Iniziamo una Settimana Santa speciale, ferita da un morbo che dilaga per il mondo, quasi una voce sinistra che semina smarrimento, piega la presunzione, riconduce alla realtà dell’ umana condizione e del significato della vita. L’illusione di essere invincibili è brutalmente infranta, ritorna il senso della misura e del limite. E’ come riaprire gli occhi alla verità. È forse il pessimismo che ci deve avvolgere? È questa una Pasqua senza risurrezione? Come se Gesù rimanesse nella tomba? E noi, discepoli, dobbiamo vivere per sempre nella tristezza del Getsemani? Se ripensiamo ai Vangeli delle domeniche di Quaresima, ci accorgiamo che sono uniti da un unico filo: le tentazioni di Gesù nel deserto, la samaritana al pozzo, il cieco nato, la risurrezione di Lazzaro, tutti ci hanno parlato della fede. Essa non è credere in Dio come si crede all’esistenza di un oggetto, ma è affidarsi a chi si crede, è vivere di Lui qualunque cosa accada. Gesù, in ogni situazione, non solo condivide ma porta a Dio, ci dona la vita soprannaturale, è un nuovo inizio.
Il Vangelo dell’ingresso glorioso in Gerusalemme, con cori di osanna, con palme e ulivi festanti, disegna un episodio decisivo della vita del Salvatore, e illumina la vicenda umana: Gesù entra trionfante in Gerusalemme acclamato dalla folla e poco dopo tutto cambia: la medesima gente ne vuole la morte. Ne cogliamo un duplice insegnamento. Ci ricorda, innanzitutto, la volubilità del cuore umano, pervaso da simpatie ed emozioni che non aiutano a cercare la verità, ma spingono a seguire il sentimento. Capita nella vita di suscitare stima e di ricevere riconoscimento. Questo non solo ci fa piacere, ma anche ci fa bene, ci incoraggia a far meglio. Ma non dobbiamo farne il centro, la molla del nostro agire: gli umori sono volatili e possono volgersi al contrario. Ci sono rapporti belli e durevoli tutta la vita, come gli affetti profondi, ma conosciamo anche situazioni friabili, congiunture limpide solo in apparenza che mascherano sentimenti opachi. La condizione umana, ferita dal peccato, è anche questa; non ci deve scoraggiare nella via del bene.
Inoltre, il Vangelo racconta della folla che osannava Cristo non per fede, ma perché ha visto o sentito parlare dei prodigi che ha fatto. Il cuore non puntava alla verità di Gesù, ma alla convenienza: quell’uomo prodigioso avrebbe risolto i loro problemi. La fede non è questa. Nel momento in cui si rende conto che non sarà così, che quel giovane nazareno non starà al loro gioco, che non cerca il consenso, allora lo abbandona, e Gesù, da osannato, diventa un condannato. Attorno a Gesù aleggiava la logica della fede e la logica del mondo. Ognuno può scoprire in sé la fede e la mondanità, la luce e il buio, l’invocazione e la pretesa, il pensare secondo Dio e il pensare secondo gli uomini. Riconoscere questo miscuglio non significa mettere il cuore in pace e consolarci dicendo che siamo tutti così. È solo un punto di partenza che ci fa umili e miti, ma non arresi. La fede è la risposta a un Tu che ci chiama per nome, ci invita a fidarci di Lui e ad affidarci alla sua fedeltà. Non è un nostro interesse privato, ma la ragione della nostra vita. La fede non giustifica ogni singola gioia o dolore che ci capita, ma è una luce che illumina tutto il percorso della strada; non ci spiega ogni singolo passo, ma dà il senso del nostro andare dalla terra al cielo. La fede è luce nel buio, perché ci fa scorgere una Presenza che non viene meno.
Cari Fratelli e Sorelle, la Settimana Santa di quest’anno è particolare per voi e per noi sacerdoti che celebriamo l’Eucaristia da soli; ma voi siete con noi ogni giorno. Intensifichiamo la preghiera personale e in famiglia. Dalle vostre case, insieme alla liturgia della Chiesa, unite al Sacrificio di Gesù i vostri sacrifici, le limitazioni che tutti abbiamo, i timori: e non venga meno la carità. Preghiamo per la Città, la Diocesi, i malati; preghiamo per quanti si curano degli altri in prima linea; preghiamo per i defunti. Oggi ho voluto le ceneri di san Giovanni Battista, nostro Patrono, sull’altare della Messa, per invocare la sua intercessione presso il cuore di Cristo.
Al termine della Liturgia, offrirò a Maria, Regina di Genova, il mazzo di ulivo che ho benedetto insieme ai rami che forse vi siete procurati. Affidiamoci alla sua materna protezione come hanno fatto nei secoli i nostri padri, e insegnate ai vostri figli a pregare la Grande Madre di Dio e nostra con fiducia.