Card. Sepe ai sacerdoti: farci pane, sempre, fino alla fine, incondizionatamente

Card. Sepe ai sacerdoti: farci pane, sempre, fino alla fine, incondizionatamente

Carissimi sacerdoti, in questo difficile momento sento vivo il bisogno di stringermi a tutti voi e di farvi giungere il mio paterno, incoraggiante abbraccio. La memoria liturgica dell’Ultima Cena è stata sempre un’occasione per guardarci negli occhi, per rivivere il nostro sacerdozio, per ricaricarci di entusiasmo in funzione del nostro cammino pastorale. Un appuntamento atteso ogni anno, vissuto con profonda sincerità di cuore.

Tuttavia, la situazione di grave emergenza sanitaria in atto nel nostro Paese non ci consente quest’anno di partecipare fisicamente alle celebrazioni della Settimana Santa, così come avremmo voluto, secondo un’antichissima tradizione della nostra Chiesa che guarda a questi giorni come a quelli centrali di tutto l’anno liturgico.

Tale grave contesto tuttavia non ci impedisce di vivere i giorni che ricordano la passione, morte e risurrezione di Gesù con grande intensità spirituale, anzi con una speciale consapevolezza. Siamo chiamati a vivere questa particolare contingenza come uomini tra gli uomini, coinvolti e partecipi del comune destino di sofferenza della nostra gente, ma ancor più come pastori responsabili delle comunità a noi affidate.

Ci sentiamo sommersi da un’ondata di sofferenza, che in maniera inattesa è arrivata a sconvolgere le nostre famiglie, le nostre comunità, il nostro modo abituale di vivere. Davanti ai nostri occhi vediamo sfilare innumerevoli immagini di ospedali stracolmi di ammalati, strutture sanitarie sull’orlo del collasso, file interminabili di bare condotte anonimamente alla sepoltura.

Eppure, in questo fosco quadro d’insieme, non mancano uomini e donne che si sono interamente votati a soccorrere vite umane, ad alleviare pene e disagi, a sostenere la comunità umana nelle sue necessità. Medici, infermieri, ausiliari stanno dando il meglio di loro stessi: senza vantarsi, senza risparmiarsi. Un’onda di generosità e di altruismo veramente edificante.

-Sono esempi che danno il senso vero dell’umano, sono immagini che nella nostra mente di credenti si sovrappongono a quella di Gesù e ne attualizzano il messaggio. Nell’Ultima Cena, la sera prima di morire, Egli si fece pane per essere mangiato dai suoi, così come per tutta la vita si era fatto pane per gli altri, ponendosi a servizio degli ammalati, dei poveri, di tutti. Ed è tratta proprio da questo contesto una delle scene più belle ricordate dall’evangelista Giovanni, che ci descrive Gesù chino a lavare i piedi di Pietro e degli altri discepoli. Forse è questa la pagina più alta che funge da icona riassuntiva dell’intero Vangelo.

Carissimi sacerdoti, anche noi – celebrando questo insolito Giovedì Santo -siamo chiamati per vocazione a farci pane per le nostre comunità, a chinarci sulle loro ferite, a spenderci completamente per esse. Come Gesù: fino alla fine, fino al segno della Croce, fino all’ultimo respiro. Sappiamo per fede che questa strada della completa donazione è l’unica che porta alla vita nella sua pienezza. Lo fu per il nostro Maestro, lo sarà per noi. Sono certo che questo è stato da sempre anche il vostro stile di vita. Penso in questo momento al vostro impegno quotidiano, instancabile e disinteressato. Sono fiero e orgoglioso di voi!

– Ciò che ci rende sacerdoti è la misura della nostra donazione. Farci pane, sempre, fino alla fine, incondizionatamente. In questi giorni di grande ambascia e tribolazione il nostro posto non può che essere accanto a chi soffre, a chi è nel bisogno. Non lo potremo fare nelle modalità abituali dei riti liturgici, dei contatti umani. Ma certamente potremo far sentire a tutti la nostra vicinanza affettuosa e paterna, raggiungendoli ugualmente con una telefonata, una lettera, un gesto di attenzione, utilizzando anche le modalità della comunicazione digitale. Per portare tutti nel cuore. Per sentirci ancora una comunità viva, operosa e solidale.

Siamo convinti che questa è la strada per trasformare l’attuale emergenza, con il suo carico di sofferenza umana, in un momento di grazia e di crescita per tutti. Potremo così vivere il nostro sacerdozio in quest’ora particolare della storia che richiede da tutti una vicinanza, una prossimità diversa da quella solita, ma non meno significativa e oblativa.

-Fermiamoci in silenzio davanti al Crocifisso, in compagnia di Papa Francesco. Lo abbiamo visto attraversare le strade di Roma a piedi, con un’andatura malferma ma decisa. Gli stava a cuore portare davanti a Cristo in croce le ansie, le sofferenze di tutti i credenti, di tutti gli uomini angosciati e oppressi. Per incontrare il suo sguardo, per ritrovare luce e forza, per attendere la sua e nostra Pasqua.

Quando l’ala gelida della solitudine e dello smarrimento dovesse attraversare l’animo dei nostri cari, dei nostri fedeli, crocifissi alla loro sorte, noi saremo ancora là: a farcene carico, come l’umile cireneo del Vangelo, per condividere l’umano patire e annunciare un’alba vittoriosa.

In questa profonda sintonia di affetti e d’intenti, con lo sguardo supplice rivolto a Maria, “Salus infirmorum”, auguro a ciascuno di voi e alle vostre comunità una Santa Pasqua di vero cuore.

Dio Vi benedica e ‘A Maronna C’accumpagna