“All’inizio avevo davanti delle settimane, poi ho iniziato a contare i giorni, poi le ore: ogni ora segnava nel mio lavoro decisioni che sapevo sarebbero ricadute sulla vita o sulla morte di fratelli e sorelle. Ho imparato a chiamare così i pazienti. Pazienti! Quanta pazienza in coloro che hanno attraversato e stanno attraversando queste ore. Pazienza carica di paura e di speranza per TUTTI. Per noi che viviamo con loro la lotta per la vita e per i loro cari che stavano lontani e non potevano fare altro che aspettare, dentro a un vuoto colmo di angoscia. Alle volte quasi automaticamente mi tornavano le parole sentite al catechismo: ‘e fu sera e fu mattina, primo, secondo, terzo giorno’ …e così via in una alternanza che tutti costringeva ad una obbedienza alla vita che non ha paragoni con nessuna altra obbedienza. Ho sognato spesso di morire anch’io, inutile negarlo. Nelle notti in cui non dormivo ho ripassato più volte la mia vita nelle sue scelte, nei suoi criteri, nei suoi giudizi. Ora, che un filo di respiro sta attraversando le nostre vite mi dico che davanti a questo bastardo invisibile che ci ha piegato ed è pronto a rifarlo ancora non posso non rivedere molto di come ho vissuto, di ciò che ho scelto, di ciò che ritengo importante o meno. Mi ritrovo con poche forze e con molti timori sul futuro, solidale con chi ha ancora paura e teme di non riuscire a rialzarsi, ma non voglio mancare a questo appello che come credente sento molto urgente: scegliere come vivere da qui in poi perché mi sento tra quelli che hanno toccato con mano che siamo ‘solo’ creature e se non abbandoniamo la nostra onnipotenza ora ce la porteremo come un peso che chiude il cuore e rende arida la vita per sempre”. (Una consacrata, medico)
Il tempo del nostro giudizio
“La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti le nostre abitudini e priorità. Con la tempesta è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ego sempre preoccupati della propria immagine, … Tu Signore ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. E’ il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso i fratelli”. Così pregava Papa Francesco nella sera del 27 marzo mentre l’aggressività del dolore che stavamo attraversando riempiva ogni realtà personale e sociale, individuale e mondiale, parole che oggi si rivelano essenziali per poter entrare con responsabilità in questo delicato tempo di ripartenza.
Le istituzioni e i vari comitati scientifici sono impegnati a guidare con responsabilità e prudenza la ripresa nei vari settori della vita pubblica nella fase 2, ciascuno di noi ha la responsabilità di assumere, con estrema maturità e impegno morale verso se stesso e la comunità, le norme e le indicazioni che verranno date. Se davvero ci siamo accorti che nessuno può salvarsi da solo, questo è il momento di dimostrare e di vivere questa consapevolezza di popolo a servizio del bene comune affinché la vita e il lavoro possano gradualmente ripartire con sufficiente stabilità. Nessun vero cambiamento però parte ‘solo’ dall’alto bensì trova la sua efficacia solo se accompagnato e nutrito da un vero cambiamento di coscienza individuale. Siamo quindi chiamati ad entrare anche in un tempo di rilettura e di discernimento della nostra vita personale affinché possa poi portare frutto nelle scelte individuali e comunitarie che ci riguardano direttamente e possa essere di stimolo per assumere le scelte sociali che verranno proposte per esercitare una matura corresponsabilità etica e politica nel senso più profondo del termine: come arte della ricerca del bene comune contro la logica della globalizzazione dell’indifferenza (Papa Francesco, Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile)
A questa responsabilità di discernimento, che deve impegnare ciascuno di noi, non ci si può e non ci si deve sottrarre non si può infatti né tornare indietro né andare avanti come se tutto ciò che abbiamo vissuto fosse di poco conto e unicamente una brutta esperienza da dimenticare: il patire una vulnerabilità che ci ha accumunato deve potersi trasformare in una nuova fratellanza quotidiana e universale.
Abbiamo vissuto emozioni forti, profonde e intense, alcune immagini resteranno impresse nelle nostri menti e nel nostro cuore, qualcuno ha chiesto di dedicare la giornata del 18 marzo, quando i feretri dei defunti di Bergamo sono stati portati via dai camion dell’esercito, a tutte le vittime di questa pandemia, altri di trovare modi per fare memoria di ciò che è avvenuto, in un certo senso in molti avvertiamo il bisogno di tradurre in una forma di coscienza collettiva ciò che abbiamo vissuto. Fare memoria è un processo essenziale per poter ripartire con coscienza e quindi crescere anche e proprio attraverso questo dolore. Il diritto alla speranza passa anche dal poter ricordare: riportare nella nostra interiorità ciò che abbiamo visto e udito aprendo il cuore e la mente ad una comprensione più profonda come accadde ai viandanti di Emmaus nell’incontro con il Signore risorto.
Alcune domande per il cammino
Per metterci nella disposizione migliore per ripartire ci può essere di aiuto accogliere in noi delle ‘domande essenziali’ dinanzi alle quali fermarci a riflettere con serietà e responsabilità. Ne raccolgo e ripropongo alcune che ritrovo rileggendo la preghiera del 27 marzo e l’omelia nella Veglia di Resurrezione del Papa e come eco e frutto dell’ascolto di fratelli e sorelle in queste settimane.
“Sento che la mia fede è messa a dura prova. Non mi va più di ripetere cose che ora non mi dicono più nulla. Cerco di affidarmi senza nascondere a me stessa la fatica e il dubbio che tutto sia inutile e che essere credenti o meno non cambia nulla nello sfacelo che viviamo”. “Signore, ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi”.
Quali passaggi ha attraversato la mia fede in questo tempo di tempesta e di oscurità? E la mia esperienza di preghiera come potrei raccontarla a me stesso? Ho vissuto il buio, lo sconforto, la rabbia, l’esperienza della assenza del Signore, mi sono sentito abbandonato, ho provato a gridare contro di Lui? Ho pregato per gli altri intercedendo per tutti i più fragili e i malati, sono riuscito a vivere un dialogo fiducioso, ho cercato nella Parola un po’ di luce e di senso? Mi sono scontrato con la mia incredulità? Ho provato la paura di essere stato abbandonato e di pensare che fosse tutto un castigo? Ho desiderato la nostalgia di una consolazione che rendesse saldo il cuore e sostenesse la vita? Ho cercato il Signore Gesù? E dove? Sono riuscito ad esprimere a Lui ciò che ho attraversato? Ho vissuto la consolazione di averLo ritrovato?. Lasciamo entrare queste domande, senza fretta, con calma e senza timore apriamo il nostro cuore. Lasciamo affiorare ciò che ci abita nel profondo: il Signore che conosce il nostro cuore ha visitato la nostra vita e la nostra morte, nulla è nascosto a Lui.
“Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è.”
Ripenso alle mie scelte, ai criteri che guidano le mie decisioni e che sostengono la mia volontà. Alle relazioni che vivo e che mi sono mancate. Ai beni che ho e a come li uso. Rifletto su ciò che mi è più mancato e ringrazio per ciò che ho ritrovato a cui magari non davo più importanza. Al significato interiore che ha avuto questa lunga quotidianità nella quale siamo stati tutti ‘confinati’: questa forzata interruzione della routine quotidiana, della fretta che magari caratterizzava le mie relazioni e le giornate, di tutto ciò che le riempiva cosa ha detto a me di me stesso? Cosa mi ha rivelato dell’altro che vive accanto a me? Dalle relazioni quotidiane tessute magari in spazi ristretti e condivisi cosa ho imparato? Mi ritrovo più solidale? Il mio cuore e il mio sguardo si è allargato o rimpicciolito? Quando si parte per un lungo viaggio ci si alleggerisce lo zaino per poter camminare con passo più spedito, in questa pandemia siamo ora chiamati a rimetterci progressivamente in cammino, la sosta prolungata che abbiamo fatto forse ci ha dato la possibilità di avvertire ciò che era troppo pesante in noi e che costituiva un ostacolo ad un procedere nella vita con più essenzialità. L’esperienza della malattia e della morte di persone vicine e lontane ci ha messo di fronte al desiderio di decidere ciò per cui vorremmo essere ricordati, di ritornare ai legami affettivi che viviamo, di comprendere ciò che è davvero importante e che vorremmo lasciare in eredità a coloro che amiamo. Forse abbiamo riflettuto anche sul tempo come la realtà dentro la quale si tesse la nostra vita e si realizzano i nostri progetti, ma che non possiamo trattenere ad oltranza, non ne siamo i proprietari. Fermiamoci e con coraggio scegliamo nella nostra vita ciò che conta per rinforzarlo e renderlo più fecondo, lasciamo ciò che non è necessario e chiediamo la grazia di farlo con umile verità di noi stessi dinanzi a Dio.
“Non ho mai provato tanta impotenza di fronte al male come in questi giorni. Tanto sconforto e contemporaneamente tanta voglia di trovare qualche via per essere vicino a chi è solo e disperato. Vorrei essere in prima linea, ma ho anche paura e poi se leggo l’inquietudine che sento non so se questo potrebbe in realtà servire a me per sentirmi più a posto”.
Papa Francesco ha ripetutamente ricordato a tutti che il Signore ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza che sono capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore e ai prossimi giorni che verranno. Molti fratelli e sorelle sono stati lacerati dalla perdita dei loro cari, sono schiacciati sotto il peso di un futuro incerto e alle volte drammatico. Ma questa prova ha portato alla luce anche le forze più vitali che la nostra umanità ha in se stessa: la dedizione e la solidarietà per chi è nel bisogno, per i più fragili e dimenticati. L’impegno e la carità non sono venuti meno, tanti testimoni silenziosi hanno sostenuto molti in questa notte e tutti ne siamo testimoni. Ora questa spinta di generosità e altruismo sono chiamati a superare la prova della perseveranza: è nella perseveranza del tempo che la vera carità viene alla luce. E’ nel dono paziente, disinteressato e fedele che il discernimento si compie ed emerge la verità del cuore. Qui si apre un’altra domanda che ci mette a nudo nelle nostre intenzioni: il desiderio di fare qualcosa per gli altri che possiamo aver sentito e anche messo in atto resisterà alla prova del tempo? Saprò dare continuità e presenza a coloro che saranno, anche a distanza di mesi, nella solitudine, nella fatica e nella precarietà? La tempesta fa cadere il trucco degli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’, così diceva il Papa, sono parole forti e vere dinanzi alle quali vale la pena di fermarci. Per ripartire in sicurezza è necessaria la lungimirante ‘pazienza’ della carità.
La forza di Dio e la nostra forza
“Questa è la forza di Dio, volgere al bene tutto quello che ci capita anche le cose brutte perché con Dio la vita non muore mai”. “Vieni Gesù nelle mie paure e dì anche a me: coraggio! Con Te Signore saremo provati, ma non turbati perché tu sei con noi nel buio delle nostre notti: sei certezza nelle nostre incertezze, Parola nei nostri silenzi e niente potrà mai rubarci l’amore che nutri per noi”.
Questo tempo ha attraversato la nostra persona, le nostre relazioni, i progetti su quali stavamo investendo forze e programmi, i desideri per il nostro presente e per il nostro futuro, più o meno improvvisamente tutto si è fermato e dentro a questo tempo sospeso abbiamo dovuto fare i conti con la percezione della nostra creaturalità: siamo ‘solo’ creature’ fragili e indifese! Se la forza di Dio è racchiusa e manifestata nella resurrezione del Figlio, la nostra forza è la nostra debolezza. Dinanzi a questa verità ci viene incontro ancora una volta la parola di Gesù che dice a ciascuno di noi: coraggio! Coraggio, non temete, non abbiate paura, sono le parole che aprono e chiudono i vangeli, l’inizio e la fine della vicenda terrena di Gesù, l’alba e il tramonto di ogni vicenda umana. Se ciascuno di noi avrà ricevuto in dono questa misura buona della propria debolezza, questo tempo non sarà stato solo tenebra, ma anche luce. Riconoscere che la nostra debolezza è la sola nostra forza vuol dire arrendersi all’amore che Dio ha per ciascuno di noi. E’ sorgente dell’annuncio di speranza, di consolazione e di gioia che siamo chiamati a portare a tutti. “Che bello essere cristiani che consolano, che portano i pesi gli uni degli altri, che incoraggiano: annunciatori di vita in tempo di morte. in ogni Galilea, in orni regione di quella umanità a cui apparteniamo e che ci appartiene perché tutti siamo fratelli e sorelle, portiamo il canto della vita!” (Papa Francesco, Omelia veglia pasquale). Da questa vera obbedienza alla realtà della nostra creaturalità che non ha paragoni con nessuna altra obbedienza, scaturisce ogni impegno a servizio della vita. L’obbedienza alla nostra umanità è un legame di solidarietà e responsabilità. Ci impegna gli uni verso gli altri in un esercizio di cura reciproca e di vigilanza responsabile, ci impegna a ricercare insieme agli altri tutto ciò che può essere messo a servizio del bene comune, della giustizia, della equità, della pace. Ci sprona ad abbattere le barriere che dividono per trovare il coraggio di una nuova solidarietà che sappia superare divisioni e discriminazioni. Ci dà forza per assumere e sostenere decisioni a servizio dell’umanità più sofferente e dimenticata, per costruire insieme “una civiltà della speranza: contro l’angoscia e la paura, la tristezza e lo sconforto, la passività e la stanchezza. La civiltà dell’amore si costruisce quotidianamente, ininterrottamente”. (Papa Francesco, Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile). Si tratta di ripartire quindi con prudenza e obbedienza alle disposizioni che ci verranno date, ma soprattutto con la consapevolezza di concretizzare tutto ciò dentro ad un vero processo di conversione e di rinnovamento individuale e sociale.
Anna Deodato, ausiliaria diocesana, formatrice vocazionale