Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, è bello ritrovarci questa sera per dire, prima di tutto, un grazie al Signore che ci ha guidato e sostenuto in questi mesi. Voglio ringraziare ciascuno di voi, i vostri parroci, i vostri sacerdoti, i diaconi, le religiose e i religiosi, i seminaristi, tutte le vostre comunità e le comunità monastiche della diocesi, per come avete affrontato questo tempo di prova. Grazie anche per i testi che avete inviato, frutto del ritiro di Pentecoste, a livello personale o nella condivisione fraterna. Pur nella tempesta, la barca di Pietro non è affondata, perché in essa c’è sempre il Signore. Nell’omelia della Veglia Pasquale, Papa Francesco ha affermato: Stanotte conquistiamo un diritto fondamentale, che non ci sarà tolto: il diritto alla speranza. È una speranza nuova, viva, che viene da Dio […]. Non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza […]. È un dono del Cielo, che non potevamo procurarci da soli. Tutto andrà bene, diciamo con tenacia in queste settimane, aggrappandoci alla bellezza della nostra umanità […] Ma, con l’andare dei giorni e il crescere dei timori, anche la speranza più audace può evaporare. La speranza di Gesù è diversa. Immette nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita. Oggi, nel giorno della Nascita del Battista, accogliamo la speranza che Dio vuole donarci. In quel bambino, chiamato “profeta dell’Altissimo”, vediamo la Chiesa, la nostra comunità diocesana, invitata come ogni mattina a contemplare Gesù, il “sole che sorge” e ad andare innanzi al Signore “per preparargli la strada”. 6 Siamo qui per continuare il nostro cammino diocesano, il nostro “esodo”, arricchito da tutto questo tempo in cui lo Spirito ci ha ricondotto fortemente all’essenziale. Non è una ripartenza da “dove eravamo rimasti”, perché questo periodo non è stato una “parentesi”, ma piuttosto un tempo in cui siamo “stati arati” per renderci “il terreno buono” che accoglie il seme dei doni di Dio, nel buio, nel silenzio e nella prova. Il seme è cresciuto, notte e giorno, “come, noi stessi non sappiamo” (cfr. Mc 4, 27), in un modo originale rispetto ai nostri piani. Papa Francesco nell’omelia della Messa di Pentecoste ha detto: “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. Ci siamo già chiesti, in queste ultime settimane: cosa abbiamo vissuto? Cosa stiamo vivendo? Che cosa vuole dirci il Signore? Cercando di interpretare “i segni dei tempi”, vogliamo ora verificare a quali scelte il Signore ci vuole portare, perché lo Spirito ci ha donato di vivere un kairòs, un momento opportuno e favorevole, una nuova partenza, come avvenne per gli Israeliti e le loro famiglie nella notte della fuga dall’Egitto. È un passaggio battesimale, dove “qualcosa” è lasciato perché “una realtà nuova” possa esserci donata. L’attenzione del cammino diocesano del prossimo anno pastorale è posta sull’entrare in relazione ancora di più con le persone che abitano i nostri quartieri (in particolare le famiglie, i giovani e i soggetti più fragili) e ascoltare con un cuore contemplativo le loro storie di vita. Dalla pandemia del coronavirus, questo impegno ne esce rafforzato e non indebolito. Abbiamo sperimentato, infatti, quanto sia diffusa tra la gente la nostalgia di relazioni autentiche e profonde. Per questo diventa ancora più chiaro che una riforma della vita della Chiesa diocesana e della sua azione evangelizzatrice debba puntare sulla relazione, direi in particolare sul “tu per tu”, mettendoci davvero in ascolto di ciò che le persone pensano, sentono e vivono, prendendoci cura di loro. Dio ci parla così. La Sacra Scrittura ci aiuterà a cogliere l’azione di Dio nell’oggi e lo Spirito ci ispirerà un saggio discernimento evangelico diventando più piccoli, togliendoci i “sandali” delle nostre interpretazioni parziali, per tenere i piedi ben saldi nella “terra di Dio”.