Ogni anno, cari fratelli e sorelle, prima di portare solennemente attraverso la navata principale della chiesa il cero pasquale cantando “Cristo, luce del mondo”, il celebrante prepara questo segno del Risorto. Su di esso incide l’anno in cui si sta celebrando- questa volta il 2020- a sottolineare che la luce pasquale illumina il tempo che stiamo vivendo. Sono significative quelle parole che vengono pronunciate, ci riportano nel tempo e ci fanno sentire inseriti in un flusso che attraversa i secoli: “il Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega. A Lui appartengono i tempi e i secoli”. Queste espressioni ci dicono che quello che sconvolge la nostra vita, passeggera come il fiore del campo, è nelle mani di Dio, Signore della storia. Ci sentiamo, come dice il Salmo, “come un bambino svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131,2). Non è la morte, non è la pandemia, la signora della storia, ma il Cristo Redentore.
Come ci custodisce questo Signore? Proseguono le parole della Liturgia: “Per mezzo delle sue sante piaghe gloriose, ci protegga e ci custodisca il Cristo Signore”. Quelle piaghe ci guariscono attraverso il Sacrificio di Cristo, il Suo Amore, fonte di altro amore che “cura le piaghe dell’intera umanità”. Ogni ferita dell’uomo può essere guarita solo da chi, piagato, a sua volta si curva pietoso sulle piaghe degli altri.
Quel cero non si leva solo in alto nella Chiesa, in uno spazio, ma nel tempo, e gli dà una direzione. La Parola di Dio, che ripercorre il tempo dell’umanità, ci dice da dove veniamo, chi siamo, verso dove andiamo. Ci dice da dove veniamo: “In principio Dio creò il cielo e la terra. […] Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu” (Gen 1,1.3). Noi veniamo dall’Amore creatore di un Dio che ha fatto tutte le cose e ci ha affidato il creato, casa comune dell’umanità e dei viventi. Non siamo messi al mondo dal caso, ma da un Amore che “muove il sole e l’altre stelle” (Dante).
Ci dice chi siamo veramente: nel Popolo di Israele, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, la Chiesa rilegge la storia della salvezza, e tutta l’umanità scopre che Dio non è dalla parte del faraone di turno, ma degli oppressi. Travolge, nel mare, cavallo e cavaliere e trasferisce gli schiavi in una terra di libertà (cfr. Es 15,1-18). Ma il nostro Mar Rosso ha tanti nomi: peccato, guerra, pandemia, morte. Noi siamo divenuti il popolo che crede in un Dio che non ha creato la morte, ma l’ha vissuta e vinta, come ci ricorda il Poeta: “Quel Signore che santa e bella morendo, fe’ la morte”. E nel Mar Rosso lascia le vittime della sua vittoria.
Quel cero ci dice dove andiamo. Siamo diventati quelli che credono nella Risurrezione e nella vita. Il Mar Rosso che nessuno ha osato varcare è la morte, solo Dio, l’autore della vita, ha potuto attraversarla nella carne del Suo Figlio fatto uomo. Cristo attraversa il mar Rosso della morte, ci prende per mano e ci dice in questo momento: “Io sono la risurrezione e la vita, chiunque crede in me non morrà in eterno” (Gv 11,25).
Questa notte non è con noi a celebrare la Veglia Pasquale mons. Saverio Del Vecchio: era pronto per passare dalla luce di questo cero, che è un simbolo, alla realtà; dal segno alla realtà. Diceva di essere pronto; voleva andare a vivere gli
ultimi giorni della sua vita in Terra Santa, accanto al sepolcro di Cristo. Anche a lui, oggi, è giunto l’annuncio: “Io sono la risurrezione e la vita”. E i nostri cuori sono pieni non di una gioia di circostanza, ma della difficile gioia di chi scorge la Luce in mezzo alle tenebre, il futuro in un presente pesante, la Risurrezione nella morte.
Pasqua ci doni questa gioia vera e sincera: Cristo, non la morte, è il Signore della storia. Noi non abbiamo che la fede, la speranza e la carità per festeggiarla. Sono l’essenziale per farci vivere la nostra Pasqua umile e vera.