Oggi più che mai è necessario fare uno sforzo per non disperdere l’eredità di chi ci ha preceduto e ha voluto le attività di ospitalità. Dove trovare le motivazioni per vivere l’attesa del momento più propizio per tornare ad offrire a tutti l’esperienza dell’accoglienza religiosa?
Viviamo una situazione inaspettata. Il COVID-19 ha paralizzato la maggior parte delle attività, tra cui anche quelle spirituali e ricreative, a tutela della sicurezza sanitaria. In questo scenario, come si colloca il presente ed il futuro delle case per ferie e dell’accoglienza religiosa? Quali prospettive hanno gli enti, istituti e imprese sociali che direttamente o indirettamente si occupano dell’accoglienza religiosa?
Nell’immediato, una parola potrebbe sintetizzare la missione a cui sono chiamate queste oggi realtà: resistenza. Tante volte nella storia le realtà ecclesiali hanno dovuto resistere per difendere le loro opere in contingenze molto avverse: guerre, carestie, pestilenze, persecuzioni, espropri. A costo di grandi sacrifici, esse hanno preservato quei beni che consideravano strumenti essenziali per la continuazione della loro missione spirituale e materiale, dimostrando un’immensa capacità di resilienza nel mantenere, a prezzo di rinunce, la memoria dei fondatori e la possibilità di continuarne l’opera attraverso i beni che la Provvidenza ha generosamente fornito loro. D’altronde, come sarebbe stato possibile assistere le popolazioni in difficoltà durante le guerre e la fame, nascondere innocenti perseguitati, senza questo immenso ed appassionato spirito di sacrificio, e senza la disponibilità di quei beni, di quegli edifici? Le realtà ecclesiali hanno sempre fatto memoria delle prassi virtuose di tanti uomini e donne, spesso all’origine di istituti e congregazioni, per ritrovare il coraggio della loro fede e metterlo in pratica.
Oggi ci troviamo in una situazione diversa nella forma, ma non nella sostanza. I numeri sono impietosi, lo vediamo; le prospettive, ignote. Servirà un grande sforzo – ed auspicabilmente anche un aiuto dalle istituzioni – per non cedere alla tentazione di chiudere attività di accoglienza che a cascata andrebbero a danneggiare uno dei pilastri della sussidiarietà su cui si regge il paese. Posti di lavoro, opere sociali ed assistenziali a favore degli svantaggiati: tutto questo rischia di venire meno senza un sacrificio da parte di tutti.
Resistere nella difficoltà, facendo memoria del passato, sarà il modo per le strutture di ospitalità religiosa di essere un segno della speranza di poter riprendere e riempire di senso il tempo libero dell’uomo. Attingere al bagaglio di esperienza dei predecessori, imitandone le virtù, per mantenere viva la possibilità di accogliere domani chi non può essere ospitato oggi, è un servizio reso alla società che sicuramente non andrà perduto e genererà altro bene.
Occorre mantenere ferma la consapevolezza che, come il seme attende nel ventre della terra il momento giusto per germogliare e dare frutto, anche l’ospitalità religiosa rinascerà dopo questa crisi e porterà frutti di bene materiale e spirituale per la Chiesa e per la società. Gli uomini ricominceranno a viaggiare, a recarsi in pellegrinaggio, ad avere bisogno di un’ospitalità non fine a se stessa ma aperta alla convivialità ed alla solidarietà, sostenuta con i proventi di queste opere. L’esperienza di accoglienza familiare, che solo nelle case per ferie si può trovare, è proprio ciò di cui necessita l’uomo di oggi, convalescente da una forzata quarantena spirituale, costretto nella solitudine a cercare dentro di sé i valori più autentici della vita.
Oggi, occorre resistere consapevoli di avere una missione da compiere: mostrare uno dei tanti volti belli della Chiesa, l’ospitalità. Proprio dalla permanenza forzata nelle proprie abitazioni, il desiderio ed il bisogno di vedere questo volto bello possono riemergere in ogni persona, riscoprendo la verità e la genuinità della dimensione familiare e ospitale dell’esistenza.