Mons. Peri: perché Pasqua è questa cosa  piccola piccola e grande grande

Mons. Peri: perché Pasqua è questa cosa  piccola piccola e grande grande

Buon nuovo giorno amici, buona serata, buona notte. E fuori un altro! I giorni potrebbero scorrere così tutti uguali, monotoni, l’uno accanto all’altro, l’uno dopo l’altro, da non riuscire a caratterizzarli e quasi a distinguerli.
Potrebbero essere diventati solo numeri, dati e date, restando nel calendario, senza scendere a terra e senza diventare vita.
Dopo i primi tre giorni di questa Settimana Santa nei quali, a fatica e a stenti, abbiamo vissuto insieme gli esercizi
spirituali, mi era sembrato di essere arrivato alla fine. Invece, con mia grande sorpresa, mi accorgo che il tempo continua a scorrere e, su qualche barca o scialuppa di fortuna, si va avanti e si deve procedere all’altra riva. Giorno 12 aprile, da calendario è festa, è Pasqua, è difficile da immaginare, sarà quel che sarà. Sì, quest’anno la difficoltà, piuttosto il problema, è fare Pasqua, fare gli auguri, e farli non per formalità o per abitudine e come sempre.
Parlare di quaresima o di quarantena, di dolore e malattia, di paura e di silenzi, alla fine è andata, ne abbiamo intorno e dentro veramente tanto. Anzi, tutto quello che ci circonda ci ha aiutato e ci aiuta a mantenere i piedi a terra e il cuore a posto, sempre ben colmo di emozioni e sensazioni, pronte a venire fuori e, una volta tanto, a raccontarci da dentro chi e come siamo.
Di fare gli auguri di Pasqua, l’idea, forse il pensiero, mi sarà pure venuto, ma me lo sono fatto subito passare. Non so se per convenienza o altro, o più semplicemente per non fare qualcosa di convenzionale e formale. Allora, però, perché ci sono ritornato ed alla fine ci sto provando? Francamente e sino in fondo non lo so e, quasi, neppure mi interessa. Per onestà vorrei saperlo, almeno per comunicarvelo. Sento che lo faccio e mi scommetto come per qualcosa che non mi interessa più di tanto, che sicuramente non mi appassiona, e debbo confessarvi che un po’ mi imbarazza e mi fa vergognare. Ma non posso
raccontarvi un’altra storia. Allora vi chiedo di non aspettarvi nulla, anch’io faccio lo stesso. Non voglio fare e farvi degli auguri tanto per farli.
Non voglio attingere a pensieri già pensati o ripetere parole già offerte in altre circostanze. Aspetterò i pensieri che vengono, se e quando vengono, così come vengono, per accoglierli e custodirli in questo spazio e in questo tempo che, sinceramente, non avevo preparato per loro. Per custodirli forse dove non sono mai stati, nelle pieghe di tanti meandri, nelle piaghe e nella sofferenza del mio o di altri cuori. Provando a non dire che non c’è paura quando c’è, o che va tutto bene quando non è così, quando il pensiero e la possibilità di complicazioni è sempre dietro l’angolo o è semplicemente dentro di te, è dentro i tuoi polmoni, per questo minuscolo, battagliero e inquietante ospite.
Se in quel che vi dirò non c’è una logica: che non ce ne sia, e che non sia né logico, né logica. E se i pensieri non sono in scaletta: che raccontino semplicemente il loro essere ed il loro disordine. Di biglietti e bigliettini, anche bellini, ne abbiamo scritti e letti tutti e tanti. Lasciamo che qualcosa d’altro si dica e si racconti da sé, senza pressioni e senza costrizioni. L’importante è che queste parole non siano importanti, che non siano costruite, che non siano ingessate e imballate, prima ancora di essere inviate. L’importante è che non siano auguri o indicazioni perfetti e completi.
L’importante è che siano bio, che siano veri, almeno un pezzetto, almeno nell’intento.
Ma cosa ci vuole perché gli auguri siano auguri e siano veri? Cosa ci vuole perché gli auguri siano quelli giusti? Forse gli auguri si fanno a togliere e per sottrazione: mettendoci meno di noi e del nostro io? Perché se fossero già pieni come i tortellini, che cosa ci si può aggiungere o mettere dentro? Mi accorgo che arrivano solo domande. E allora lasciamo a queste domande di interrogarci.

Sono gli auguri che fanno bella la Pasqua, o che fanno semplicemente Pasqua? O è la Pasqua che è un augurio, una sorpresa, una novità che non possiamo mai fare noi, ma solo ricevere? E se il Signore, quest’anno, questa volta, per toglierci dall’imbarazzo e dalla quarantena che ha bloccato i nostri spostamenti e qualche volta anche il pensiero e il cuore, ci volesse pensare Lui? E soprattutto ci volesse pensare Lui a darci la Pasqua originale, quella vera e buona? Se volesse preoccuparsi Lui di fare quello che sempre ha fatto per noi, mentre noi, tutti indaffarati a rovistare negozi, pensavamo di scegliere ogni volta il contenuto e la forma migliore? Cosa potremmo fare noi al posto Suo e per la Pasqua?
Potremmo scimmiottarla e scimmiottarlo? Proviamo a mettere in fila quello che non possiamo fare e di cui non disponiamo.
Il nostro tempo finisce presto e anche male.
Non c’è un giorno, una data nel nostro calendario per la Pasqua e le sue infinite riprese. Il Venerdì santo, il nostro giorno, finisce subito. Già a mezzogiorno è buio, scende la sera ed è notte per tutti. Ci sono solo morti da seppellire.
Sabato santo non si ode respiro, non c’è alito di vita, come se tutto fosse o è veramente finito e finito per sempre.
Da che mondo è mondo, dopo la morte non possiamo fare più nulla. Eppure, qualcosa succede in questo stesso giorno di pianto e di mestizia, buono solo per leccarsi le ferite e chiudere tutto, per porre la parola fine su un’altra storia, questa di Gesù e nostra, custode di tante promesse.
Intorno, nel giardino, non si ode solo il singhiozzo delle donne presenti al sepolcro, pietosamente accorse a completare la frettolosa sepoltura della sera precedente. C’è qualcosa di nuovo e di insolito. Non c’è la pietra grossa a sigillo, e la tomba è vuota, svuotata, messa in ordine in tutto il suo arredo funerario. Fino all’accortezza di raccogliere il telo e piegare il sudario. In quel buio e sinistro mattino, però, c’è pure qualche strana presenza di luce, che sembra si dia un gran da fare per dire che colui che cercano e piangono non c’è, non c’è più in quella tomba. Gesù ha fretta, è risorto, ed è già in cammino per la Galilea, per cominciare tutto daccapo come all’inizio, ma senza più paura e giorni e ore di croce e di morte.
Anzi! Neppure loro devono perdere tempo. Gli occhi arrossati non servono più, bisogna correre e gridare la gioia, prima ai discepoli e a Gerusalemme, perché non lo sanno. Poi, senza fermarsi, al mondo intero e a tutti, perché neppure loro lo sanno. Lo devono sapere e non devono più piangere, non c’è più motivo e tempo per farlo, perché c’è solo causa di gioia e di festa.
Ma è un racconto o una storia, una storia vera?
Sì, è da raccontare all’infinito, ma è una storia, è la storia più storia, la più bella e la più vera di tutte,
incredibile, eppure è solo e tutta vera.
Ai discepoli, ai Suoi discepoli, alla fine fifoni anche loro, se addirittura non più fifoni di tutti gli altri, in tempo
reale, quello stesso giorno, prima che cadesse ancora la sera, ad avvisarli che aveva lasciato la tomba ci pensò Gesù
stesso in persona, anzi in carne ed ossa. Li aveva visti troppo impauriti e non ce l’ha fatta a farli aspettare, a farci
aspettare, per darci l’anticipo prima di raccontarcelo tutto, meglio e completo.
In verità, non disse loro molto o un granché. Dopo aver loro ricordato che, costi quel che costi, pure quella
maledetta, anzi benedetta croce, Egli mantiene sempre le sue promesse.
Si mostrò vivo, però; portò loro la Pace e, ancora una volta, diede loro il suo stesso Spirito, quello stesso che
aveva regalato loro sulla croce all’ultimo respiro e, come cosa scontata o superflua non se l’erano preso, e la paura
lo testimoniava.

Mi chiedo: Pasqua è tutta qui? Noi non ce la immaginiamo senza i supermercati impazziti ed i carrelli stracolmi aspettando la coda. Non ce la immaginiamo senza la mensa della festa e la festa o l’abbuffata a mensa. Non ce la facciamo, ancora con lo stomaco pieno, a non pensare a Pasquetta, al nostro lunedì di svago più che a quello dell’Angelo.
Questa volta, invece, riprovandoci ancora, almeno l’avessimo capito, ci ha portato e regalato l’essenziale. Ci ha regalato Sé stesso e i fratelli con le loro paure, uguali o peggiori e maggiori delle nostre. Si è scomodato Lui, è venuto Lui!
Lui tutt’intero Pasqua ogni volta, nostra Pasqua e nostra unica possibilità di farla e di mangiarla. Gesù non ci ha pensato due volte a mostrarci le sue mani e i suoi piedi feriti, il corpo tutto piagato e il suo cuore ancora trafitto, da cui continua a scorrere sangue ed acqua. Perché anche a Pasqua, dopo Pasqua e oltre Pasqua, Cristo e la sua Chiesa, le sue membra e quelle della sua sposa, fino alla fine del mondo, continuano ad essere un ostensorio di dolore e di piaghe, di sangue e di ferite, che alla fine, in tutta questa storia, sono quelle che ci hanno guarito.
Non solo sulla croce, ma dentro la sua e le nostre Pasque, Egli resta un guaritore ferito, un Dio e un uomo colpito,
esperto del vivere e, soprattutto, del soffrire. Se ora lo vediamo coronato di gloria è solo per questo, è solo perché soltanto la croce scava e tritura per renderci perfetti ed amanti, secondo Dio. Dio ci aiuta e ci salva con questo, e anche noi possiamo aiutare e salvare i fratelli. Con questo ci ha amati e ci ama, ci amerà per sempre. Perché Pasqua è questa cosa piccola piccola e grande grande. È semplicemente vita: un sussulto di vita dove non può esserci, dove non può accadere, dove né noi né nessuno ci possiamo fare mai più nulla.
Pasqua è semplice vita. Senza altri orpelli per apparirci e considerarla bella e importante, degna e luminosa. Il Signore, come altre volte, o più o diversamente di altre volte, è venuto a portarci questa vita, questo augurio là dove siamo, con chi siamo e, soprattutto, così come siamo. Ci dice che Pasqua è tutta qui, che Lui è tutto presente e ci sarà sempre,
veramente in questa vita, prima che sia troppo tardi per apprezzarla e viverla, per ringraziarne e donarne, per amarla e per amarci, finalmente e veramente.
Ce l’aveva detto che sarebbe venuto Lui da noi, a casa nostra, a fare cena dove siamo e viviamo sempre, che non dovevamo disturbarci, né andare da nessuna parte. Che le chiese possono ancora aspettare, come hanno fatto per secoli prima di accogliere la Pasqua e la festa, Cristo e i cristiani, per accogliere ciò che conta ed è veramente essenziale.
Di questa gloria umile, di questa festa essenziale, di questa vita semplice, di questo mistero importante, non siamo ancora capaci di coglierne la presenza ed il senso, il dono e le potenzialità. Ci siamo passati sopra con un rullo compressore come se nulla fosse, siamo andati oltre dove pensavamo ci aspettassero gli altri e la festa, Cristo e la sua Pasqua, dove noi c’eravamo dati al solito appuntamento, perché tutto fosse a posto e bello come sempre. Lo so che i nostri occhi più che mai, e questa volta, questa Pasqua anche di più, sono maggiormente capaci di scorgere il lutto ed il dolore, la croce ed il crocifisso, piuttosto che l’intimo tessuto e la trama di luce che li regge e ci sorregge.
Lo so che è più semplice scivolare nelle immagini e nell’immaginario che la Settima Santa e la Pasqua evocano e costruiscono dentro di noi. Facile riandare al mesto e silenzioso incedere di tante processioni e fercoli che il venerdì santo, con il Cristo morto, ricamano le nostre città. Forte e struggente la suggestione di quel silenzio e di quel dolore, accattivante e connivente con la mestizia profonda che trova accoglienza e riscontri nella nostra vita ed in quella delle persone che amiamo. Ma come siamo afferrati e disorientati dal dolore di Cristo e di tanti, da chi amiamo e da chi neppure conosciamo, con la stessa indifferente leggerezza passiamo a Pasqua e alla sua non conquistata fatica e promessa. Il venerdì santo forse siamo al calvario, qualche volta con la testa e l’emozione, ma spesso già il cuore ed il resto non ci sono. È troppo scomodo dimorare con colui che dorme nel nostro dolore e giace nella sua e nelle nostre tombe. Non aspettiamo altro che scappare e suonare la festa, anche se nessuno ci ha raccontato ancora nulla e dovremmo solo aspettare e meditare se lungo la via e la vita ci sia un dolore e un amore come questo, come il Suo per noi.
Questa volta vi chiedo di non chiedere a me come e cosa sarà Pasqua, come farla e in che registro augurarsela. Se potete non chiedetelo neppure agli altri e neppure semplicemente a voi stessi. Soprattutto non abbiate fretta di saperlo, di raccontarlo e di raccontarvelo da voi. Io non lo so, io questa volta non lo so veramente. Se mai altre volte ho almeno tentato o azzardato, questa volta no, non posso aiutarvi, non riesco neppure ad orientarmi e ad orientare. Faccio fatica come tanti e più di tutti voi a passare oltre, a fare passaggi o semplicemente a fare e mangiare questa Pasqua.
Lasciamo, lasciate che ce la dia Lui, che ce la consegni come l’ha pensata per me e per te, come l’ha preparata e confezionata per tutti, inedita e misteriosa, forse senza sconti e privilegi per nessuno.

Quest’anno ho capito che ci ha messo dentro di più, ha alzato la posta ed il gioco. Ha pensato proprio a tutti e a tutto, senza distinzioni. Si è fatto un bel giro, per farci stare fermi e muoversi soltanto Lui. Ci ha ricordato che le liturgie vanno bene anche così: senza folla e senza canti, senza fiori e senza cori, senza tutto quello che già conosciamo ed amiamo. Questa è la novità di questa Pasqua che non avevamo considerato a dovere. Le liturgie non vanno bene solo senza vera casa e accoglienza, senza famiglia e verità, senza vicinanza ed intimità, senza mistero e senza unità, perché non vanno assolutamente bene solo senza cuore e senza amore. Senza Dio e senza noi.
Queste cose Dio le ha messe nel mondo e nel cuore di tutti fin dal primo momento, all’alba del primo mattino, perché solo l’amore, il Suo per noi, reggesse l’urto di tutto e il confronto con il male ed il peccato. Questo Amore Dio ce l’ha messo sempre e per sempre, rinnovandolo ad ogni Pasqua e ad ogni nuovo aspro mattino dopo il sabato. Anche questa volta, umilmente, lo sta offrendo a tutti noi, sia che insonni e piangenti abbiamo cercato il mattino, sia che ci siamo lasciati sopraffare dalla pesantezza e dal sonno. La Pasqua come la croce non ha spettatori, ma solo destinatari e testimoni di quello che Gesù anche questa volta è capace di fare, di tirare fuori ogni volta che siamo capaci di incartare il mondo e di incartare noi stessi. Per questo c’è, forse ancora di più anche quest’anno, anche questa volta, anche in questo tempo e in
questo mondo e in questo modo che non conoscevamo, che nessuno aveva messo veramente in conto così.

E se questa Pasqua avesse a che fare misteriosamente pure con questo virus? Covid-19, che di bello ha solo il nome e la sua colorata corona, sicuramente ci porta a Pasqua ma, anche se non ce la porta e non ce la dona, ho comunque l’impressione che c’entri e ci voglia entrare. Ruolo di supplenza? Chissà?! Oppure, in assenza o in aggiunta di altri convinti e convincenti testimoni, non ci stia dando una mano? Si sta facendo il giro in tutto il mondo e dappertutto anche al posto nostro, per non farcela mancare, per farcela vedere e scoprire come mai l’abbiamo vista, attesa, preparata e vissuta. Ci sta ripentendo, senza fronzoli, che la Pasqua è solo nell’amore, nell’insondabile mistero dell’amore di Dio in Gesù Cristo morto e risorto per noi, che non arretra mai di un nulla quando c’è, in ogni storia e per ogni uomo, da chiedere un di più di amore a sé stesso, alla sua croce e al suo cuore? Perché solo a questa condizione Dio ha deciso di fare Pasqua e di farla per noi, come sua unica risposta a tutte le paure e a tutti gli interrogativi che ancora non hanno riscontro.
La Pasqua, allora, c’è sempre e anche questa volta, perché il Signore, nonostante tutto e nonostante noi, non si è stancato di farcela trovare, di donarcela, silenziosa e misteriosa come sempre. Dove e quando Lui vuole, come nessuno di noi sa e capisce e, soprattutto, dove non ce l’aspettavamo e non ce la aspettiamo. Quando i pensieri viaggiano senza meta, può accadere che qualcuno di essi colga il bersaglio e arrivi al cuore. Se i nostri pensieri lo fanno e qualche volta riescono in questo, Dio invece lo fa e ci riesce sempre. E né tu, né io, e nessuno, a questo Suo dono facciamo eccezione. Perché la Pasqua è Cristo nostro Signore, che nell’amore più grande ha detto Sì! al Padre suo e anche a noi. Che Cristo sia veramente la nostra Pasqua di oggi e di sempre, perché tutto il resto, basta guardarsi attorno, non solo oggi ma sempre, veramente non conta e non pesa. E come non pensare a Maria, la madre di Gesù? Prendete come dono i miei pensieri, la mia preghiera che questa notte ho rivolto a Lei.
A Maria, madre della nostra Pasqua
Maria, madre di Dio e figlia del tuo Figlio.
Donna degli ‘eccomi’ impossibili e delle oscurità vertiginose del dolore.
Tu, donna con il petto trafitto da spade pungenti e con la morte nel cuore, ancora prima del venerdì santo.
Tu, donna della solitudine quando tutti scappano e fuggono.
Tu, donna dalle mani strette al volto di lacrime e al cuore di carne.
Tu, donna colpita dal peccato e dal male degli altri, dal primo giardino dell’Eden all’ultimo del Getsemani e
della tomba nuova di tuo figlio.
Sposa di Dio, tutta coperta e adombrata dallo Spirito Santo.
Tu, che non generi e non gli generi figli nel dolore del parto ma nello strazio della croce.
Tu, commozione eloquente della Trinità.
Tu, madre del crocifisso e di tutti i perdenti, noi compresi.
Tu, grembo di Dio e degli uomini,
Tu, viscere feconde di misericordia e di divina umanità,
Tu, talamo luminoso e gioioso del mondo.
Donna della premura e del servizio,
Donna dell’amore e della tenerezza.
Donna del silenzio e dei silenti,
Donna che cerca e che trova: Dio e gli uomini.
Donna della Parola e della creazione ricreata.
Tu, pronta a custodire e conservare la Parola ed il sacramento d’amore che genera vita e salvezza.
Tu, attenta a scrutare la fine del nostro vino e della nostra gioia, per invocare subito l’ora di un segno che squarci il mistero ed inauguri il Regno.
Tu, esperta di giorni difficili e di assenze inspiegabili. Custodisci per noi la luce di questa settimana santa, di questa notte, la speranza di questa e tante morti, il senso di questo tempo, lo strazio dei venerdì santi, il vuoto di questa e tante tombe. Custodisci il dolore che avanza e sopravanza.
Tu, piangente come tutte le donne e le madri, aiutaci a raccogliere le lacrime negli otri e nel cuore di Dio.
Tu, capace di sostenere la veglia delle nostre paure, apri i nostri cuori alla tenacia della vita, che questa volta fa più fatica ad uscire dai lacci della morte e dalla tomba.
Tu, madre dell’aurora ancora incipiente, esperta dei primi mattini e delle luci flebili della speranza.
Tu, regina della prima Pasqua e di tutte le Pasque.
Tu, madre e signora del primo Risorto e di tutti quelli che lo seguono e anelano a farlo, tienici uniti come una cosa sola. Custodisci anche questa volta il parto difficile della vita nuova, accompagna l’attesa della stella mattutina e del giorno immortale. Accogli la paura di chi non ce la fa e scappa, il ritorno di tutti all’unica Pasqua e all’unico Signore.
Tu, che non hai dubitato di Dio ma di te, tu solidale di tutti, deboli e forti compresi, sostieni e accompagna la nostra fede.
Tu, pur non capendo e non capendoLo, gli hai detto Sì! solo per amore e per magnificarlo tanto, intona per noi, con i pezzi e mezzi che abbiamo, un nuovo Magnificat ed un’eterna lode.
Tu, che non aspetti di vedere che la storia cambi per dire che è bella e che tutto andrà bene e al suo posto, donaci il tuo amore, e soprattutto i tuoi occhi di cuore.
Tu, che hai creduto a Dio e basta, che hai sempre creduto che Dio ci basta, tu che a proposte inattese e impossibili, ci hai pensato e non ti sei tirata indietro, insegnaci la vita, insegnaci ad amare.
Tu, guida dei pellegrini di Dio e di esodi importanti e difficili, orientaci a Gerusalemme e a Cristo, via, verità e vita.
Tu, che hai visto la croce e la morte, che non hai visto la tomba vuota e il Risorto, gli angeli e la luce, tu che l’hai custodito vivo per te e per noi, donacelo come tu lo conosci e lo ami dentro di te e dentro di noi. Ti affidiamo questo giorno di Pasqua che fatica a spuntare e soprattutto a trovarci, questo giorno di Dio che non ci riscalda il cuore e non ci invade, che non è ancora per la nostra meraviglia e la nostra esultanza. Ti affidiamo una Pasqua che sembra difficile e la nostra addirittura impossibile.
E se c’è da attendere donaci la certezza che verrà, che ci sarà, che Cristo sarà sempre accanto a te e accanto a noi, fuori e dentro di tutto. E che dove c’è Lui, c’è sempre e comunque la Pasqua, anche se bisogna aspettare solo il venerdì e anche il giorno dopo il sabato. Che Cristo c’è, che la Pasqua c’è, anche quando noi incominciamo, con il volto triste, a non crederci più, capaci solo di invitarlo perché non scenda ancora più notte. E, invece, Gesù c’è: vivo, vivente e datore di vita, per ripeterci di andare contenti, di vederlo, di toccarlo, di metterci dentro le mani e la fede e di testimoniarlo in tutto il mondo.
Maria, noi ancora non ci riusciamo a fare e mangiare Pasqua,
ma tu non ci tenere sospesi,
tu che la conosci meglio di tutti e la custodisci per noi e per tutti.
Cristo nostra Pasqua è veramente risorto,
è risorto ancora,
risorge sempre,
risorge di più, di più anche in questo tempo impossibile,
e noi non l’aspettiamo più, risorgiamo con lui.
Grazie Maria, madre di Dio e della nostra Pasqua.