Mons. Semeraro: il “cattolico” è la “parte che si prende cura del tutto”

Mons. Semeraro: il “cattolico” è la “parte che si prende cura del tutto”

C’è chi fatica, si affanna e si stanca, eppure resta sempre più indietro.
C’è chi è debole e ha bisogno di soccorso, ch’è privo di forze e ricco di miseria,
ma gli occhi del Signore lo guardano con benevolenza,
lo sollevano dalla sua povertà.
Siracide 11,11-12

Carissimi, da alcuni giorni siamo entrati in una nuova fase dell’emergenza Coronavirus che per oltre due mesi ci ha veduto affannati per inedite ansietà e costretti da inconsuete restrizioni. Oggi ci sembra di essere in condizione di poter guardare con più fiducia al domani e siamo pure, quanto a esterne limitazioni, un po’ alleggeriti. Questo vale anche per la partecipazione ai sacri riti e in particolare alla Santa Messa. Non aggiungo nulla a quanto già al riguardo vi è noto ed è contenuto nelle Disposizioni che il 14 maggio scorso, in sintonia con le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana, ho applicato alla nostra Chiesa di Albano. In genere, specialmente quando si ha sott’occhio un documento un po’ lungo, si cerca subito di … arrivare al dunque, come suol dirsi, ed è probabile che di quel testo sia stato trascurato il preambolo, che è, invece, la premessa che tutto motiva. Specialmente con quel passo del Concilio Vaticano II, che oggi più di prima deve disegnare il volto della nostra Chiesa: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono», certi che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et spes, n. 1).

È, dunque, da quel punto che vorrei riprendere le riflessioni che vi affidai il 10 marzo scorso, all’inizio della pandemia. Sotto molti aspetti la questione che maggiormente è stata discussa, al di dentro e al di fuori delle nostre comunità cristiane e pure con risonanza sui media, è stata quella relativa alle restrizioni circa i riti religiosi e di conseguenza alla sostanziale interruzione della normale vita comunitaria; ciò con particolare riferimento alla Santa Messa, domenicale specialmente, e ai riti esequiali. Trovo molto appropriato ciò che è stato scritto in un testo che il 14 aprile scorso inviai a tutti nostri sacerdoti perché lo studiassero e di cui ora, per la comune considerazione, ripropongo in estrema sintesi un solo passaggio: da un lato sono state reclamizzate reazioni di chi, non senza vittimismi alquanto ideologicamente sospetti, ha giudicato le autorità ecclesiastiche troppo arrendevoli verso le disposizioni governative; sono stati pubblicizzati, per altro verso episodi di maldestra inventiva di chierici che, improvvisando rituali di gran lunga estranei allo «spirito della liturgia» (Romano Guardini) hanno al tempo stesso pure esibito loro personali bisogni psichici (Cf. I. Zanchi, «I giorni del nemico», ora in Rivista del Clero italiano 5/2020, 347-348). A fronte di ciò tutti i nostri parroci e sacerdoti sono stati sempre equilibrati, attenti e generosi: mentre lo riconosco con piacere, desidero anche pubblicamente ringraziarli. Non è stato facile gestire queste emergenze, anche loro, come tutti noi, sorpresi da qualcosa di tragico, imprevisto e inatteso. Grazie, allora, di vero cuore.
Ora si sta gradualmente tornando alla normalità e domenica prossima, 24 maggio, solennità dell’Ascensione, si riprenderanno le cosiddette Messe di orario. Ciò non avverrà con facilità, almeno agli inizi. Insieme con i sacerdoti, pertanto, desidero ringraziare tutti quei fedeli che volontariamente si sono offerti a collaborare nei vari momenti di costituzione dell’assemblea liturgica, dal principio alla conclusione. Il volontariato, infatti, è una delle cose più interessanti che sta venendo fuori da questa crisi: un volontariato che coinvolge la massima parte degli operatori pastorali, nei diversi ambiti della vita comunitaria: dalla liturgia alla catechesi, alla scuola, alla pastorale giovanile e, specialmente, alla Caritas diocesana con le sue articolazioni parrocchiali.

Negli ultimi due mesi essa ha registrato un forte aumento di segnalazioni quanto a problemi di occupazione/lavoro ed economici. In grande crescita sono le richieste di beni e servizi materiali, in particolare cibo e beni di prima necessità. Ne seguono consegne a domicilio di pasti da asporto, sussidi e aiuti economici a supporto della spesa, o del pagamento di bollette e affitti, sostegno socio-assistenziale, lavoro e alloggio. Tutto questo anche con interessanti collaborazioni sul territorio con i Comuni, la Protezione Civile, la Croce Rossa e altri Enti, con l’apertura anche d’inediti spazi di dialogo interreligioso e non soltanto.
Nella nuova cosiddetta fase-2 tutto questo non può assolutamente passare in second’ordine. Fra non molto – ce lo auguriamo davvero – si tornerà alla normalità anche nella partecipazione alla Messa domenicale: la fede cristiana ha la sua radice nel mistero del Figlio di Dio che si è fatto uomo e che tornando al Padre, come celebriamo con l’Ascensione, non ha abbandonato la sua corporeità, ma trasfigurata l’ha portata con sé «nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria» (Prefazio dell’Ascensione del Signore). La nostra corporeità non è uno scarto da cui liberarci; per di più è proprio che nella corporeità celebriamo la Liturgia: ritrovandoci l’uno accanto all’altro, ascoltando insieme la Parola di Dio, unendo le nostre voci per lodarlo e invocarlo, accogliendo da una mano nella nostra mano aperta il Pane eucaristico… A tutto questo – ad una liturgia seria, semplice e bella – torniamo pian piano.

Chi, però, in questi tempi così difficili è divenuto «povero» e chi già lo era non ritroverà tanto presto una «sedia», o un banco dove sedersi! E mi torna alla memoria ciò che scriveva san Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio: «i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi» (n. 57)! Questo noi non possiamo accettarlo e, anche per tale ragione, dobbiamo accogliere il messaggio di papa Francesco che a Pasqua disse a tutti: «Questo che stiamo vivendo non è il tempo dell’indifferenza, degli egoismi, delle divisioni, della dimenticanza». Non possiamo pensare che la drammatica povertà che tanta gente sta sperimentando (e molti con quel silenzioso pudore che commuove i nostri parroci e gli operatori delle nostre Caritas) passerà in tempi brevi. Da qui il mio appello a riscoprirci Chiesa ospitale e questo non è cosa che riguarda unicamente la Caritas, ma ciascun battezzato. Ad ogni membro della comunità cristiana è chiesto di scendere in campo per accompagnare, curare, sostenere i fratelli e le sorelle che stanno vivendo una particolare difficoltà. In questi spazi della cura non possono esserci «specializzazioni».

Anche nella comunità ecclesiale non può esserci chi dice “io faccio parte del coro”, “io sono ministrante”, “io sono catechista”, “io sono insegnante di religione cattolica”, “io sono suora, o frate, o prete…” e… “la carità la facciano quelli della Caritas”! Il «cattolico» è la «parte che si prende cura del tutto»: pars in toto, parte nel tutto e pars pro toto, parte a servizio e a vantaggio del tutto. Questo è essere Chiesa. Questa è musica da suonare e cantare, servizio da svolgere, catechesi e insegnamento da offrire, ministero sacro e consacrazione da vivere. Scrivendo nello scorso mese di ottobre la lettera pastorale Abbi cura di lui non pensavo che sarebbe stata di così stringente attualità. Il passaggio dalla Chiesa alla casa di cui, ispirandomi alla prospettiva dell’evangelista san Luca, allora scrivevo, tratteggiandolo come volto di Chiesa che creativamente dobbiamo riscoprire, in questi giorni diventa anche un pressante invito: non accontentiamoci di potere dalle nostre case andare in chiesa, ma cerchiamo come dalle nostre chiese possiamo non semplicemente tornarcene a casa nostra, ma guardare alla casa di chi ha bisogno perché povero, malato, anziano.
Perfino i nostri telefoni cellulari possono essere utili anche per far loro sentire una voce amica … Il servizio diocesano Ti ascolto non è solo un servizio, ma anche una provocazione a trascorrere dieci minuti al telefono con … Nelle nostre parrocchie si sa chi sono le persone malate, anziane … qualsiasi operatore pastorale può far loro una telefonata. «C’è chi fatica, si affanna e si stanca, eppure resta sempre più indietro. C’è chi è debole e ha bisogno di soccorso, ch’è privo di forze e ricco di miseria, ma gli occhi del Signore lo guardano con benevolenza, lo sollevano dalla sua povertà» (Sir 11,11- 12). Siamo noi gli occhi con cui il Signore guarda, le mani con le quali solleva: ce li ha donati anche per questo. È l’augurio a voi tutti, il mio saluto e la benedizione che invoco dal Signore.