Post.it – 5 parole per comprendere il presente e progettare il futuro a cura dell'Ufficio Diocesano Cultura Scuola e Università ABITARE: Riflessione a cura di Lia e Luigi Bellomo e don Rino Dello Spedale AlongiDirettori e assistente dell’Ufficio Pastorale FamiliareDiocesi di CaltanissettaI giorni della pandemia ci hanno costretti a restare a casa e a convivere all'interno delle mura domestiche; abbiamo quindi abitato le nostre case nel senso di averle vissute in pienezza: sono diventate palestre, panifici, cinema, sala giochi, chiese… Nessuno avrebbe mai immaginato una circostanza di tale portata, ma al contempo è assurdo credere che Dio mandi nel mondo questa pandemia per chissà quale progetto divino.Siccome siamo cristiani e uomini di speranza prendiamo il positivo delle situazioni della vita e facciamone tesoro. Questo vuol dire che alla fine di questo periodo di costrizione, di sofferenza e di privazione dobbiamo riprendere una vita comunionale che ci faccia comprendere l'importanza della relazione, che esalti il rapporto con i sacramenti, che dia il vero senso dello stare insieme, tutte cose che oggi sono sacrificate e di cui probabilmente nella mancanza, abbiamo capito quanto valgono.La quarantena ci ha costretti a fermarci. Nella fase iniziale è come se il virus avesse fermato il tempo, ma non è stato tempo perso, anzi, ci ha dato la possibilità di leggerci dentro, abbandonando la frenesia del fare, perché forse ci eravamo dimenticati di abitare noi stessi non ascoltando più né il nostro corpo né la nostra anima. Questo tempo ci ha dato la possibilità, in qualche modo, di farci abitare dallo Spirito Santo che è stato la guida e il sostegno nella nostra “nuova vita” familiare.Abbiamo cercato di dare un nuovo senso alla nostra vita, dando priorità alle cose veramente importanti e quindi abitare il mondo secondo la logica dell’espressione del Vangelo di Giovanni “Venne ad abitare in mezzo a noi”. Per noi, abitare vuol dire essere pienamente cittadini di questo mondo da cristiani, ma – come ci ricorda un antico testo cristiano – “nel mondo ma non sono del mondo”. Abitare da cristiani il mondo vuol dire amare e rispettare se stessi e gli altri, ottemperando a regole di convivenza civile che però sono espressioni di cristianità in quanto evidenziano una cura verso il prossimo. In questo senso in questo periodo abbiamo imparato che amare gli altri non si manifesta esclusivamente con un abbraccio, ma anche “mantenendo le distanze”, indossando una mascherina e tenendo puliti strade e ambienti, come gesto di rispetto verso chi ci sta accanto.La pastorale del post covid dovrà tenere conto di questa esperienza e farne tesoro. Bisognerà valorizzare i momenti di grazia vissuti, che questo periodo difficile ci ha dato, ad esempio quando le famiglie si sono riunite in preghiera, quando si sono ritrovate le unità familiari (genitori – figli; marito – moglie), quando si è riscoperta la solidarietà tra le famiglie vicine. Non possiamo perdere tutto ciò e collocarlo esclusivamente in un periodo transitorio, ne dobbiamo fare quotidianità, la regola di vita, la nostra fonte di ispirazione nei comportamenti di tutti i giorni: il tempo va vissuto sempre anche quando manifesta negatività come in questo caso. Valorizziamo dunque ogni fase della vita e ogni esperienza.Il tempo che abbiamo vissuto ci ha dunque detto che abitare il mondo secondo lo spirito evangelico e dunque dobbiamo “farci abitare da Dio”.C’è un episodio nella vita di Gesù e nel suo rapporto con i suoi amici – futuri apostoli che è un punto di non ritorno dell’abitare: «Rabbì, dove abiti? […] Venite e vedrete». (Gv 1,38-39). Riassumendo la vicenda narrata dai vangeli, ricordiamo che due discepoli di Giovanni Battista seguono Gesù, Egli chiede loro “cosa cercate”, i due rispondono “dove dimori”, ed Egli invita loro a seguirlo. I discepoli vanno, vedono e da quel giorno rimangono con Lui. È giusto chiedersi, alla luce di questo particolare episodio, che cosa fa Gesù? Che cosa dobbiamo fare noi? Egli per primo abita in noi e chiede a noi di abitare non solo con Lui ma in Lui. Proviamo a contemplarlo così, a metterci nel suo cuore, ad entrare nel suo cuore e permettere a Lui ad abitare in noi.La Scrittura ci insegna anche che per Gesù la casa non è luogo estraneo, invivibile, bensì occasione dove i rapporti si possono (e si devono) curare con pazienza e amabilità: ce lo testimoniano la casa di Nazareth di Maria e Giuseppe; la casa di Marta, Maria e Lazzaro a Betania; la casa di Zaccheo e poi del fariseo; la casa di Pietro e quella del cenacolo e tante altre case ancora, che Gesù visita costantemente. E così, in questi giorni, Gesù è entrato nelle nostre case e nei nostri cuori con benevolenza, fiducia, affetto, per darci vita e non per creare disagio. Il suo amore abita in noi e noi dobbiamo abitare in Lui, ricordando, dopo questo lungo periodo di prova, cosa significa oggi e nelle prossime settimane lasciare che Egli entri nella nostra vita. Per questo ci sentiamo chiamati ad accostarci in modo nuovo ai sacramenti e alla sua Parola, ma anche a vivere l’imperativo espresso da san Paolo in Rm 15,7: «Accoglietevi gli uni gli altri». Un impegno che fa eco alla parola di Gesù: «Amatevi gli uni gli altri». La soluzione di ogni conflitto nell’abitare “insieme” a casa, a lavoro, in chiesa, nell’amicizia e nel vicinato si trova nel comportamento di Gesù, che ha abitato in un’unica grande famiglia di fratelli, figli dell’unico Padre. Egli è venuto ad abitare il mondo proprio perché noi abitassimo in Lui. Vivere da cristiani significa in ultima analisi relazionarci con il mondo come Gesù. Questa è e può essere, per tutti noi, sorgente di responsabilità nei confronti di coloro che dobbiamo indistintamente accogliere come fratelli.
Pubblicato da Ufficio Comunicazioni Sociali Diocesi di Caltanissetta su Sabato 13 giugno 2020