanti a noi, ma soprattutto una grande possibilità: quella di ritrovare noi stessi, le nostre radici e una relazione più viva e profonda con Gesù Cristo la cui Pasqua di Morte e Risurrezione celebriamo nella vita e nell’esempio della vergine Maria e dei nostri Santi patroni.
Camminiamo insieme nella gioia che nasce dalla consapevolezza di essere concittadini dei Santi e eredi di una vita che non muore.