Mons. Fanelli: famiglie, scuole di vera umanità e di reale socialità

Mons. Fanelli: famiglie, scuole di vera umanità e di reale socialità

Carissime Famiglie,

  1. Augurio a tutte le mamme.

innanzitutto un grande augurio, carico di stima e di affetto, a tutte le mamme! La nuova fase dell’emergenza sanitaria ancora in corso, ci porta, nel rispetto delle misure cautelative per impedire il contagio, a riprendere gradualmente i ritmi del vivere sociale e comunitario. Sento il bisogno, all’inizio di questa “Fase 2”, in prossimità della festa della mamma nel mese dedicato alla Madre di Dio, di ringraziare tutte le famiglie per il grande senso di responsabilità mostrato e per essere state, come sempre, in questo lungo periodo di prova, scuola di vera umanità e di reale socialità.

  1. Le famiglie “scuole” di vera umanità

In modo particolare rivolgo il mio pensiero grato a tutte quelle famiglie che con amore e spirito di sacrificio “custodiscono” le persone segnate da disabilità, che ogni giorno sperimentano la fatica e la gioia di un accompagnamento mai facile, ma pur sempre ricco di vera umanità.

Penso alle nostre persone anziane, ai nostri cari nonni: a quanti vivono ancora nel focolare delle loro famiglie e a quanti nelle Case di riposo sperimentano un senso di famiglia che – sebbene non legato alla carne e al sangue – è pur sempre significativo ed efficace nel dare un concreto sostegno materiale e psicologico.

Penso anche ai bambini e ai ragazzi che, nelle case, con la loro presenza stabile e prolungata insieme ai genitori, hanno saputo trasformare, pur con qualche gestita turbolenza, il tempo difficile della pandemia in spazio anche di serenità e gioia.

  1. Il tempo verso la Pentecoste: un tempo decisivo per la nostra vita di fede

Questo periodo per la comunità cristiana coincide con un tempo importantissimo: il tempo di Pasqua, naturalmente proteso verso la Pentecoste. Esso è per noi cristiani un tempo veramente importante! Il periodo pasquale è per certi versi un cammino decisivo rispetto a ciò che è la sostanza della vita cristiana di ognuno. Questo itinerario non è soltanto un percorso liturgico, ma è soprattutto il cammino esistenziale di ogni vero discepolo di Gesù Cristo, nella consapevolezza che “senza lo Spirito, nulla è nell’uomo” (cfr. Sequenza di Pentecoste).

Come Chiesa diocesana di Melfi-Rapolla-Venosa, in questo tempo di lotta alla diffusione della pandemia, il cammino pasquale – che non abbiamo potuto vivere se non in forma telematica – è stato scandito dalla riflessione su sei atteggiamenti pasquali che costituiscono anche alcuni dei pilastri della vita cristiana.

In questi giorni della IV settimana del tempo di Pasqua, dopo aver riflettuto sui verbi “risorgere” e “camminare”, stiamo meditando sull’atteggiamento del “cercare il Signore”: il Signore, infatti, non lo si cerca mai individualisticamente, ma sempre comunitariamente e per creare comunione. Se la ricerca del Signore è sempre personale, l’incontro autentico con Lui rimanda ogni volta alla comunità!

  1. L’incontro con il Risorto ci apre alla comunione in comunità

L’incontro con Gesù Risorto non lascia mai nessuno nella solitudine e nell’isolamento, rimanda comunque a fratelli che condividono la gioia dello stesso incontro. Come non ricordare, a questo punto, le parole con cui Gesù accoglie la ricerca dei primi discepoli che gli domandano: “Maestro dove abiti?” (cfr. Giovanni 1,35-40). Domanda che, in fondo, significa: “Maestro quale è la tua casa, la tua famiglia?”. E Gesù a questa domanda risponde: “Venite e vedete”. Gesù risponde invitandoli ad un’esperienza concreta sia a livello affettivo e sia a livello di concretezza di vita: la verità che è Gesù parla sempre all’interno di un’esperienza che è  lo  stare con Lui (cfr. Mc 3, 13-15).

  1. Dalle famiglie la forza per crescere in umanità

Questa è la forza primigenia di ogni famiglia e di tutte le famiglie: offrire un’esperienza di vita per ogni insegnamento, anche e soprattutto per quello religioso. La famiglia non insegna a parole, ma con l’esempio di vita. La famiglia resta infatti la scuola esistenziale originaria ed insostituibile dell’arte di vivere, dove la “cattedra” è sempre circolare e dove il “giudizio di merito” nasce dalla capacità di saper accogliere dentro di sé l’altro.

“Cercare Dio” è la grande tensione esistenziale che attraversa la storia dell’uomo di tutti i tempi; la famiglia nel desiderio naturale di “cercare Dio” ha un ruolo importante. Infatti, si cerca il Signore insieme e lo si può trovare veramente in una esperienza viva, vitale e condivisa.

In questi giorni della pandemia abbiamo ri-sperimentato la verità che la vita non è nelle nostre mani e che per affrontarla umanamente non sono sufficienti né risposte soltanto materiali né soluzioni puramente tecnico-scientifiche; se le soluzioni tecnico-scientifiche sono importanti e le risposte materiali sono necessarie, le risposte valoriali e di significato sono insostituibili. Attraverso i valori e il senso della vita si dà una risposta chiara e incoraggiante, che dice la forza dell’esserci, dello stare accanto, del “puoi contare su di me”, nonostante tutto e grazie a tutto.

Le risposte umane più vere sono quelle veicolate dall’ “esserci”, essere “accanto” all’altro e essere “per” l’altro. Qui rinveniamo il valore insostituibile della famiglia e anche della famiglia di Dio, che è la Chiesa. Abbiamo bisogno di “casa”, di “famiglia” e di “appartenenza”; se con uguale necessità sentiamo il bisogno di “viaggiare” è anche perché abbiamo fatto esperienza di casa e di famiglia. Nei giorni della pandemia la “Chiesa-famiglia di Dio” (la comunità parrocchiale), con i sui ritmi liturgici, educativi e caritativi si è dovuta fermare, ma ha trovato nella “Famiglia-chiesa domestica” (la famiglia naturale) nutrimento, luce, forza e sostanza.

  1. Nella Parola di Dio l’antidoto per vincere ogni paura

Nel Vangelo di Matteo, nel cuore del discorso della montagna, Gesù invita a cercare il Regno di Dio e la sua giustizia (cfr. Mt 6, 24-34), non solo come esigenza prioritaria del discepolo, ma anche in contrapposizione ad uno stile di vita radicato nell’ansia e nella preoccupazione.

Gesù, dunque, anche per noi, oggi, in questo tempo particolare, contrappone lo stile del discepolo all’atteggiamento mondano del preoccuparsi, che è sempre sterile e autodistruttivo, visto come causa di ansia e come modalità di una vita vissuta in prospettiva egoistica che porta a disperdere le energie positive del cuore umano. Infatti, lo stile del discepolo sa radicarsi in ogni circostanza, e quindi anche nel tempo della sconfitta e della perdita, nella fiducia in Dio e nell’impegno ad allargare i confini del Regno, attraverso uno stile di vita evangelico improntato al dialogo e al servizio e attraverso il “difficile amore” (la carità, la misericordia) che spesso è incompreso e frainteso.

Il tempo della pandemia, che ci auguriamo di poter lasciare definitivamente dietro le nostre spalle, tra gli effetti che ha prodotto in tanti di noi c’è proprio l’ansia e la preoccupazione, che spesso  – nelle persone più fragili  –  si trasformano anche in panico. Il panico, però, con l’inevitabile senso di impotenza che genera, è un atteggiamento sempre pericoloso e dannoso, in modo particolare per una famiglia e una comunità.

Il cristiano può trovare l’antidoto a questo atteggiamento negativo di paura nella Parola di Gesù che invita, in ogni circostanza, a “non preoccuparsi e affannarsi”, perché dobbiamo avere la sicurezza che Dio Padre “sa ciò di cui abbiamo bisogno” (cfr. Mt 6, 25). Gesù stesso, infatti, mentre invita a non preoccuparsi, esorta anche a cercare il Regno di Dio e la sua giustizia (cfr. Mt 6,33), nella consapevolezza che tutto ciò che è necessario per la vita di ogni giorno ci verrà dato da Dio, che è il Padre, in sovrabbondanza.

  1. Dare stabilità alla vita poggiandosi sulla roccia dei valori e di relazioni autentiche

Il tempo della pandemia nella sua spietatezza ci ha offerto anche una lezione di vita costringendoci a riconsiderare il nostro modo di vivere e a tematizzare meglio l’esperienza della fragilità e della precarietà dell’esistere, realtà che spesso forse rimuoviamo con troppa facilità. Infatti, se da una parte siamo indotti a guardare alla vita con maggiore realismo, dall’altra dobbiamo riconoscere che una vita che non si radica sui valori è una esperienza poggiata sulla sabbia (cfr. Mt 7, 24-27).

Per le evidenti esigenze sanitarie a tutti note, abbiamo dovuto rallentare e “distanziare” i rapporti sociali, bloccando quasi totalmente ogni relazione e frequentazione sociale e comunitaria; ma non dobbiamo però mai dimenticare che i valori umani, le relazioni interpersonali e la solidarietà non possono essere mai oscurati o annullati da nessuna prescrizione: nessun uomo è un isola e nessuno può vivere in modo isolato.

Il blocco sanitario, che ancora perdura. pur con qualche allentamento, ha toccato anche il nostro modo di esprimere la vita di fede soprattutto, nel rapporto con l’Eucaristia e con la comunità stessa. Ma un altro effetto negativo, e per certi versi ancora più drammatico degli altri, legato alle conseguenze delle misure restrittive, è stato lo scenario economico, che sta gravando negativamente soprattutto sulle famiglie, accentuando fortemente disagi e determinando situazioni di vera povertà (mutui, cassa integrazione, lavoro, malattia, vecchiaia,  ecc…).

  1. Essere famiglia per tutti

Ma il mio pensiero se va con gratitudine alle famiglie, non può non rivolgersi in questo momento anche a coloro che, purtroppo, per tante ragioni, non hanno la fortuna di avere una famiglia. A tutte queste persone che vivono la grande povertà relazionale, dove dall’altro non ricevono un immediato riscontro che ci sei e che sei importante, dico la mia personale vicinanza e quella della comunità cristiana, che si sforza di essere famiglia di tutti e per tutti, in modo particolare per chi è in situazioni di necessità materiale e spirituale.

La solitudine e la povertà sono due grandi mali che si legano tra loro e che noi dobbiamo e possiamo sconfiggere. La famiglia, nella visione cristiana, resta il luogo vero dove la solitudine e la povertà, anche se presenti,  possono sempre essere affrontate, superate e addirittura vinte. La società civile e la politica hanno il dovere di promuovere la famiglia sempre e ovunque, perché è il modo vincente per estirpare dalla persona umana il senso di fallimento strutturale (che si manifesta nella solitudine e nella povertà), e che è alla base, spesso, anche di ogni devianza.

  1. Dall’illusione di onnipotenza alla responsabilità e alla cura per l’altro

Prima della pandemia, l’illusione di onnipotenza umana su tutto e su tutti dominava indisturbata. La pandemia, invece, ha mostrato una crepa profonda in questa grande illusione, che portava a credere di avere comunque – rispetto a qualsiasi situazione –  il pieno controllo immediato. Questo delirio di onnipotenza portava anche a minimizzare quegli aspetti propriamente “umani” della vita che dicono limite, fragilità, bisogno, responsabilità, fino a rimuoverli e a negarli.

Il tempo della pandemia, però, relegandoci nelle abitazioni, con lo slogan “io resto a casa”, ci ha insegnato che le nostre famiglie, e in particolare i nostri figli, non hanno bisogno solo di cibi, vestiti, medicine, inserimento sociale; ma anche e soprattutto di verità e di significati che rendono la vita degna di essere vissuta, soprattutto in momenti critici come quelli che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo.

Tutti, in questi giorni, abbiamo toccato con mano la fragilità e la precarietà della vita e che essa non dipende da noi. Abbiamo, però, anche mentalizzato meglio che il comportamento degli altri non è indifferente rispetto alla nostra situazione e che il cosiddetto bene comune non è un’idealità astratta: lo stile di vita corretto di ognuno è un aiuto importante per la tutela della salute di tutti!

Una certezza, però, dobbiamo rafforzare ed è la ragione per la quale vi ho scritto: le relazioni familiari sono sempre una ricchezza e comunque un dono. Lasciamo fuori dalle nostre famiglie le violenze, le incomprensioni, le falsità.  Facciamo, invece, sentire all’interno della famiglia la bellezza di un amore condiviso, forte, anche ferito, ma sempre sereno e mai sdolcinato. L’altro è sempre un mistero, contiene un segreto che va rispettato. La famiglia è lo spazio relazionale in cui si può accogliere anche l’incomprensione, la disarmonia, la differenza e la diversità. Nella famiglia dobbiamo poterci sentire amati e apprezzati, tutti, in modo particolare i bambini e i ragazzi, i malati e i disabili, perché possano sviluppare in se stessi la fiducia di fondo verso la realtà, la riconoscenza, la gratitudine e la gioia di essere immersi nell’amore del Padre celeste. La famiglia deve aiutare a passare dall’amore ricevuto all’amore donato, a sperimentare che è bello fare il bene, pregare, essere onesti, sinceri, giusti e generosi.

  1. Quattro parole per orientarsi nella vita: dalla gratitudine alla lode

Qualche giorno fa ho scritto ai giovani fidanzati in cammino verso il matrimonio. Ad essi, e anche alle famiglie già costituite, confermo la consapevolezza del valore che custodite e del ruolo specifico che avete accanto alla comunità ecclesiale in ordine all’educazione e alla crescita nella fede. Questo è un ruolo permanente,  ma emerge in modo particolare in questo tempo di emergenza sanitaria che ci ha portati a sospendere tutte le attività pastorali, dalla celebrazione delle Sante Messe agli incontri degli itinerari di catechesi per i vostri figli. Parlare di famiglia è considerare la vita nella sua dimensione più vera: genitori, figli, nonni, ammalati, disabili, lavoro, disoccupazione, impegni e programmi.

Il coronavirus con la sua subdola diffusione ha generato in tutti la fondata preoccupazione per la tutela della salute. Questo timore ci ha visti particolarmente protettivi per i bambini, gli anziani e gli ammalati, che essendo la parte più debole sono maggiormente a rischio, in quanto richiedono anche più attenzione e più cura.

  1. Famiglia “piccola chiesa”

Questa difficile situazione ha rappresentato anche l’opportunità, come dicevo, di riscoprire il valore della “famiglia” come “chiesa domestica”, dello stare insieme uniti nelle nostre case anche per vivere in maniera significativa e quotidiana alcuni ritmi della nostra fede, dove ogni genitore ha potuto sperimentare anche la bellezza di sentirsi il vero catechista nella/della propria famiglia.

La Chiesa e la società civile hanno comunque sperimentato in questa lunga quarantena il ruolo centrale e fattivo della famiglia e della casa: non solo come il luogo dove stare chiusi, ma soprattutto come l’ambito in cui si recuperano in maniera efficace energia e motivazioni e in cui rinvenire valori e sostegno per “abitare” tutte le relazioni sociali in modo propositivo.

L’altra grande consapevolezza  che è emersa a partire da questa pandemia rispetto soprattutto alle famiglie è l’educazione e l’educazione in famiglia. Abbiamo tutti compreso che su questo versante non si deve delegare ma creare alleanze. L’arte di educare che appartiene primariamente, anche se non in modo esclusivo alla famiglia, non può svolgersi in modo efficace senza la famiglia.

Da questo tempo di pandemia ricaviamo  senza vuote apologie un invito alle famiglie, ai genitori in particolare, a riscoprire l’arte di imparare ad educare vivendo ciò che si vuole insegnare. Questa arte diventa sempre più difficile in una società ricca di infinite risorse materiali, ma sempre più povera di verità e di ideali condivisi.

“Resto a casa”, slogan giustamente diffuso e praticato in questo tempo di emergenza sanitaria, dice anche la consapevolezza del valore umano e sociale della famiglia, dalla quale “non fuggo” e dalla quale “esco” per creare relazioni, dalla quale attingo energia esistenziale e dalla quale ho bisogno di uscire per sperimentare la bellezza di condividere valori e di confrontarmi con sempre nuovi stili di vita.

La famiglia, perciò, senza retorica, deve fondamentalmente, al di là di tutto, far sentire ai figli che essi sono amati e apprezzati, perché possano sviluppare in se stessi la fiducia di fondo verso la realtà, la riconoscenza, la gratitudine, la gioia di essere immersi nell’amore del Padre celeste.

Nella famiglia deve esserci certezza che la prima forma di educazione, è l’esempio di vita: i bambini sono recettivi; assimilano tutto ciò che l’ambiente offre; continuamente guardano, esplorano, toccano, fantasticano. Vogliono essere come i grandi, specialmente come i genitori. Se i genitori, e gli adulti, creano un clima di gioia serena, i ragazzi sono tranquilli e contenti. Se gli adulti sono instabili e ansiosi, sono inquieti e agitati. Se i genitori amano, imparano ad amare.

  1. La preghiera del Rosario insieme, come “famiglia di famiglie”

La fretta e a volte anche la frenesia con cui abitualmente ci colleghiamo alla vita quotidiana ci porta a trascurare la centralità della famiglia sia nelle sue risorse che nelle situazioni problematiche. In molte famiglie, in questi giorni, la convivenza imposta e prolungata ha anche condotto a far venire fuori problematiche che spesso si ignoravano. Proprio per questa ragione anche a voi famiglie affido quattro parole che Papa Francesco, in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, ha affidato ai giovani come bussola per la loro vita: gratitudine, coraggio, fatica e lode.

Queste quattro parole sono i punti cardinali della bussola della vita e sono anche i quattro pilastri su cui costruire le nostre relazioni e le nostre giornate.

Nella preghiera per questo tempo di pandemia ho chiesto al Signore che ci faccia uscire migliorati: che questo tempo fosse fucina di vera fraternità e che l’angoscia fosse sciolta in una preghiera semplice e fiduciosa.

Focalizzarci su ciò che è essenziale genera novità e ci fa crescere nonostante tutto. Queste quattro parole ci aiutano ad avere un approccio più sano e più realistico alla vita. La gratitudine ad esempio ci porta a cogliere, pur tra tante situazioni difficili, il positivo che c’è, il bene che è presente, la ricchezza vera che non marcisce. Essere grati è non solo saper guardare con ottimismo la vita o vedere “il mezzo bicchiere pieno”, ma è essenzialmente essere convinti che nella nostra vita c’è il segno della benevolenza di Dio e della sua paternità. Dalla gratitudine nasce anche il coraggio con cui affrontare le sfide e le difficoltà che la vita a volte ci presenta. Il coraggio dice consapevolezza che la situazione può essere trasformata, può essere orientata ad un bene maggiore, ecc …

La fatica, in questa prospettiva, diventa la fedeltà vissuta nell’attimo presente, come perseveranza e tenacia. Senza fatica non si apprezza il valore delle cose e delle persone. Anche le relazioni, anche quelle familiari, vanno tessute con cura se vogliamo sperimentare la gioia dello stare insieme. La lode diventa il ritmo del cuore della persona grata che non si ritira di fronte alle sfide della vita e che non ha paura della fatica da impiegare.

“Resto a casa”, per favorire la sconfitta della pandemia, ma “resto a casa” per favorire la mia crescita umana e cristiana; “resto a casa” per credere sempre di più nel valore di relazioni autentiche, generose e gratuite; “resto a casa” per vivere la fede senza pudore e senza vergogna. “Resto a casa” per reimparare a farmi il segno di croce e a pregare con i miei cari. “Resto a casa” per riaprire con i miei cari il Vangelo e per tenere in mano la corona del santo Rosario.

A questo proposito voglio non solo ricordarvi il nostro camminare verso la Pentecoste, seguendo il percorso che sto suggerendovi tramite il profilo facebook  Palazzo Vescovile di Melfi compiendo sei passi con sei verbi (risorgere, camminare, cercare, ecc), ma desidero anche invitarvi in questo mese mariano ad unirvi come “famiglia di famiglie” per recitare insieme il santo rosario in famiglia e per le  famiglie, martedì sera, 12 maggio, alle ore 21,00.

Con questa mia lettera ho accolto con gioia la proposta che mi è stata fatta dall’Ufficio per la Pastorale Familiare. Immediatamente in essa ho visto una opportunità bella per vivere insieme a voi, care famiglie, un’occasione forte per rinsaldare il nostro cammino di fede, ricentrandoci sulla Madonna, regina della famiglia, che con l’esempio della sua vita ci stimola a giocarci sempre sulle quattro parole di Papa Francesco.

In attesa di poter riprendere insieme, sia pur gradualmente, il nostro ordinario cammino sociale ed ecclesiale, e soprattutto nella speranza di poter celebrare insieme i Sacramenti invoco su di tutti voi la Benedizione del Padre misericordioso, perché ci custodisca e ci protegga da ogni male.

Vi assicuro che ogni giorno nella Messa che celebro, prego per voi e continuo a consegnare tutte le Famiglie della nostra Diocesi all’intercessione potente del Signore e alla protezione materna della Vergine Maria.

Il Signore benedica le vostre famiglie e vi dia la gioia di essere scuola di fede e di autentica umanità!