L’ultima parte di questi spezzoni o pezzetti di una stessa storia, della stessa stoffa e non vorrei che io mi sia perso qualche passaggio, che in realtà non sarebbe dovuto proprio avanzare.
Nel tutto c’è ancora il seme
Una cosa forse l’ho capita. La Pasqua è dentro di Dio ed è dentro di noi, ed è nel suo impegno notturno di non farsi vedere e neppure trovare, quando fa cose che sconvolgono il mondo. La Pasqua è nel farsi trovare con i segni della sua assenza e soprattutto del suo passaggio. È anche nel suo volere disorientare chi sempre la cerca e pretende di sapere dove trovarla come nell’orientare chi, disorientato, non si pone neppure il problema di dove e perché cercarla. Ho capito che la Pasqua è Dio. Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo. Tutti e tre presenti, ma come ci sono non lo comprendi e non li comprendi. Nel silenzio del Padre che non ti attendi; nelle grida del Figlio che ti squarciano tutto, la ragione ed il cuore e pure la fede; nel calore dello Spirito che avvolge ogni cosa ma che non interviene. La Pasqua è Pasqua quando Dio chiude tutto per aprire ogni cosa, per aprire il suo cuore squarciato, dopo morto, ed accogliere tutti, pure l’ultimo arrivato. La Pasqua è tutto ma non per noi. È grande ma non per noi e neppure per Dio. È parola quando cade il silenzio e dice qualcosa quando tutto è finito. È risoluzione di tutto, ma non la soluzione di ora e di questo. È il grande albero della vita, la verità di tutte le cose, il cammino di ritorno di tutte le entrate, specialmente di quelle che noi non conosciamo e non curiamo più. Per questo è e resta seme nell’albero di Dio, per sprigionare sempre la vita che vedi, e per custodire ancora e per sempre quella che verrà. Per questo è un seme che non puoi raccogliere se non nella morte e non lo puoi piantare se non nella tomba, quando tutto di noi tace e finisce e questa preziosa inutilità serve a Lui, serve a Dio, ed è preziosa ai suoi occhi per servire, per continuare a servire vita eterna dove noi non ne abbiamo. Impariamo a custodire questo seme per essere un tantino come Lui, che sempre e per sempre lo custodisce per noi. Anche quando abbiamo la presunzione di poter regolare ogni conto, anche quello della vita e della morte, di cui sappiamo di non essere padroni, ma servi. Per questo noi uomini l’abbiamo ucciso. Ma Dio l’ha sempre risuscitato. E sarà Pasqua per sempre e per tutti, perché Dio non permetterà mai che il suo servo veda la corruzione. Neppure questa volta, per tutti questi morti e per tutta questa morte. Perché Egli non è mai dove l’abbiamo lasciato e ci siamo lasciati. È solo andato a prepararci un posto nella sua Pasqua di ora, e soprattutto in quella di sempre.
I testimoni dell’ottavo giorno
Ti ho raccontato di ciò che fondamentalmente accadde il giorno di Pasqua, prima al sepolcro e poi al cenacolo. Lo capisco che non sono stato bravo a descriverti bene ogni cosa, ma non è facile perché molte cose si sono intrecciate e quel giorno non tutto fu uguale per tutti. Al sepolcro, al primo mattino, furono protagoniste le donne, da sempre ed in tutto le più intraprendenti di tutti. A loro il Signore si regalò per primo e gli affidò anche la missione di portare quella gioia al mondo. Da sempre a noi è sembrato che, per l’importanza e la credibilità richiesta, non fosse stata la scelta migliore. E ancora oggi, i nostri oppositori e non solo, trovano qualcosa da dire e ridire. Abbiamo imparato, però, che il Signore sa quel che fa, e fa sempre tutto bene e buono, anche se qualcosa ci appare che sia così solo alla fine. Ti ho detto che sempre quello stesso giorno venne a fare visita anche a noi. Non abbiamo avuto il tempo di chiedergli chi fosse, perché senza bussare entrò a porte chiuse e 2 ricordo benissimo con quanta attenzione l’avevamo sbarrata. Anche questo ci sorprese non poco, ma nessuno ebbe nulla da ridire, perché era un po’ chiaro per tutti che era lui, Gesù. Sono sicuro che dovette cogliere della perplessità nel volto di qualcuno perché, dopo averci salutato, ci disse: “non temete, sono io, non sono un fantasma, sono in carne ed ossa”. Come ulteriore sigillo su quelle sue affermazioni, ci mostrò le sue ferite alle mani e ai piedi, quelle che sul Golgota non abbiamo visto perché non c’eravamo. Sapevamo bene quanto gli avessero fatto male, fino a finirlo. Ci sembrò strano che anche in quel giorno ci fossero in mezzo ancora le piaghe: infatti, noi facevamo e facciamo di tutto per nascondercele e nasconderle; Egli, invece, ce le mostrava, senza paura e senza vergogna. Qualche considerazione in silenzio su questo ce la siamo fatta, ma abbiamo capito che c’è tanto da imparare. Ricordo bene che ci diede la sua pace, il suo Spirito e noi fummo contenti. Ma ricordo pure che ci disse che non potevamo continuare ad avere paura e che dovevamo uscire dalla nostra prigione. Ci disse che di quelle cose, di quella Pasqua, anzi di lui morto e risorto, eravamo tra i primi destinatari a saperlo, e per informarci ci avevano pensato le donne al mattino, ed ora lui stesso prima che venisse la notte. Dovevamo esserne pure i testimoni convinti e gioiosi in tutto il mondo. E a questo avremmo dovuto pensarci noi e tutti i discepoli sino alla fine del mondo. Non so se lo capimmo o se abbiamo capito perché e come farlo, che ci impegnava non solo nelle parole ma soprattutto nella vita e con la vita. Ricordo che quella sera siamo rimasti ad ascoltarlo e senza parole. Quando scomparve ne abbiamo continuato a parlare tra noi, ma ormai erano solo nostre parole, nostre povere considerazioni. E quello che in quel momento era luminoso come il sole, non lo fu più per nessuno e neppure per noi che c’eravamo. Immaginiamo per quelli a cui l’abbiamo raccontato. Averlo visto e ascoltato è sempre un’altra cosa e un’altra storia per tutti. E senza di questo non c’è vera Pasqua, perché la Pasqua è incontrare veramente Dio.
I testimoni di otto giorni dopo
Quella sera di Pasqua, quando venne il Maestro risorto non c’eravamo tutti. Non ricordo perché, ma qualcuno dei discepoli mancava. Tra questi sicuramente non c’era Tommaso, perché quando è tornato non siamo stati capaci di convincerlo che era venuto Gesù e che l’avevamo visto e toccato. Lui ci diceva che non era possibile, e noi ribadivamo che era tutto vero. Ricordo bene la sua difficoltà. Lui credeva che avevamo visto qualcuno ma non che fosse Gesù, perché tutti conoscevamo la sua misera fine: non era possibile che un crocifisso massacrato in quel modo potesse essere vivo; quei chiodi profondi posti nelle mani e nei piedi l’avevano fracassato tutto, e poi quel soldato con un colpo di lancia gli aveva pure sfondato il cuore. Ma voi allora chi avete visto, chi avete incontrato? Con il dolore e con la morte non si scherza. Voi avrete tutte le ragioni per credere che era Gesù, ma io non ci credo. Vi credo che siete sinceri, ma non credo che parliamo della stessa persona. Non credo, non posso credere, che quelle piaghe siano di quell’uomo crocifisso e finito solo tre giorni prima. Conosciamo tutti bene cosa non hanno lacerato quei chiodi pungenti. Vi ricordate del suo spasimo sulla croce, anche se ce l’hanno raccontato, e poi non ci vuole molta immaginazione per capire lo strazio e il dolore di una morte in croce. Ancora nelle orecchie mi riecheggia, e mi fa male al cuore, quel grido che alla sua morte scatenò tutte le forze della natura. Per rispetto del suo dolore e della sua morte non posso crederlo, non posso crederci, non posso credervi. Sarà un altro quello che avete visto, perché Lui sicuramente riposa in pace da qualche parte. Alla fine non insistemmo più, vedendo la sua sincerità e comprendendo la sua difficoltà, che era anche la nostra e nella quale ci ritrovavamo compiutamente. Per tutta quella settimana non accadde nulla che merita considerazione. Ogni tanto siamo ritornati su quella visita e vista del Maestro che ci aveva caricato tutti. E noi che l’avevamo visto ci sentivamo privilegiati, perché ci aveva liberato la mente da tristi presagi ed il cuore dalla paura. Otto giorni dopo, sì esattamente otto giorni dopo, eravamo tutti insieme. Questa volta c’eravamo proprio tutti e anche Tommaso. Sempre all’improvviso e a porte chiuse, ecco apparire il Maestro: l’abbiamo riconosciuto subito, era Gesù e portava ancora le piaghe, che attiravano il nostro sguardo. Dopo averci dato la sua pace come saluto, come se già sapesse tutto e conoscesse il cuore di Tommaso e tutti i suoi dubbi, lo invitò ad avvicinarsi. “Tommaso, ecco il mio cuore trafitto, mettici la mano; ci sono pure i buchi dei piedi, toccali, esplorali, sono quelli della croce”. La difficoltà, però, è sempre la stessa: la fede, che ci fa incontrare senza toccarci e ci fa amare anche senza vederci, perché il cuore deve sempre battere e non ci deve fare mai perdere coloro che amiamo. Tommaso capì subito, capì che la questione è di sapere quanto contano per davvero le persone che diciamo che sono importanti nella nostra vita. Questo Tommaso lo capì solo in quel momento, per questo sentì tutta l’urgenza e l’amore per dirglielo: “mio Dio e mio tutto”. E solo un amore grande mette a posto tutti i tasselli, sempre e comunque. La lezione non fu solo per Tommaso ma per tutti, a ciascuno chiede di sapere di quale tempo e di quale Pasqua siamo testimoni: se di quella dell’ottavo giorno e del giorno dopo il sabato o di quella di otto giorni dopo; se di quella del mattino e delle donne al sepolcro senza la paura della morte e dei mortali, oppure di quella che 3 recuperiamo a sera o fuori tempo otto giorni dopo. Di quella dell’amore che non si arrende o di quella dei dubbi che inficiano tutto. Poi noi la raccontiamo e ce la raccontiamo sempre come Pasqua, ma la nostra vita racconta un’altra storia che di Pasqua ha poco o nulla. Non bastano i colori o i sapori di Pasqua per fare ed essere Pasqua. Ci vuole di più, perché Pasqua è tanto di più. Non è una cosa, non è una teoria, non è una soluzione, non è una sorpresa bella e insperata, ma solo e sempre una persona. Solo e sempre lui, Gesù nostra Pasqua e Signore. Cristo nostra Pasqua è risorto! E senza di lui nessuno e nulla risorge, resta la morte, siamo e restiamo morti.
Tutti testimoni dell’ottavo o di otto giorni dopo, ma testimoni di Lui
Alla fine ciò che conta non è quando e come l’abbiamo incontrato, ma se l’abbiamo incontrato. Se ci siamo lasciati incontrare, se siamo entrati nel suo nuovo mattino, se viviamo e siamo solo nel suo giorno. Se siamo nel suo tempo, e soprattutto in Lui. Questo concretamente significa se egli è entrato dentro di noi e noi dentro di lui. Se la sua presenza, e di seguito tutta la sua vita, Pasqua evidentemente compresa, sono dentro di noi e noi siamo dentro questo tempo, questo giorno e dentro la sua vita. Perché abbiamo permesso a questo suo tempo che non c’era, e a questo nuovo suo giorno, che non conoscevamo, di sconfinare dentro di noi, di non farci rimanere assolutamente distanti e neppure distinti da questo giorno, nemmeno un istante. Noi non siamo chiamati a restare davanti la tomba ma ad entrarci dentro, perché il suo vuoto ci riempia, lo spazio svuotato che ha creato sia quello in cui viviamo. E quel Risorto che non possiamo vedere, e del quale possiamo ascoltare o continuare ad ascoltare solo la voce, al quale possiamo abbracciare, ma solo per poco i suoi piedi, perché deve salire nel Padre che abita il cielo, abiti in noi e ci faccia abitare, vivere ed essere in Lui e nel cielo. Ci faccia essere in Lui nel momento in cui ci ha regalato di essere in noi. Che Dio, Cristo e lo Spirito Santo abiti in noi, nei nostri cuori. La Pasqua ci chiede di non restare semplicemente davanti al Risorto, ma di essere dentro di Lui; non davanti al Padre ma nel Padre; non con lo Spirito sopra la testa, ma dentro lo Spirito e lo Spirito dentro di noi. La Pasqua ci chiede di raccontare in prima persona questa inabitazione in noi, questa discesa di cielo e di Dio nella nostra vita e nel nostro cuore. Maria raccontaci che hai visto tu lungo la via e soprattutto cosa porti dentro di te, cosa e chi porti nel cuore. Se non abbiamo visto il Signore, se non abbiamo incontrato Lui e raccontiamo solo storie e incontri di altri, la Pasqua e Cristo restano alla porta, alla nostra porta e alla porta di tutti. Non basta sapere che Cristo è risorto per essere risorti e per essere con lui. La presenza porta presenza, e non il semplice racconto. Solo quando il racconto finisce di essere racconto e diventa incontro, allora Cristo è presente. Cristo può essere fantasma nel lago in tempesta ma anche nella sua Pasqua ancora non incontrata ed accolta, nel suo essere Risorto ancora non assimilato e baciato. Altrimenti si può stare con Lui ma non in Lui, si può fare strada insieme ma per motivi differenti e si può stare insieme senza incontrarci e riconoscerci. Come i discepoli di Emmaus che non abitavano in Gerusalemme, anche se da lì venivano o scappavano; che non abitavano la via nella quale camminavano; che non abitavano la compagnia perché continuavano a viaggiare da sconosciuti e con sconosciuti, fosse pure Gesù in persona; che non abitavano il racconto e la gioia delle donne; che non abitavano le scritture dove c’era tutto e pure il senso di quel che non capivano. Che abitavano invece la loro fuga e paura, la loro perdita della speranza, la loro solitudine senza soluzione, la loro voglia di scappare da tutto e da tutti per ricostruire ogni cosa, che abitavano la loro illusione e delusione, la loro disillusione che volevano seguire per costruire il loro piccolo mondo, per fare pietre per la loro speranza e futuro, per porre fine al loro tragico passato. Che per questo erano rimasti forestieri ed ignari a Gerusalemme ed in tutto quello che era accaduto, ed ora loro erano nella via e nel viaggio e nei passi che stavano per compiere. Alla sera, alla fine, quello che li ha salvati è stato l’ultimo appello a quello sconosciuto, il loro invito a quell’uomo ad abitare insieme la casa e la notte prima che scendesse ancora la sera e la paura. E lì, dove ciò che è separato si incontra, dove ciò che è sconosciuto si riconosce, dove ciò che è distante e i distanti si avvicinano, dove ciò che è freddo si riscalda, dove una stessa tavola ed un uno stesso pasto accendono di intimità la mensa, lì e soltanto lì si possono aprire gli occhi e la mente perché già si è spalancato il cuore. Lì dove ognuno non è più per se stesso ma per l’altro, dove il pane e la vita si spezzano per nutrire il corpo e saziare l’anima, lì avviene il riconoscimento. Lì, e soltanto lì, Egli è presente ed è in mezzo a noi. Lì non è più uno sconosciuto e noi degli estranei. Lì i pezzi scomposti della nostra vita e delle nostre sensazioni trovano posto dentro di noi e diventano chiari. Lì soprattutto il cuore che bruciava e che brucia diventa la bussola e il nuovo 4 registra. Allora è anche possibile che Egli si nasconda ai nostri occhi, perché è ormai presente alla mente ed abita il cuore. Allora la notte non fa più paura e la solitudine non ingabbia la vita. Allora anche il buio è messaggero di nuovi mattini. Allora ogni cosa ritorna al suo posto e anche l’uomo al suo solo futuro. Per questo quei veri discepoli, quegli uomini ritrovati, quei cuori rinati, sentono l’urgenza di ritornare da dove sono scappati, per incontrare i compagni che hanno lasciato. Per questo hanno soprattutto la voglia e la gioia di raccontare una storia da loro vissuta, un incontro ed un riconoscimento giudicato impossibile, di narrare del Risorto da loro incontrato, che ha parlato loro, che gli ha fatto bruciare il cuore, che gli ha aperto gli occhi, che ancora una volta gli ha spezzato il suo pane e ha spazzato la loro paura. Sì! Hanno questo da raccontare a tutti perché questo non lo sa proprio nessuno. Questa è la loro risurrezione, e la storia del loro Risorto, della loro unica Pasqua. Questa è la novità di ogni vera Pasqua, di ogni vero incontro, e di ogni incontro vero con Dio e con gli uomini. Per questo ogni vera narrazione di questo Vangelo non racconta soltanto, non rievoca solo passato, ma incarna presenza e rende presente quell’unico Risorto di ieri, di oggi è di sempre. Per questo mentre loro stanno raccontando non una storia, ma la loro storia risorta, non di altri, ma di loro, non di un Cristo risorto che non hanno visto, ma quello che hanno toccato e veduto, Gesù Signore in persona, in carne ed ossa e non da fantasma, vivo e vivente si presenta in mezzo a loro. Perché non c’è Vangelo vero che non sia vera presenza, vera Pasqua e nuova risurrezione, nuovo Spirito e nuova missione. E se resta il mondo da inondare di Vangelo e di risurrezione, questo è solo possibile perché Lui, morto e risorto, ha deciso di restare con noi tutti i giorni sino alla fine del mondo. Volevo darvi tutti i pezzetti che mi erano rimasti di questa Pasqua e di questa risurrezione, ma penso che me ne basti e ce ne basti anche uno soltanto. Gli altri li conserviamo, per riprenderli se, perché e quando serviranno. Con la Pasqua possiamo fare veramente tutto, e senza Pasqua sicuramente nulla. Auguri perché questa volta per me e per te, ma pure per tutti, sia quella buona per essere anche noi Pasqua, in Cristo Signore, per sempre e per tutti, nostra Pasqua.