Mons. Marcianò: non cedere “alla tecnologia che vuole produrre la vita, fino a vendere il proprio grembo”

Mons. Marcianò: non cedere “alla tecnologia che vuole produrre la vita, fino a vendere il proprio grembo”

Carissimi, «Non sia turbato il vostro cuore»! Le parole del Vangelo di oggi (Gv 14,1-12) risuonano dolcissime sulle labbra di Gesù, particolarmente in questo momento. Egli sembra capire il nostro turbamento legato alla pandemia, le paure antiche che tornano e quelle inedite che dovremo sperimentare nel passaggio a un mondo che, lo sentiamo dire e ne siamo convinti, non sarà quello di prima.

«Non sia turbato il vostro cuore», dice Gesù, perché ci sono Io. E «Io sono la via, la verità, la vita»!

Io sono la Via, la strada da seguire, percorribile sempre: nella fretta degli impegni come nella lenta quarantena, nella valle oscura come nei pascoli erbosi. Egli indica un cammino di preghiera, carità fraterna, pazienza, capacità rientrare in se stessi, che forse questo tempo ha riaperto in molti e ora è necessario custodire. E «non solo Io vi conduco sulla strada ma mi faccio Strada per voi», assicura Gesù.

Io sono la Verità, sono il senso racchiuso nelle cose: la verità non è un “optional” da smembrare in tanti relativismi, ma neppure è esclusiva degli integralisti.  La Verità è Cristo, è una Persona, è Vivente. È, mi verrebbe di dire, il “DNA” di Dio impresso nelle cose; e sappiamo quanto sia essenziale decifrare il DNA per capire gli organismi viventi, rispettarli, curarli, ma quanto sia difficile afferrarlo totalmente. La verità è un “segreto” che si disvela gradatamente non a chi pensi di possederla, con atteggiamenti di manipolazione o rigidità, ma a chi non smetta di cercarla umilmente. E, pure nella situazione che viviamo, Gesù è la Verità, non certo in quanto causa ma perché in Lui va cercato il senso di tutto.

Io sono la Vita. Domenica scorsa, il Pastore buono e bello diceva di essere venuto a dare la Sua vita a noi e per noi. Ora va oltre, dice di «essere» la Vita, ma usa lo stesso termine greco, zoè: non semplicemente la vita dell’anima ma la vita della persona umana integrale. Egli condivide con l’uomo la vita in tutti gli aspetti belli e difficili, sofferti e splendidi, pur se è «nel Padre e in Padre è in Lui»; e la particella «in» è significativa: in Dio Padre, Colui che dona vita.

Il mistero profondo e bellissimo della vita, legato alla paternità di Dio, non può non farci pensare anche al grande dono della maternità, in questa domenica del Mese di Maria, dedicata alle mamme. La madre accomuna tutti e voi mamme lo testimoniate, in un tempo in cui l’oscuramento del senso della maternità e paternità è un virus velenoso per la vita dell’uomo, che ne minaccia la verità antropologica e gli può far smarrire la via del vero amore e della felicità.

C’è un modo pastorale, paterno e forte di custodire la vita, ma c’è anche un principio di tenerezza materna che accoglie, nutre e accarezza, di cui ha bisogno l’essere umano, la famiglia, la società, la Chiesa. La madre, nella Chiesa, è l’altro volto del Pastore buono!

Madri che generano vita con speranza, senza temere i tempi difficili, sapendo che il figlio è sempre dono dinanzi al quale «piegare le ginocchia» (cfr. Ef 3,14); dono che ti supera, dono per il mondo e per la storia: perché solo un figlio può cambiare la storia.

Madri custodi della bellezza della famiglia e della casa in cui la vita cresce; che investono in questa bellezza tutto l’amore di cui sono capaci, le energie che, poi, il figlio trasferirà nel mondo. Madri del quotidiano, sante «della porta accanto» direbbe Papa Francesco, la cui dedizione, commovente e tenace, sa curare «i piccoli particolari dell’amore», senza chiedere nulla se non di poter donare e potersi donare.

Madri che non esitano a uscire da tale quotidianità ogni qualvolta il figlio sia in pericolo o perduto, affamato o maltrattato; non temono di andare in piazza, nei tribunali, sui mezzi di comunicazione. Madri che, per salvare il figlio, sanno uscire persino dalla propria famiglia, rompendo con coraggio catene antiche di odio e criminalità organizzata.

Madri che, per fragilità o solitudine, hanno rinnegato se stesse, cedendo alla tentazione di eliminare la vita nel grembo o alla tecnologia che vuole produrre la vita, fino anche a vendere il proprio grembo (abbiamo sentito in questi giorni la storia raccapricciante di bimbi nati da utero in affitto e bloccati in Ucraina); alcune, però, hanno poi accolto la misericordia di un amore più grande e la missione di difendere ogni vita.

Madri che, sui letti della sofferenza dei figli, dimenticano il lavoro, il riposo, il cibo… dimenticano se stesse, rimanendo fino alla fine come icone inamovibili di fortezza e speranza, e fino alla fine pregando che sia loro concesso di prendere su se stesse il dolore per toglierlo al figlio; resistono per dare forza e amore, consapevoli che la vita, sbocciata per miracolo nel loro grembo, non potrà morire mai!

Madri che soffrono esse stesse la malattia, la povertà, il lutto, la violenza di uomini senza pietà o di figli malati, dipendenti, disperati; sanno guardare al dolore del figlio più che al proprio, sanno curarlo e fermarlo, se serve anche denunciando, ma sempre perdonando.

Madri che piangono e pregano; che piangono pregando e pregano piangendo: lacrime misteriose, non lamentose, il cui linguaggio Dio solo capisce.

Madri fisicamente sterili ma con cuore fecondo, spalancato alle povertà nascoste di chi è più bisognoso d’amore. E madri consacrate a Dio, felici di trarre dall’amore sponsale di Cristo la linfa della dedizione, per approcciare il mondo con l’instancabile dolcezza e la forza appassionata del dono di sé, svelando il volto materno della Chiesa.

Con Papa Francesco vorrei dire: Sposa del Bel Pastore, la Chiesa è Madre e impara la maternità dalle madri, soprattutto da Maria. Il Concilio lo ricorda: la Chiesa diventa Madre «contemplando la santità misteriosa della beata Vergine, imitandone la carità, adempiendo fedelmente la volontà del Padre».

Cari amici, scrive Giovanni Paolo II: «La maternità di Maria che diventa eredità dell’uomo è un dono: un dono che Cristo stesso fa personalmente ad ogni uomo»; oggi noi contempliamo grati questo dono, il dono di ogni mamma, il dono della maternità, il cui senso, egli aggiunge, «si può racchiudere in una parola: affidamento. L’affidamento è la risposta all’amore di una persona e, in particolare, all’amore della madre».

Grazie, Maria, aiutaci ad affidarci a Te come Madre.

Ad affidarTi il cuore di ogni madre e di ogni figlio

di ogni pastore e del suo popolo,

della Chiesa e del mondo.

Aiutaci ad affidarti il nostro cuore,

con i turbamenti e le lacrime che Tu conosci,

e riversa in noi il Tuo segreto d’Amore:

Gesù, Via che conduce al Padre, Verità che ci libera,

Vita che vince la paura, il dolore e la morte…

e ci riempie di gioia.

E così sia!