«Ecco che cosa devono oggi fare i ragazzi», ecco cosa dobbiamo fare tutti. Nel Pontificale di Pasqua – quando continua a sgomentare l’immagine del Duomo deserto, come ormai non dovrebbe più essere, dopo l’intera Quaresima e il Triduo Pasquale vissuti solo attraverso i media, l’Arcivescovo, dalla sua Cattedra, parla per primi ai più giovani, ma il messaggio è rivolto, evidentemente, a ciascuno.
La processione breve, l’aspersione con l’acqua benedetta dei pochissimi presenti, qualche Canonico del Capitolo concelebrante, gli animatori della liturgia, tra cui i lettori – significativamente due rappresentanti delle Forze dell’Ordine, il maresciallo Rocchetta Minnone per l’Arma dei Carabinieri, e l’agente Alessandro Raucci per la Polizia di Stato -, il Vangelo di Giovanni, precedono la riflessione del Vescovo Mario, che parte, appunto dai ragazzi. Quelli che «disegnano le loro paure nel paese delle tenebre; che chiedono consigli e si rivolgono a chi ha più esperienza della vita «cercando, magari, ispirazione nei fratelli maggiori, adolescenti e giovani, che dicano quale sospetto li rende così inquieti di giorno e di notte, ossessionati a inseguire musiche e rumori, giochi estremi e volgarità imbarazzanti». Fratelli appena più grandi di loro, «spaventati nel paese delle tenebre e dell’ombra di morte».
Così come lo siamo tutti, anche gli adulti – genitori e zii -, «impensieriti, preoccupati e incollati in ogni momento ad ascoltare noiosissimi notiziari».
Poi, i nonni e bisnonni che sono, in questa dolorosa e buia partita di morte, forse, oggi più che mai.
«E infatti – prosegue il Vescovo Mario -, c’è un paese delle tenebre. È il paese dove si aspettava che dopo il tramonto sorgesse il sole, come succedeva sempre fin dall’inizio del mondo. E, invece, il sole non è sorto. Così il paese è diventato il paese delle tenebre, la terra dell’oblio, dove non si distinguono i colori e dominano il grigio e il nero».
Il paese dove «non si sta a tavola volentieri, perché non c’è niente da dire; non si sta volentieri al telefono o in video conferenza, perché non si trovano più parole. Non si sta volentieri neanche davanti alla televisione, perché da settimane continuano a ripetere le stesse parole». Insomma, là dove «non c’è musica, ma solo rumore».
Eppure, in questo mondo desolato, qualcosa rimane: l’attesa. «Si aspettava la Pasqua. Dicevano che sarebbe tornato il sole e perciò i colori, i giorni e le storie, le feste e gli abbracci. Nel paese delle tenebre a poco a poco si fece luce, brillarono i colori, si avvertiva un’aria lieta, si diffondeva una musica festosa. Ma che cosa era successo? Nessuno aveva visto sorgere il sole eppure la terra fu piena di luce». Quella che viene da dentro di noi, dallo splendore dell’anima, per cui le «tenebre non l’hanno vinta», come dice il Vangelo di Giovanni. «Perciò Maria adesso vede: il Crocifisso è il risorto: “Maestro”, lo chiama. Dentro s’è accesa la luce di Pasqua».
La speranza e l’impegno è di riuscire a comportarsi come figli della luce, secondo l’espressione di Paolo nella Lettera agli Efesini, proprio perché «si è accesa la luce amica che accarezza i fiori e li convince a sbocciare, così che il paese si colora di bellezza; la luce che accarezza i volti dei nonni e li convince a sorridere, così nasce il desiderio di raccontare storie e regalare saggezza. Dal cuore dove abita la luce vengono parole nuove: Dio si chiama Padre, il tempo si chiama occasione, la vita si chiama vocazione. Dentro s’è accesa la luce e uno sguardo nuovo visita il mondo: la persona che incontro si rivela sorella, fratello e si può scrivere una storia nuova: sembra che non sia cambiato nulla, invece il paese delle tenebre è diventato rivelazione. La terra è piena della gloria di Dio».
E, alla fine della Celebrazione – prima che venga impartita l’indulgenza plenaria concessa dal santo padre Francesco -, l’augurio. «In questi tempi siamo stati travolti da un’alluvione di parole che non accenna a finire. Forse anch’io ci ho messo la mia parte, però adesso non voglio più dire parole se non invocare la benedizione del Signore. Che entri in tutte le case, là dove l’essere chiusi in casa è più noioso, è più irritante. Arrivi la benedizione di Pasqua come un dono della gioia per la presenza di Gesù; arrivi come un ritmo, un orario della giornata fatto di momenti che danno gioia, non solo un’emozione di un istante. E voglio che la benedizione di Pasqua arrivi anche in quelle situazioni in cui, pur permettendolo le autorità, non si può uscire di casa. Per esempio, per chi non ha casa e, quindi, non ha un luogo dove riposare e rimanere chiuso; per chi è malato e ricoverato; per chi è in carcere e per tutti coloro che sono costretti da altri motivi a non uscire di casa».
Nel pomeriggio, l’Arcivescovo – accompagnato dal vicario episcopale della Zona pastorale I- Milano, monsignor Carlo Azzimonti -, visiterà la RSA “Anni Azzurri, Polo geriatrico-Riabilitativo” di Lambrate, proprio a sottolineare la vicinanza sua personale e dell’intera Chiesa ambrosiana agli anziani.