Un Venerdì di Speranza tra i detenuti di Catanzaro

Un Venerdì di Speranza tra i detenuti di Catanzaro

di Luigi Mariano Guzzo

Nel Venerdì Santo l’ampio cortile della Casa circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro diventa un Calvario di passione, di morte e di resurrezione. L’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza Episcopale Calabra, sceglie di celebrare la Via della croce proprio lì, dentro il carcere. Così da portare la croce di Cristo, vittima innocente di uno dei più ingiusti processi della storia dell’umanità, tra le tanti croci dei detenuti, dei condannati, di quanti vivono forme di privazione delle libertà fondamentali. E loro sono tutti là, affacciati dalle finestre delle celle per vivere un intenso Venerdì di Passione come tanti cirenei, tutti disposti a caricarsi della croce, della loro croce, e a percorrere insieme il Calvario. L’arcivescovo Bertolone mette il suo cuore di Pastore accanto al cuore dei detenuti e afferma: “sono venuto qui per rivivere assieme a voi la via crucis di Cristo, per chiedere a Lui per voi, per l’umanità, la grazia di insegnarci ad affrontare le difficoltà della vita, la pandemia con dignità e senso di responsabilità e ad imparare a costruire rapporti umani veri, fraterni, rispettosi”.

Un applauso lungo e fragoroso, da parte degli ospiti della Casa, rompe il silenzio della preghiera, in segno di riconoscenza e di gratitudine. A leggere le diverse stazioni è Sergio, mentre la croce viene accompagnata da Giuseppe e Raffaele: queste voci, queste braccia e queste gambe rappresentano le voci, le braccia e le gambe di tutti i detenuti di Catanzaro, che attraverso striscioni e manifesti lanciano un messaggio di speranza: “#andràtuttobene”. Sono presenti alla celebrazione anche la direttrice della Casa circondariale Angela Paravati, il cappellano don Giorgio Pilò, il segretario arcivescovile don Francesco Candia, il Comandante delle guardie penitenziarie Simona Poli e la volontaria Suor Nicoletta Vessoni.

“In questi giorni in cui un po’ tutti siamo tenuti a stare al chiuso – afferma l’arcivescovo Bertolone – perché ciascuno può essere una minaccia all’incolumità degli altri, siamo po’ tutti agli arresti domiciliari. Voi siete costretti – senza deroghe – a stare in un edificio che si chiama casa (circondariale), noi che viviamo fuori da queste mura facciamo i conti, in maniera e misura ovviamente diversa dalla vostra, con una condizione di limitazione della libertà, insomma da reclusi sanitari sperimentiamo la solitudine e l’isolamento. Ma per voi il dramma del dramma che questa pandemia porta con sé è il fatto che vi separa dai vostri cari proprio quando si avrebbe più bisogno della loro vicinanza affettuosa”. L’antidoto è rappresentato dalle ali dell’amore, dice l’arcivescovo: “Non consentiamo al coronavirus di farci zittire e di gettarci nella disperazione; non consentiamogli di seminare tra noi solo il male corporeo di cui è capace. L’anima, l’anima di ognuno di noi, nessun agente patogeno materiale può attaccarla, se restano in noi le ali dell’amore. adoperiamoci perché i muri della sofferenza alzati dal male possano essere superati da ponti eretti dall’amore per il prossimo, un mondo che ci pare a volte avverso se non nemico ma è l’unico che abbiamo e che dobbiamo cercare di cambiarlo in meglio”. Il tema è, insomma, quello della speranza. La stessa speranza che “irrompe nella storia dell’uomo con Gesù Cristo”, come ricorda l’arcivescovo Bertolone nel presiedere una solenne azione liturgica nel pomeriggio dello stesso giorno. “Su i tumuli il piede, /ne’ cieli lo sguardo”, i versi del poeta e sacerdote Giacomo Zanella risuonano in una Basilica dell’Immacolata vuota, senza fedeli a causa del Coronavirus, ma entrano, grazie ad internet, nelle case di migliaia di fedeli. In un Venerdì Santo all’insegna della speranza cristiana.