Domenica scorsa abbiamo iniziato la lettura del capitolo delle parabole del vangelo di Matteo e ci siamo soffermati sui diversi tipi di terreno. Abbiamo così da una parte riflettuto sulle diverse risposte dei vari tipi di terreno, ma poi abbiamo guardato con immensa soddisfazione ai frutti comunque abbondanti che si ottengono dal terreno buono. In quella parabola, dunque Gesù mette l’accento non solo e non tanto sulla qualità del terreno, ma sulla potenza della Parola. Infatti l’uomo si realizza accogliendo la Parola che viene seminata, facendola penetrare in tutto il terreno della propria umanità. È così che l’umanità porta frutto, cioè si realizza in pienezza.
Nelle parabole di oggi, invece, soprattutto nella prima, l’accento viene messo sulla diversa qualità del seme. C’è quello buono, il grano e quello cattivo, la zizzania. Il bene e il male, il buon seme e le erbe cattive sono radicati nel cuore dell’uomo, dove si affrontano in una contesa infinita, continua: il Signore della Vita e il nemico dell’uomo, il maligno.
La prima reazione di fronte alla presenza di erbe cattive è quella che viene spontanea: sradicarle, nella speranza di proteggere i frutti del buon seme. E così pensiamo di estirpare ogni possibilità di avanzamento del male, Certo, l’istinto suggerirebbe di agire così: strappare via, sradicare subito ciò che in te è sbagliato, immaturo. Strappa via ciò che è negativo e starai bene e produrrai frutto. Ma Gesù oggi mi invita a fare una riflessione più realistica, con uno sguardo più consapevole: non strappare le erbacce perché così rischi di sradicare anche il buon grano. La vera maturità non dipende da reazioni frettolose ed immediate, ma da grandi pensieri positivi, da grandi valori buoni coltivati con pazienza.
La tentazione di risolvere tutto subito con gesti clamorosi e dirompenti è forte e fa parte del nostro modo di pensare che ci fa credere di poter ottenere subito che tutto vada sempre al meglio e così sia eliminata ogni traccia di male. Più realisticamente Gesù, il divino seminatore, ci ricorda che noi tutti siamo un impasto di bene e di male, sempre alla ricerca di frutti di conversione, ma sempre dolorosamente testimoni di sconfitte e di cadute e ricadute.
Diciamoci con assoluta franchezza, se il Signore attuasse il metodo del “tutto e subito”, forse e senza forse non si salverebbe nessuno. In fondo, che cosa cerca in me il Signore? Non l’assenza, irraggiungibile, di difetti o di problemi, ma la presenza di quella profezia di pane che sono le spighe. Nelle parole evangeliche di oggi appare in tutta la sua forza rasserenante la prospettiva serena di un Dio seminatore, che guarda non alla fragilità presente di oggi ma al buon grano futuro, anche solo possibile. Lo sguardo liberante di un Dio che non ha fretta di concludere con giudizio sommario la nostra vicenda terrena, se lo avesse voluto fare, chissà da quanto tempo l’avrebbe già fatto. E meno male che non lo ha fatto; ma con bontà e grazia, pur se in frammenti, con generosità e bellezza, non cessa di attendere, con infinita pazienza, di vedere almeno germogli di vita evangelica. Io non sono i miei difetti, ma le mie maturazioni; non sono creato ad immagine del Nemico e della sua notte, ma a somiglianza del Padre e del suo pane buono.
Il Vangelo dunque ci ripropone, oggi come nostra atmosfera vitale, il respiro della fecondità, della fruttificazione generosa e paziente, di grappoli che maturano lentamente nel sole, di spighe che dolcemente si gonfiano di vita, e non un illusorio sistema di vita perfetta. Non siamo al mondo per essere immacolati, perfetti, ma in cammino verso la meta, ma sempre più fecondi di frutti di bene. Sì, perché Il bene è più forte del male, la luce conta più del buio, una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo.
Questo sguardo, sempre e comunque positivo del Vangelo ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dal quantificare ombre e fragilità. La nostra coscienza chiara, illuminata, sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio continua a seminare in noi, e poi curarlo e custodirlo come bene prezioso. Se noi crediamo tenacemente in tutto questo, se noi custodiamo e facciamo fruttificare le forze di bontà, di generosità, di tenerezza di accoglienza che Dio ci consegna, certamente vedremo la zizzania scomparire, perché non troverà più terreno.
La zizzania ha una radice ricca e sottile che penetra lontano e sradicandola togli anche il grano. Il Regno dei cieli non è questione di perfezione. Occorre perciò vigilare per resistere ad alcune tentazioni: La prima è anche una vera illusione: quella di eliminare la zizzania e creare un campo puro del solo grano. No, la storia ha dimostrato e dimostra che il Regno cresce e si compie in mezzo alla zizzania del nemico.
L’altra parabola, quella del granello di senape, poi mette in risalto, la consapevolezza che dobbiamo sempre avere del fatto che il Regno di Dio cresce attraverso piccoli gesti quotidiani, non è necessario pensare a grandi opere. Attenzione dunque alla tentazione della visibilità e della grandezza che cerca di attirare l’attenzione su di sé per vantarsene.
E infine, la terza parabola, quella del lievito ci avverte riguardo alla tentazione di distinguerci visibilmente nell’azione che compiamo, di farci notare con le opere, invece il Regno agisce come lievito nell’impasto.
Considerazioni davvero profonde che ci chiedono dunque esami di coscienza coraggiosi che vanno in profondità, nella correzione di noi stessi e nell’orientare i cammini delle nostre storie.