Mons. Renna ordina don Miele: “mai ‘signore’ di una comunità, ma fratello e padre”

Mons. Renna ordina don Miele: “mai ‘signore’ di una comunità, ma fratello e padre”

Carissimi fratelli e sorelle, all’inizio della Messa, nella preghiera colletta, ho chiesto con tutti voi al Signore: “…allieta la tua Chiesa con l’abbondanza dei doni dello Spirito, e guidala sulla via della salvezza e della pace”. Il Signore oggi ci esaudisce e ci permette di toccare con mano i suoi prodigi perché ci fa partecipare a questa ordinazione presbiterale. Cosa è in verità l’ordinazione di un presbitero se non un dono dello Spirito? Tra poco imposizione delle mani e preghiera di ordinazione ci metteranno davanti alla “lex orandi” della Chiesa, che corrisponde alla sua “lex credendi”, a quello cioè che la Chiesa celebra e che coincide con quello che la Chiesa crede: un uomo, per quanto si possa preparare, per quanto possa avere una grande aspirazione, non può essere ministro di Dio senza la forza dello Spirito, senza la sua azione che consacra.
La festa di oggi, la Natività di Giovanni Battista, con la proclamazione della Parola ce lo ricorda costantemente. È la festa di una nascita, quella di cui una creatura viene al mondo: la vita che riceve è un dono, dipende in tutto dai suoi genitori (e Giovanni Battista neppure solo dai suoi anziani Zaccaria ed Elisabetta), non ha la possibilità di scegliere neanche il suo nome. Un essere umano, nella sua infanzia come nella sua tarda età, manifesta tutta la sua fragilità e dipendenza; questa fragilità ci accompagna per tutta la vita, anche se in forme diverse. Per questo il profeta Isaia ci ricorda che “fin dal seno materno” il Signore lo ha chiamato, “ha pronunciato il suo nome”. Dio irrompe nella nostra vita e manifesta il suo amore e i suoi progetti. Neppure Zaccaria ed Elisabetta riescono a “gestire” il loro unico figlio: avrà un nome nuovo, totalmente altro rispetto a quello della sua stirpe sacerdotale. Non si chiamerà Zaccaria o bar Zaccaria, ma avrà un nome nuovo: Giovanni. Cari fedeli, come non scorgere in tutto questo l’azione dello Spirito Santo nella vita di ogni battezzato? Non importa da “dove”, “come”, “in quali circostanze”, noi veniamo al mondo o cresciamo, perché lo Spirito Santo fa di ciascun uomo rinato dall’acqua battesimale, una creatura nuova.

Questa grazia irrompe oggi nella vita della Chiesa che, attraverso il suo pastore, nel chiedere il dono di un nuovo presbitero, prega: “Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra debolezza e donaci questi collaboratori di cui abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio apostolico”. Segue poi la richiesta di rinnovare l’effusione dello Spirito Santo. Antonio, come ognuno di noi, è come un bambino, come Giovanni Battista, a cui Dio dona tutto ciò che permette di essere suo ministro e precursore. Ma questo non ci deresponsabilizza, perché la grazia di Dio e l’azione dello Spirito Santo richiedono accoglienza, agiscono nel nostro intimo, investono tutta la vita nelle sue espressioni e nel suo dispiegarsi nel tempo. Il contrario sarebbe in contraddizione con il come il Signore, Salvatore e Salvezza, realizza il mondo (cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera Placuit Deo, 2018, 11).
Noi rischiamo costantemente di cadere in quello che il Papa chiama riduzionismo individualista: prendi una persona, che è fatta per amare, per relazionarsi, per donarsi, per spendersi, e la riduci ad un essere individualista che pensa sempre e solo a sé, anche se è prete o sposato. Pensa ai suoi progetti e crede che siano realizzazione di un’aspirazione a servire Dio; pensa solo alla sua salute e ai suoi tempi, pensando che così potrà rendere frutti migliori, ma diventerà pian piano un fico sterile, fatto solo di fronde. Tu, caro Antonio, ricevi lo Spirito non per custodirlo in una spiritualità individualista e disincarnata! Guarda a Giovanni Battista: di lui si dice “che cresceva e si fortificava nello Spirito” (Lc 1,80), diviene quell’uomo che non cede a nessuna posa estetica, ma gli basta un vestito di peli di cammello, una cintura, locuste e miele, non per essere un asceta lontano dalla gente, ma per poter vivere la sua missione incarnandosi. Di lui dirà Gesù alle folle: “Chi siete andati a vedere nel deserto, un uomo avvolto in morbide vesti?… Chi siete andati a vedere, una canna sbattuta dal vento?” (Mt 11,7-8). Il deserto, giorno dopo giorno, ha spogliato il figlio del sacerdote, di sete e morbidi lini; lo ha fortificato come una quercia che non si piega, ma viene abbattuta solo dalle voluttà della corte di Erode. L’azione della grazia, ci ricorda un documento importante sulla salvezza, la Placuit Deo, coinvolge tutta la nostra vita e ci allontana dalla tentazione di una “liberazione meramente interiore”: “…questa via non è un percorso meramente interiore, al margine dei nostri rapporti con gli altri e con il mondo creato […] Insomma, Cristo è il Salvatore in quanto ha assunto la nostra umanità integrale e ha vissuto una vita umana piena, in comunione con il Padre e con i fratelli” (Placuit Deo, 11).
Non sono cristiane, né tantomeno presbiterali, né la visione neopelagiana, che pensa alla propria autorealizzazione, né la visione neognostica, che pensa solo all’intimismo, come ci ricorda papa Francesco: “…la salvezza non consiste nell’auto-realizzazione dell’individuo isolato, e neppure nella sua fusione interiore con il divino, ma nell’incorporazione in una comunione di persone, che partecipa alla comunione della Trinità” (Placuit Deo, 12). Riceverai l’abbondanza dei doni dello Spirito non per disincarnarti, perché per lo Spirito di Dio l’amore conosce solo una legge di salvezza: l’Incarnazione. Ti incarnerà in un ministero in questa Chiesa: questi sono i fratelli presbiteri da amare sinceramente, con i quali non entrare mai nel peccato della competizione, nel turpe vizio della critica, nel peccato contro lo Spirito Santo del rifiuto della grazia dell’altro. Ama come si ama nello Spirito, con pazienza e misericordia. Ama con la forza dello Spirito, che è dolce come la rugiada e non devastante come una grandinata. Ama così la gente, i poveri soprattutto, non nella conventicola di qualche scuola di pensiero, ma nella comunione “che partecipa alla comunione della Trinità”, nella quale, hai imparato dai tuoi studi a Molfetta, c’è la sintassi dell’amore, una unità tra il Padre, il Figlio e l’Amore. Giovanni il Battista ha sempre conservato nella sua vita la consapevolezza del dono di Grazia: non si è sentito padrone del suo ministero, ma ha percepito di essere sempre di essere un uomo chiamato a servire; non si è creduto lo Sposo, ma l’amico dello Sposo; non la Parola, ma la voce. Conserva queste umili e vere consapevolezze del Santo nella cui festa sei ordinato presbitero: non ti sentire mai “padrone” della Parola, ma servo; mai “signore” di una comunità, ma fratello e padre; sappi che non le “morbide vesti”, ma una vita sobria è la carta d’identità del profeta; sappi che potrai essere contento della tua vocazione quando il nome di Cristo sarà cresciuto e il tuo diminuito! La Vergine di Ripalta, che col suo dolce sguardo veglia sui discepoli del Figlio Suo, ti tenga per mano perché tu non abbia mai a smarrire la Via che è Cristo stesso.