Carissimi confratelli sacerdoti, vi scrivo in un Giovedì Santo che non dimenticheremo facilmente: una “giornata sacerdotale” che ci chiede di andare veramente al cuore della nostra vocazione, del ministero di presbiteri e cappellani militari. Il nostro è un esistere per Cristo, in Cristo, con Cristo; è un essere per gli altri, negli altri, con gli altri. Il nostro sacerdozio, in virtù di un’offerta che – come dice la Scrittura (cfr. Eb 10,1-18) – non è quella di tori o di capri ma di tutta la nostra vita, in virtù dell’offerta di Cristo ci fa “relativi” al Signore, “relativi” al popolo che Egli ci ha affidato. In questa peculiare relatività, che nulla ha di relativistico, ritroviamo pienamente noi stessi, se è vero che, come afferma il Concilio, l’uomo «non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» (cfr. Gaudium et Spes, 24). Tale dono, per noi, è speciale; e oggi è il giorno per ricordarlo. Un dono ricevuto che ci abilita a essere dono; un carisma che dona identità, plasma la natura, trasfigura il cuore a misura del Cuore di Gesù. Relativi a Lui! E relativi al popolo.
È qui che ritroviamo anche il senso dell’essere sacerdoti in tempo di pandemia. Ritroviamo la grammatica della «carità pastorale» che ci è richiesta e ci vede spenderci per il gregge nella misura in cui siamo capaci di rivolgerci al Pastore Buono, all’Unico Pastore. Un lamento, oggi, attraversa la terra, si leva dall’umanità, parte dai cuori e dalle vite dei nostri militari, delle loro famiglie, delle comunità che continuiamo a guidare anche se apparentemente svuotate di volti e persone. Ma questo stesso lamento è il lamento di Cristo, di quel Dio che continuerà a gemere per tutta la storia, fino alla fine dei tempi, come direbbe Pascal. Entrare nel Mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore è entrare in questo concreto lamento dei nostri giorni, con il cuore aperto alla concreta Pasqua che attendiamo. In che modo?
Confesso che mi colpisce ascoltare con quanta insistenza Papa Francesco, mostrando quotidianamente una vicinanza pastorale al popolo di Dio, raccomandi a tutti la “creatività”. E vorrei, a mia volta, farmi latore di questa richiesta nei vostri confronti. La creatività come risposta all’attuale situazione di staticità, chiusura, sofferenza, morte… e la parola “creatività”, entrata nel gergo con un significato riduzionistico, ovvero per indicare semplicemente ingegnosità o innovazione, credo abbia invece il pregio di richiamarci alla fecondità creativa.
La creatività presbiterale come fecondità ministeriale, come partecipazione alla creazione e alla nuova creazione, in questo momento così necessaria. Una creatività, la nostra, che vorrei spingervi ad applicare ai “tria munera” del sacerdozio e che provo a schematizzare così:
- Creatività profetica
- Creatività pastorale
- Creatività santificante
- Creatività profetica
Una straordinaria forza creatrice, la prima di cui parla la Scrittura, appartiene alla Parola del Signore: Dio parla e crea! In questo tempo di silenzi, forse, abbiamo apprezzato maggiormente l’eco di tale Parola, ci siamo stupiti per la Sua sorprendente capacità di rispecchiare e descrivere la realtà che stiamo vivendo e di venirle incontro, offrendo risposte inimmaginabili.
Ecco, questa pandemia, non di rado muta e isolante, rappresenta una preziosa “ora dell’ascolto” e ci spinge ad ancorarci alla Parola come capacità profetica di lettura della realtà, delle situazioni, dell’animo umano. Capita anche a noi di sentirci sbilanciati verso interpretazioni sociologiche, psicologiche, statistiche… valutazioni certamente scientifiche e opportune, ma che non offrono uno sguardo completo e profondo sulla storia e non assicurano il discernimento nello Spirito.
La nostra gente, in questo tempo, ha bisogno di molte cose ma anzitutto ha necessità di cercare e trovare il “senso” nelle cose che accadono; e non risposte esaustive o rassicuranti, miracolistiche o catastrofiche. Il senso è un’altra cosa, è il valore nascosto delle cose, in grado di incidere sulla vita al punto di cambiarla, di imprimerle nuova direzione (“senso”, appunto). E il senso si impara anche grazie a una lettura profetica della storia che per noi è sempre Storia della Salvezza, Storia di un Dio che interviene, opera, si compromette; un Dio che è Presenza di amore, di pianto, di vita.
La lettura della Parola, la Lectio, è da riprendere con serietà, continuità, amore, particolarmente in questo tempo, come dono personale che diventa, e ci fa diventare, dono profetico per gli altri.
So di molti di voi già impegnati, particolarmente in questo tempo, a facilitare la diffusione di tale pratica nei fedeli, utilizzando le più moderne e veloci vie di comunicazione per educare alla Parola.
D’altronde, dove altro trovare la via per dare oggi più che mai, come direbbe Pietro, «ragione della speranza che è in noi» (cfr. 1Pt 3,15)? E come aiutare il nostro popolo a ritrovare la direzione del cammino, in questo momento di smarrimento e disorientamento, se non aiutandolo a gridare, ancora con Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna…» (Gv 6,68)?
- Creatività pastorale
Riguardo la creatività del ministero pastorale, tanti sono stati e sono i suggerimenti che ci vengono continuamente offerti; e sono certo che ciascuno di voi, a suo modo, sta sforzandosi di cercare sempre nuove vie per continuare, laddove si trova, la propria missione di pastore che accompagna i militari, che sta loro accanto con momenti di preghiera condivisa, con il rapporto umano, con una carità sollecita delle tante, diverse forme di povertà che bussano oggi alle nostre porte e ai nostri cuori.
Quante situazioni di solitudine mendicano prossimità!
Quanti malati e moribondi attendono una mano che li accompagni! E quante famiglie, da essi forzatamente separate, implorano consolazione!
Quanti medici, infermieri, operatori sanitari hanno bisogno di sostegno!
Quanti uomini e donne in divisa, dediti fino al rischio della vita – nei controlli di sicurezza, nei trasporti di malati o di defunti, nella lontananza delle missioni estere, oggi più amara che mai –, hanno diritto di non vedere sparire il proprio cappellano, anzi dovrebbero sentirne maggiore vicinanza!
E quante difficoltà lavorative, economiche, di enormi dimensioni, spettro delle povertà nuove, inedite, che la pandemia sta generando nei singoli e nelle famiglie, come nelle grandi e piccole imprese, necessitano di aiuto concreto!
So che voi cappellani militari, personalmente e con discrezione, state venendo incontro a tante di queste povertà, a costo di sacrificio di tempo, rischio di contagio, privazioni economiche. Ma confesso che mi ha commosso ricevere, da parte di alcuni di voi, la richiesta – che mi ero già proposto di formulare in questa Lettera – di porre, nell’emergenza Coronavirus, un segno di carità che sia dono della Chiesa Ordinariato Militare, specificamente della sua comunità presbiterale. Pertanto, chiedo a ciascuno di contribuire inviando un’offerta in denaro, secondo le proprie possibilità, che assicurerà una somma destinata a venire incontro alle esigenze dei più poveri.
Vi ringrazio ancora per le vostre sollecitazioni e ritengo che, per un vescovo, poche esperienze siano più consolanti di questa: che siano i presbiteri a chiedere di voler realizzare insieme un’opera, un segno in cui si esprimano non le singole creatività ma, al di fuori di protagonismi e autoreferenzialità, emerga la fecondità di una comunità presbiterale, che ci vede fratelli tra noi e con Cristo, il quale «ci ha chiamato amici» (cfr. Gv 15,15); Cristo, amico che lava i piedi agli amici, perché essi possano lavarli gli uni agli altri e al mondo.
- Creatività santificante
C’è ancora un livello di creatività, racchiuso in quel munus santificandi il cui esercizio, oggi, appare più che mai stravolto dalle regole del cosiddetto distanziamento sociale, diventato, per certi versi, distanziamento sacramentale. La riflessione sul tema è piuttosto complessa e ho in mente di toccarne alcuni aspetti nel Messaggio di Pasqua ai nostri fedeli.
Mentre sui “social” si rincorrono opinioni degli opinionisti e polemiche spesso strumentali, con gli estremismi del rigidismo e del permissivismo sempre in agguato, emerge il rischio della semplificazione e della superficialità che può generare – stavolta sì – un relativismo circa la sacralità dei luoghi, l’importanza della dimensione comunitaria della Chiesa e, soprattutto, l’efficacia e la grazia dei sacramenti; relativismo più che mai pericoloso nella nostra società abbondantemente secolarizzata e nella fede troppo spesso immatura che registriamo ormai in Occidente.
La riflessione non è semplice, dicevo, ma la creatività richiesta in questo ambito sembra esigere prudenza e audacia assieme. Si tratta di rafforzare o trovare, laddove possibile, spazi anche minimi per assicurare la possibilità, certamente regolamentata, di accesso alle nostre Cappelle, forse più semplice rispetto ai luoghi pubblici di culto; oltre alle iniziative già da voi ideate, o in parallelo ad esse, si tratta di promuovere, ad esempio, la preghiera personale di Adorazione Eucaristica, che è possibile portare avanti con turni organizzati e, talora, con piccole e solitarie “Processioni”, nelle quali portare la Presenza consolante e benedicente del Santissimo; di venire incontro, per come possibile, alla richiesta di accedere personalmente alla Comunione; di facilitare la Confessione sacramentale, in luoghi sufficientemente spaziosi da garantire la dovuta lontananza e mantenendo le misure di prevenzione – quali l’uso delle mascherine – raccomandati, soprattutto per arginare il rischio dell’erronea interpretazione della norma che rende sì possibile una forma di “confessione personale” con Cristo, ma in situazioni estreme di mancanza del sacerdote.
Si tratta, in definitiva, di educare il nostro popolo, anche nell’attuale circostanza straordinaria e forse grazie ad essa, a cogliere la mancanza della partecipazione all’Eucaristia domenicale e, in questo tempo scelto dalla Provvidenza, ai Riti della Settimana Santa e della Pasqua, come una responsabile ma dolorosa rinuncia a qualcosa, anzi a Qualcuno: alla Presenza di quel Cristo che, come scriveva l’Arcivescovo Montini: «ci è necessario»!
E credo a noi tocchi il compito e il privilegio di risvegliare nel nostro popolo questa consapevolezza, di ridestare la nostalgia di Dio, portando veramente tutti nel cuore di ogni Eucaristia e vivendo, nella nostra vita sacramentale e nella preghiera di intercessione e adorazione, il personale cammino di santità.
Carissimi confratelli, la festa di quest’anno sia un momento speciale di memoria e gratitudine per il dono del sacerdozio. Memoria della storia d’amore che Dio ha scritto in ciascuno di noi e con ciascuno di noi, come pure nei tanti confratelli presbiteri che, in questa emergenza Coronavirus, si sono ammalati e hanno dato la vita, anche nello svolgimento del ministero. Li ricordiamo con uno speciale pensiero di gratitudine.
E la gratitudine è il sentimento che abita il mio cuore mentre penso a ciascuno di voi, cari confratelli; lo esprimo alla fine di questa Lettera non perché marginale ma perché ricapitola quanto ho inteso dirvi: gratitudine profonda, ancor più in questo frangente storico, che cresce in me man mano che cresce la conoscenza delle vostre storie, delle modalità di rispondere alla vostra straordinaria chiamata, del vostro impegno del quale raccolgo spesso, e con orgoglio di padre, la gratitudine stessa dei militari. Vi penso con affetto riconoscente nelle sedi ove si svolge la vostra missione, penso a coloro che si trovano all’estero o in navigazione, alla comunità del nostro Seminario… E avverto un senso di “mancanza”, che certamente condividiamo, per l’impossibilità di ritrovarci assieme per la Messa Crismale e per la difficoltà nel fare programmi di incontro a breve termine.
Ma la gratitudine va oltre, arriva più in profondità, e diventa gratitudine perché questo dono – il nostro sacerdozio – è sacramento della vicinanza con Cristo, della conformazione a Lui, dal quale nulla e nessuno ci potrà mai separare.
Sì, siamo relativi a Gesù Crocifisso, Morto e Risorto; siamo parte della Sua Vita, Morte, Risurrezione. Siamo inseriti nel Mistero della Sua Pasqua che ci fa essere relativi al popolo, donandoci la grazia e la forza di essere anche oggi, per i fratelli, fecondi nella creatività e nella certezza della Vita nuova. Santa Pasqua, di cuore!