Pregare con i Salmi: “tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”

Pregare con i Salmi: “tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”

Un Salmo fuori dal coro pasquale?

Si tratta questa volta di un Salmo un po’ strano, senza invocazioni e poco conforme al nostro linguaggio solito: “Io ti ho generato” istintivamente ci porta a pensare al Natale o alla generazione eterna di Gesù dall’eterno Padre; invece il senso è un altro, più legato alla pasqua di Gesù. Così infatti la frase fu intesa dai primi cristiani abituati al linguaggio biblico e non a quello del nostro Credo, scaturito solo qualche secolo dopo (dopo i primi grandi concili del sec. IV). Troviamo infatti quella frase nel libro degli Atti degli apostoli al cap. 13, 33, sulle labbra di san Paolo e nel contesto di un suo discorso a Ebrei nella sinagoga di Antiòchia di Pisìdia (attuale Turchia centro-meridionale), dunque un bel po’ prima di quei concili.

Egli vuol portare quella gente a Gesù, al crocifisso risorto, come a uno che porta a compimento tutta la storia di Israele, in special modo la storia del re Davide e del suo regno (al tempo di Paolo ormai finito da secoli). È proprio lì che Paolo annuncia la risurrezione di Gesù, ma non con i termini più soliti (risurrezione, risuscitazione da parte di Dio e sua ascesa alla destra del Padre), bensì con quello, appunto,  di “generazione”.

A quel tempo e per quella gente la frase poteva servire anche per esprimere l’intronizzazione di un semplice uomo a dignità e potere nuovo, regale e sovrano: come una specie di nascita nuova. Così infatti la usa san Paolo, citando proprio la vicenda regale di Davide. In quel contesto la dignità divina di Gesù rimane quindi più nascosta, verrà esplicitata in altri contesti. In quel frangente era più urgente annunciare la dignità di Gesù, il “maledetto” e sconfitto crocifisso, come re messia di Israele (e delle genti). Possiamo quindi vedere qui un cammino ancora incompleto e progressivo della fede cristiana e non era l’unico caso. Del resto una saggia catechesi farà sempre così.

Origine ebraica e rilettura cristiana

Ora possiamo rileggere insieme il Salmo 2, nella nuova versione della Cei, anzi sarebbe opportuno che ognuno cominci a guardarlo per capirne meglio il commento. Il Salmo comprende 4 parti. Nella prima (vv. 1-3) se ne vede il momento originale: una ribellione di regni esterni alla dinastia di Davide che li aveva aggiogati, così sembrava, per disposizione divina. Ma quelli non ci stanno più e si coalizzano: “Spezziamo le loro catene…”. Nei vv. 4-6 c’è l’oracolo di Dio a difesa di Davide: Ride colui che sta nei cieli…parla loro con ira…Io stesso ho stabilito il mio sovrano sul Sion mia santa montagna. Qui si esprime la convinzione, anche un po’ orgogliosa, di Davide e della sua dinastia di essere a servizio di un re davvero divino come Jahvèh.  La terza parte (vv. 7-9) ripete l’oracolo, ma sulle labbra del re davidico stesso: Voglio annunciare il decreto del Signore, Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato, ti darò in eredità le genti…le spezzerai con scettro di ferro… Infine i vv. 10-12 sono un invito di sapienza: tutti possono godere dentro il regno davidico, purché abbiano un santo timore e  tremore…disposti alla disciplina di quel regno e del suo Dio… Beato chi in lui si rifugia, chiunque egli sia.

Ha fatto bene dunque san Paolo a rileggere per Israele e per tutte le genti il Salmo 2. Ma ci voleva tutta la sua fede per farlo, ben consapevole di invitare tutti a un re che invece di spezzare altri si è lasciato spezzare come vaso d’argilla! Che tipo di re era allora? E quale sarebbe stata la sua disciplina? Quale tipo di gioia poteva augurare a tutti, lui? San Paolo lo sapeva e lo annunciava con timore e gioia grande, lui ebreo di ferro, prima nemico del crocifisso e poi suo appassionato araldo. Chi gliel’ha fatto fare? E molti pagani aderirono.

Un Salmo senza invocazioni

Ultima osservazione. Come parecchi altri Salmi anche questo non comprende alcuna invocazione. È solo ascolto di una Parola di Dio e del suo Messia, con l’invito al loro regno. Anche questo è pregare, anzi. Poi ognuno può completare con parole proprie e in comunità tale ascolto e invito.

Saper dunque innanzitutto ascoltare, come avviene del resto con la musica. Ascoltare la Parola biblica di Dio, ma non solo questa. Ascoltare anche la realtà che ci circonda, con le sue ombre e luci. La pandemia attuale, per esempio,  obbliga molti a ripetere una frase tradizionale: dopo il corona-virus non sarà più come prima, tante cose stanno già cambiando e cambieranno, anche nel campo della religione e della vita di chiesa. Il card. Martini disse: dopo la Shoàh non si può più credere come prima, siamo obbligati anche a cambiare un certo modo di pensare Dio e il rapporto con Lui. È vero e vale anche oggi.

Dal Salmo al Coronavirus

Ma quale tipo di Chiesa, di religione, di esistenza ne usciranno? Difficile prevederlo con chiarezza. Occorre, e lo si sta già facendo a diversi livelli. Innanzitutto saper ascoltare se stessi, gli altri, la storia, i segni dei tempi, gli esperti e la gente più comune. Come di fronte a una sinfonia che colpisce udito e cuore. Salmi come quello meditato sopra ci invitano proprio innanzitutto all’ascolto. Ottima pista, almeno per la Chiesa, è certamente anche la Evangelii gaudium di papa Francesco, che invito ancora a leggere e studiare. Anche questa ci aiuterà almeno nella riscoperta dell’essenziale per l’esistenza umana e per la Chiesa universale e locale.

Possiamo anche aggiungere qualche previsione? Si cambierà il rapporto Chiesa e Stato, leggi civili e leggi ecclesiastiche, le relazioni tra genitori e figli, quelle tra scuola e famiglia, tra sanità e vita civile, tra lavoro e casa, tra orari e mezzi pubblici di spostamento ecc; sta già mutando anche qualche elemento della nostra religiosità; pensiamo anche solo al modo di pensare la Messa specialmente festiva, alla riscoperta della differenza tra assistere e sentire Messa magari solo per precetto e usanza e il parteciparvi come persone e comunità…

Più in profondità: il progresso tecnico era quasi diventato un idolo ricco di speranze per un prossimo futuro, al posto di Dio ci stava il progresso, a Dio avevamo quasi tolta la D… ma ci bastò un microbo virale a farci riscoprire poveri e vulnerabili più delle scimmie, a farci riscoprire anche “poveri in spirito” e quindi bisognosi di rimettere la D al suo posto? Lo speriamo. E insieme anche la riscoperta del NOI accanto al mio Io? Insieme anche all’Islam, colpito con noi… Qualcosa di nuovo è davvero già in atto, grazie anche alla pandemia! Sursum corda dunque e avanti sulla via segnata.

don Giovanni Giavini