“Non abbiamo il diritto di disperare dell’uomo, né come individuo né come collettività, non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio lavora non solo nelle coscienze individuali, ma anche nella vita dei popoli”. Così Alcide De Gasperi, in un celebre discorso a Bruxelles nel 1948.
Faccio mie le parole del nostro grande conterraneo: non abbiamo il diritto di disperare.
Non ce lo consente quanto, in questi mesi, i nostri occhi hanno visto in termini di dedizione e capacità di vivere la vita come offerta, segni straordinari di prossimità e di unità d’intenti.
Non lo ammettono le lacrime versate, attestato di un amore intenso che si ribella all’idea di consegnare alla morte e all’oblio chi ci ha amato.
Non autorizza a disperare l’ansia di relazione rilanciata dall’isolamento, liberando una creatività che ha invaso positivamente la rete.
Non ce lo permette l’icona di Vigilio che, scrivendo a San Giovanni Crisostomo, confida, ancora incredulo, di aver vegliato sulle ceneri dei tre martiri, riconoscendo in esse non i segni della fine ma un nuovo inizio, un’esplosione di primavera, l’humus che ha offerto un nutrimento inesauribile alle radici della nostra Chiesa.
Non lo vorrebbe, infine, una grande figlia della nostra Chiesa, Chiara Lubich che nelle mani inchiodate del Cristo abbandonato ha contemplato la libertà dell’amore, traendone la forza per dilatare il respiro dell’unità da Trento in tutti gli angoli del mondo.
Per camminare al passo della speranza abbiamo a disposizione il capolavoro di umiltà di Gesù dal quale, come ci ha ricordato il testo degli Efesini, è stata generata la comunità dei discepoli del Vangelo. Il falegname di Nazareth non ha scolpito una vita in solitudine, ma ha cercato continuamente compagni di viaggio, ai quali insegnare la bellezza della fraternità.
La prova dell’umiltà è nell’attitudine a collaborare con gli altri, a camminare e faticare insieme. Non si tratta di attuare una tattica o una strategia, ma di fare esperienza di gioia profonda quando le scoperte, le conquiste, i risultati sono frutto del gioco di squadra.
Chiediamo, con l’intercessione di Vigilio, per ognuno di noi e per la nostra Chiesa, il dono dell’umiltà; la capacità di dialogare al proprio interno, mettendo da parte atteggiamenti solitari e autoreferenziali, per porsi in ascolto della voce dello Spirito e diventare compagna di strada dei tanti cercatori di vita e di senso.
All’origine della nostra Chiesa ci sono Vigilio e i tre martiri: non un vescovo solitario, ma un gruppo che sogna insieme.
Gli umili frequentatori della speranza si alimentano di parole sobrie, delicate, non arroganti. Esse trovano forza incontrando e ospitando le parole degli altri, riconoscendovi pari dignità. Anche in questo, la vita del nostro Maestro è un autentico capolavoro.
Vorrei chiedere alla preghiera di Vigilio di intercedere presso il Padre per aiutarci a concretizzare alcuni sogni.
Anzitutto, una Chiesa che ascolta il grido dei poveri e se ne fa carico in termini di vicinanza autentica e concreta. In questo momento sono seriamente preoccupato per chi ha perso o rischia di perdere il lavoro.
Una Chiesa che guarda con simpatia i giovani, senza giudizio, ma cercando presso di loro le coordinate del futuro che Dio ha preparato per lei.
Una Chiesa che custodisce i propri anziani come prezioso deposito in cui si rispecchia la nostra stessa vita, provocazione ad attraversare il presente con intensità e responsabilità.
Una Chiesa che, in ogni ambito della sua vita, risponde con gioia ed entusiasmo alla chiamata evangelica di vivere del Regno e per il Regno. Nel giorno in cui molti sacerdoti ricordano l’anniversario della loro ordinazione, domandiamo anche il dono di nuove vocazioni alla vita presbiterale, religiosa e missionaria.
Infine, un invito: leghiamo sempre più il nostro cuore a Sanzeno, per contemplare, assieme a Vigilio, la forza umile di quelle ceneri. Meraviglia d’amore che è all’origine della nostra Chiesa.