Nella “cella vinaria”: la lettera di mons. Renna ai sacerdoti

Nella “cella vinaria”: la lettera di mons. Renna ai sacerdoti

Carissimi fratelli presbiteri, ci mancherà la Messa Crismale, con il nostro convenire che ci vede uniti come presbiterio per
la consacrazione e la benedizione degli oli e per la rinnovazione delle promesse sacerdotali. Ho pensato, però, che nel cuore della Settimana Santa non può mancare un tempo di raccoglimento e di preghiera nel quale, non davanti al Popolo di Dio, ai confratelli e al Vescovo, ma davanti all’Unico Primo destinatario del nostro “Eccomi!”, ciascuno potrà rinnovare le sue promesse. Sarà un dialogo tra due cuori: “Cor ad cor loquitur!”. Mi rendo conto che, in questo momento, davvero “Tutto è grazia” e che siamo chiamati a cogliere in profondità “presenze” dove percepiamo assenze.
Promesse che rinascono dal cuore Siamo nella condizione più evangelica: “Prega il Padre tuo, ed Egli, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,6). In fondo, ci rendiamo conto che tutto ciò che vale nella vita, si realizza in quella che il Cantico dei Cantici definisce la “cella vinaria”: “Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore” (Ct 2,4). Secondo l’interpretazione di Origene, quel luogo intimo è l’anima del credente: “Sia la Chiesa di Cristo, sia l’anima che si tiene stretta al Verbo di Dio chiede che l’introducano nella casa del vino. In essa si affretta ad entrare sia la Chiesa sia ogni anima che desidera ciò che è perfetto, per godere della sapienza e dei misteri della scienza, quasi dolcezza del banchetto e gioia del vino” (Origene, Commento al Cantico dei Cantici, III, 2,4).
In questa interiorità si radicano le nostre scelte che, dopo anni, costituiscono quella opzione di vita che nulla e nessuno può cancellare, nonostante le peripezie di ogni tipo. Fa eco alla Parola di Dio e ai Padri quella sintetica quanto profonda espressione del Concilio Vaticano II: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria” (GS 16).

Cari fratelli presbiteri, credo che quest’anno, più che mai, avremo consapevolezza della nostra vocazione perché ci troveremo nella nudità delle nostre chiese ad essere semplicemente quello che la nostra coscienza vorrà essere. Non sarà concesso nulla ad alcun tipo di esteriorità; non ci saranno “precedenze” da rispettare negli stalli del presbiterio; né ci distrarrà alcuno o alcuna cosa, nel rinnovare quello che promettemmo nel giorno dell’ordinazione presbiterale.
Tre “Sì, lo voglio”, semplicemente atti di amore Vi invito a rileggere nel Messale le domande che in questi quattro anni vi ho rivolto e a cui per (tot) anni avete dato il vostro assenso. La volontà di rinnovare le promesse chiama in causa una dimensione della nostra persona, la voluntas. Sant’Agostino, nel De Trinitate, ci ricorda che in noi ci sono la memoria, l’intelletto e la volontà, e mi stupisce quella sua capacità di riportarle tutte all’unità, quando dice: “Queste tre cose dunque: memoria, intelletto, volontà, non sono tre vite, ma una vita sola, né tre spiriti, ma un solo spirito” (Agostino, De Trinitate, X, 17,2). Nel momento in cui noi diciamo “Sì, lo voglio”, facciamo memoria di un amore, quello di Dio, che ci ha preceduto, chiamato, accompagnato; di un ministero nel quale abbiamo sperimentato dedizione, slancio, cadute, misericordia e risurrezione. E l’intelletto, come viene coinvolto? È tutto quello che abbiamo compreso, inteso e quasi “selezionato” del nostro essere presbiteri. Sulla base di questa memoria e di questa intelligenza, noi vogliamo “continuare” ad essere preti.
Per questo, vi invito a fare memoria e a fare un atto di comprensione su cosa vuol dire per voi, dopo (tot) anni, essere prete e dire davanti a Dio: “Sì, voglio rinnovare le mie promesse!”. Non commento altro di queste tre domande, ma mi lascio prendere dalla suggestione di alcune espressioni: “Volete unirvi intimamente al Signore Gesù?”, “rinunziando a voi stessi”,
“spinti dall’amore di Cristo”, “avete assunto liberamente”, “fedeli dispensatori dei misteri di Dio”, “adempiere… sull’esempio di Cristo”, “lasciandovi guidare non da interessi umani…”.

Abbiamo tutto il tempo per “ruminare” queste espressioni. Ma ciò che sarà importante è rinnovare quel: “Sì, lo voglio”, che non è un atto di volontarismo, ché per gli impegni di un prete sarebbe titanico, ma di amore. Quei tre “Sì, lo voglio” sono un unico atto di amore che “Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore” (Ct 2,4).
La loro assenza, la loro presenza Nel rito della rinnovazione, il Vescovo dice rivolto all’assemblea: “Ed ora, figli carissimi, pregate per i vostri sacerdoti…”. Non potremo rivolgere a nessuno questo invito. Ma potremo “auscultare” il respiro della nostra gente che ci cerca, che si attende da noi una parola e un segno. Sappiamo che molti laici da noi chiedono solo “servizi religiosi”, che alcuni fanno fatica ad entrare nelle nostre categorie teologiche, persino quelle che esprimono la loro dignità di popolo sacerdotale, regale e profetico. Ma, in modo discreto, la richiesta di preghiera dice: “…vi conducano a lui, unica fonte di salvezza”. Il nostro impegno costante è quello di camminare, verbo proprio del pastore: un pastore è un grande camminatore e non si ferma neppure nei giorni di coronavirus. Qualche giorno fa, andando al cimitero di Minervino Murge per i funerali di una persona cara, mi sono fermato a contemplare un gregge che un pastore guidava pazientemente. Sì, noi siamo così, pastori che camminano e non si fermano; che non stanno ad aspettare le pecore, ma le vanno a cercare; che non rimangono nelle retrovie degli ovili, ma calpestano in ogni stagione i sentieri e le strade. E abbiamo una direzione da seguire: la Via della salvezza. Che l’assenza di gente ci faccia pensare che siamo stati chiamati ad essere presbiteri per cercare, camminare, riportare sulle spalle. E a pensare a coloro che sono assenti sempre…
Assenze e presenze L’ultima preghiera delle promesse è per il Vescovo. Chiede per lui cose grandi, praticamente di essere “immagine viva e autentica del Cristo”. È davvero tanto e, se non si avesse la certezza del sostegno di Dio, sembrerebbe impossibile anche incamminarsi su questa strada. Perciò, dopo la rinnovazione, ci sono delle preghiere per sostenere quanto
abbiamo promesso e quanto ci viene chiesto. Credo che l’assenza del presbiterio e dell’assemblea, ci fanno sentire il desiderio della presenza, l’uno dell’altro, degli altri per cui siamo inviati. Che il nostro cuore si dilati per accogliere tutti. Io, da parte mia, nell’iniziare questo Triduo Santo, vi chiedo perdono se non sono stato “servo di tutti” e se, qualche volta, ho interpretato male il mio ministero. Ma vedete, queste promesse e questa preghiera, pronunciate nel silenzio delle nostre chiese e nella “cella vinaria” del nostro cuore, mi danno maggiore certezza che saranno più vive e sincere e maggiormente gradite al Signore: “… e il Padre tuo che vede nel segreto, vi ricompenserà” (Mt 6,6).
Buon cammino. Che il Signore Gesù ci conceda la grazia di volerci bene e di giungere, insieme, alla vita eterna, senza rimandare troppo il tempo della nostra conversione. Buona Pasqua!