Omelia alla liturgia per l’Ordinazione Sacerdotale di Marco Falcone e Cosmo Binetti
Roma, Basilica S. Giovanni in Laterano, domenica 21 giugno 2020
Carissimi Cosmo e Marco, qualche mese fa tutti ci siamo trovati all’improvviso, costretti dalla pandemia, a rimodulare propositi e impegni presi, e sembrava essersi allontanato il momento tanto atteso dell’Ordinazione Sacerdotale. Era tutto pronto, nei vostri cuori e nelle comunità diocesane dalle quali provenite, per una festa significativa e gioiosa. Ma la «gioia» è sembrata «turbata».
Potremmo sorvolare su questo particolare; potremmo vedere solo il rinvio di una liturgia, come tante ne sono state rinviate in questo tempo di confinamento. Io, però, vorrei invitarvi a leggere dentro questo kairòs, tempo di grazia, la gioia particolare, «più certa e più grande» – come la definisce il Manzoni -, che il Signore ha preparato per questo giorno della vostra Ordinazione Sacerdotale e che vi affida nel ministero.
È la gioia della Chiesa e della nostra Chiesa: saluto Mons. Antonio Lucibello e Mons. Daniele Libanori; un saluto grato a tutti i concelebranti: ai cappellani militari che accolgono nel nostro presbiterio i due ordinandi, ai sacerdoti delle diocesi di origine di Marco e Cosmo (Rossano e Molfetta), ai tanti sacerdoti amici, un abbraccio ai tanti militari presenti. È la gioia delle vostre famiglie che ringrazio commosso, delle comunità di origine, dei parenti e degli amici, che saluto assieme a tutti coloro che ci seguono in streaming. È la gioia della famiglia del nostro Seminario, che stringo in un abbraccio forte e veramente grato: il rettore, il vice rettore, il padre spirituale, i seminaristi e tutti coloro che collaborano alla formazione umana, spirituale, culturale e pastorale. Saluto in modo particolare il Rettore dell’Università Lateranense, il prof. Vincenzo Buonomo, ringraziandolo per la formazione culturale che viene offerta ai nostri seminaristi.
E’ dentro la dimensione comunitaria, ecclesiale, è nell’abbraccio della fraternità presbiterale che si viene ordinati presbiteri assieme, e questo è motivo di gioia per voi, persone con storie e caratteristiche diverse.
Tu, Cosmo hai ascoltato la chiamata mentre vivevi il servizio militare: Dio ha intercettato la tua dedizione, il tuo impegno, la tua caparbietà e la tua limpida onestà e ti ha chiesto di mettere questi doni non comuni a servizio del Vangelo.
La tua chiamata, Marco, nasce nel contesto ecclesiale, da un’esperienza di vita parrocchiale vissuta nella tua Calabria, che ti ha permesso di maturare doni di grande capacità relazionale, di capacità di dialogo e coinvolgimento con tutti, soprattutto i giovani.
Entrambi avete fatto e condiviso un cammino serio, che vi ha richiesto di guardarvi dentro, nei momenti difficili o entusiasmanti, ma sempre con Gesù; e avete sperimentato, in questi anni e nella prova degli ultimi mesi, quanto davvero la gioia nasca dalla «fedeltà di Dio», come dice nel Salmo 68 (69) la Parola di Dio.
E proprio nella Parola del Vangelo (Mt 10,26-33), Il Signore oggi vi invita alla gioia come antitesi alla paura.
Sì, dinanzi al dono grande del sacerdozio la paura è possibile, per certi versi necessaria e bella. Anch’io la ricordo e ricordo i timori nel giorno dell’Ordinazione episcopale, esattamente 14 anni fa. Eppure Gesù vi esorta, vi rassicura, addirittura vi comanda: «Non abbiate paura»! E non dovete avere paura perché, potremmo dire, quanto Egli vi chiede non è che la gioia di quanto vi dona. Nei tre «Non abbiate paura» del Vangelo, proviamo dunque a vedere i tria munera, i tre doni del sacerdozio.
Il primo dono.
Non abbiate paura di annunciare! «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze».
Nel «silenzio assordante» dei mesi trascorsi, abbiamo sentito ancor più forte risuonare la Parola di Dio, che non era e non è silenziata: abbiamo visto pregare sui tetti, Benedizioni Eucaristiche dalle terrazze… Abbiamo sentito con forza quanto sia necessaria la verità, non solo per un’equilibrata e corretta informazione ma anche per l’interpretazione della storia, nei suoi risvolti più drammatici e bui.
Quanto balsamo ha portato la Santa Messa quotidiana del Papa da Santa Marta! Quanto aiuto nel cammino e nel discernimento le sue omelie semplici e profonde!
Cari Cosmo e Marco, a volte il compito della predicazione e dell’insegnamento può farci paura; sentiamo in noi la bocca impastata del profeta o il linguaggio stentato che Paolo si attribuisce… Ma il munus docendi, se ci pensiamo bene, non è altro che il dono della Parola di Dio, non è altro che il donarsi continuo a noi del Cristo, Parola del Padre.
È bellissimo che Gesù ci inviti a «dire nella Luce» quanto egli ci bisbiglia nell’orecchio o ci sussurra nel segreto del cuore. Non abbiate paura, dunque, perché il servizio alla Parola è servizio alla Luce e porta Luce nelle tenebre dell’ignoranza e dell’errore, della disperazione e delle solitudini. La Parola restituisce verità, giustizia e carità alle parole umane, troppo spesso usate, dice la prima Lettura (Ger 20,10-13), come strumenti di calunnia, inganno, vendetta. Conservate e meditate questa Parola nel segreto del cuore, come Maria, perché essa penetri nella vita dei militari, nelle scelte difficili degli ufficiali, nelle relazioni dentro le caserme… e riveli il Cristo, Luce senza tramonto.
Il secondo dono.
Non abbiate paura di dare la vita! «Abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo».
Donare se stessi è il punto più alto della maturità umana e il senso stesso di ogni esistenza e vocazione. Lo abbiamo imparato anche in questo tempo di pandemia: dal sacrificio del personale medico e sanitario, dal commovente e silenzioso esempio di dedizione e abnegazione dei nostri cari militari, dai tanti sacerdoti totalmente offerti nel ministero.
Il pastore guida il gregge così; e il pastore, per Israele, è il Salvatore, colui che davvero libera le pecore dai pericoli della strada, dei briganti, delle spine… correndo egli stesso il rischio di diventarne vittima. La capacità di guidare, l’autorevolezza di chi regge, non sta tanto nell’inventare progetti di originale efficacia pastorale quanto nel camminare nei sentieri del suo popolo. E i cappellani militari, lo sappiamo bene, hanno il privilegio di stare su questi sentieri, di essere sempre là dove i militari vivono e operano.
“State”, cari Cosmo e Marco, con tutto voi stessi, vigilando perché il Maligno non separi l’anima dal corpo e il vostro cuore sia sempre dov’è il «tesoro» di coloro che il Padre vi affida! State pure se è difficile, come «stava» Maria sotto la Croce, certi che il munus regendi vi dona la forza di dare la vita così!
Il terzo dono.
Infine, Non abbiate paura di quanto valete! «Voi valete più di molti passeri!».
Quanto valga una vita umana, ogni singola vita umana questa pandemia ce lo ha ricordato con drammaticità. Lo abbiamo sentito nel pianto dei tanti malati e dei tanti morti in solitudine, come pure nella gioia di ritrovare l’amore familiare, fraterno, solidale.
Sì. La cifra del valore dell’uomo non è paragonabile al valore delle cose, alle quali troppo spesso diamo il primo posto, e neppure dei passeri, tanto belli nell’armonia della natura. Il valore della persona umana è incalcolabile e sta nella sua trascendenza!
Il munus santificandi dona al sacerdote di coltivare questa dimensione, di dispensare la grazia di Dio che la nutre, la abbellisce, la santifica, attraverso i sacramenti, primo fa tutti l’Eucaristia.
Icona della santità, nel Vangelo, è quel piccolo passero, apparentemente senza valore ma tenuto in mano. Santità è sentirsi nelle mani di Dio: custoditi perché impressi nelle palme delle sue mani. Fatevelo insegnare dall’esperienza e dall’amicizia di Santi quali Teresa di Gesù Bambino. Fatevi insegnare a non pensare di dover fare grandi cose, a non diventare, come direbbe Papa Francesco, funzionari del sacro o attivisti burocrati ma a lasciarvi tenere nelle Mani di Dio e diventare voi stessi “mani” che permettono a Dio di raggiungere ogni creatura con la Sua Grazia. Mani che non dimenticano di tremare e gioire per il dono che viene loro elargito: fare che Cristo trasformi in Se Stesso il pane e il vino, le gioie e i dolori del mondo. Siate vere “mani eucaristiche” – quanto dolore ha generato in questo tempo la mancanza dell’Eucaristia! -; mani che adorano e celebrano, per vivere e indicare la gioia della santità; mani che curano, accarezzano, consolano, che spezzano e condividono il pane, segno di una vita diventata pane, soprattutto per i poveri e gli ultimi che dovranno avere sempre il primo posto nel vostro cuore.
Cari Cosmo e Marco, sì, davvero «più certa e più grande» è la gioia che oggi il Signore dona a voi, ai vostri cari, ai nostri militari, alla nostra Chiesa e a me vostro padre e pastore. Una gioia che, nonostante il tempo di prova, ha rivelato, ancora più luminosa, la bellezza del sacerdozio. Un dono che ci supera, dinanzi al quale ciascuno di noi si sente solo un uomo; ma un dono, non lo dimenticate, che ci identifica con quel «solo uomo Gesù Cristo» di cui parla Paolo (Rm 5,12-15). È grazie a Lui che la Grazia della vita nuova viene data a tutti ed è in Lui che voi ne diventate mediatori, diventando un “altro Cristo”. Non abbiate paura di «riconoscerlo» sempre, non lo lasciate mai Solo! Lui vi ha scelti, vi conosce e vi riconoscerà davanti al Padre, assieme a tutti coloro che, grazie a voi, potranno fare esperienza di Dio con la verità che insegnate, la carità che donate, la santità che trasmettete. Grazie del vostro «Sì»!
E così sia.