Card. Bagnasco: Gesù ha lavato i piedi al mondo

Card. Bagnasco: Gesù ha lavato i piedi al mondo

Cari Fratelli e Sorelle, celebriamo la Messa in Cena Domini a porte chiuse ma a cuore aperto: voi, cari fedeli, sapete che siete qui accanto a noi, e che – attraverso Cristo – vi porto davanti a Dio.

Oggi, agli occhi della fede appare Gesù a tavola con i Dodici: come tutto il popolo, celebra il passaggio del Signore nella notte della liberazione. Il cerimoniale è preciso, e ogni elemento ha un valore simbolico che riguarda gli antichi ebrei, ma che giunge anche a noi: le erbe amare ricordano a loro la sofferenza della schiavitù, e a noi che l’esistenza ha sempre le sue amarezze; il pane azzimo richiama la fretta della fuga, e a noi la fugacità del tempo che non dobbiamo sprecare. Infine, l’agnello pasquale ricordava all’antico popolo che era stato salvato mediante il sangue sulle porte delle loro case. In realtà, prefigura il nuovo agnello immolato – Gesù – che cancella i peccati del mondo con il suo sangue. L’ultima cena non è dunque una cena tra amici affidata alla creatività dei presenti, bensì una liturgia puntuale. Dio, però, irrompe in questo rito e lo eleva da simbolo a realtà: prende il pane e il vino e ne fa il sacramento della sua reale presenza e del suo sacrificio. Egli anticipa così ciò che accadrà sulla croce in modo visibile e cruento: si fa dono, e fa ritornare l’uomo alla intimità divina liberandolo dall’alienazione del peccato.

Cari Amici, anche l’uomo moderno sente il segreto bisogno di incontrare il Mistero più grande di lui, di piegare il inginocchiarsi davanti a qualcuno che – proprio perché incommensurabile – non lo umilia né schiaccia. Desidera ascoltare, da una voce maestosa e paterna, vicinissima e sovrana, la parola del perdono. Per tutti arriva il momento nel quale sentiamo disperante bisogno che qualcuno ci dica “bravo”! Non è una vanità da soddisfare, né una dipendenza infantile; é la nece capo riconoscendo la sua pochezza, di essere confermato dall’esterno poiché avvertiamo che la nostra coscienza non basta più. Per essere noi stessi una voce altra ci può soccorrere. Ci sono momenti nei quali vorremmo qualcuno, se riuscissimo a vincere l’orgoglio: “dimmi, ti prego, che sono bravo”.

Le vicende dell’esistenza, i meandri interiori, convulsioni emotive e bilanci inevitabili, ci portano a questo punto. Allora, invochiamo la parola alta che ci abbraccia come quando eravamo bambini: bastava la parola della mamma per rassicurarci se avevamo sbagliato, per fugare il dubbio, per sciogliere la paura, per sanare un dolore.

Ma Gesù, nel cenacolo, ha fatto molto più di questo: ha istituito l’Eucaristia e il Sacerdozio, e ha lavato i piedi al mondo. Il sacerdote si china, lui solo, sul pane e sul vino, e pronuncia, nella persona di Cristo, le parole del mistero che trasforma la materia in spirito. In questo modo, il Signore ha detto ben di più che “bravo” al nostro operare; ciascuno: “E’ bello che Solo Dio può dire in pienezza queste parole: esse scendono sulle nostre ferite come l’olio che risana e il vino che ristora. In questi giorni, lasciamo che Gesù ci parli, accogliamo in ginocchio la sua voce, chiniamo il capo riconoscendo debolezza, fragilità, peccato, ma anche gridando a Lui il desiderio di bene e di luce. Allora, chiusi nelle nostre dimore, soli o insieme ai nostri cari, avremo fatto della forzata distanza la porta d’ingresso nella stanza più intima di Gesù, nel mistero più profondo del suo amore per noi. ha confermato il nostro essere al mondo, il nostro esistere. Ha detto a tu esista, e bene che tu ci sia”, “tu sei prezioso ai miei occhi”.

Cari Fratelli e Sorelle, oggi è la festa di noi Sacerdoti poiché Gesù ha istituito il Sacerdozio: esso è per l’Eucaristia e quindi per voi. Vi chiedo di pregare per loro, di guardarli con occhi spirituali non mondani: essi vi sono vicini, e il loro primo compito è intercedere per voi presso il trono di Dio. Li ringraziamo con stima e affetto, vogliamo che sentano la vostra, la nostra sincera vicinanza. Grazie.