Mons. Angiuli: la domenica, il giorno del banchetto delle nozze dell’Agnello

Mons. Angiuli: la domenica, il giorno del banchetto delle nozze dell’Agnello

Cari fratelli e sorelle, ci prepariamo a vivere un nuovo tempo, la cosiddetta “fase due”. Non sappiamo come sarà, ma certamente qualcosa dovrà cambiare. In attesa di capire come dovremo vivere nel prossimo futuro, facciamo tesoro del tempo presente.

1. La “fase due” del cristiano: vivere secondo la domenica
Anche per noi cristiani la “fase due” significa ripartire da un punto fondamentale che deve essere posto come colonna portante per tutta la vita cristiana: la centralità della domenica nella vita e nella missione della Chiesa. Se comprenderemo il significato e il valore della domenica e custodiremo il giorno del Signore, allora la domenica custodirà la fede e la Chiesa. Il punto capitale consiste nel fare il passaggio dal ritenere la domenica solo come un dovere e un obbligo, diventati ormai incomprensibili, o un impegno facoltativo a cui ci si sottrae con troppa facilità al considerarla come il giorno che sostiene la nostra fragilità, soddisfa il desiderio d’amore, richiama un precetto da osservare, offre un supplemento di speranza da far fruttificare, dona una grazia immeritata di cui essere riconoscenti e per cui ringraziare continuamente il Signore. Dobbiamo ripartire dalla fermissima convinzione dei martiri di Abitene e dire anche noi: «Sine dominico non possumus». La liturgia, la spiritualità, l’azione pastorale e le diverse forme di caritativa, le proposte vocazionali e le attività missionaria dovranno necessariamente ricentrare ogni cosa su questo fulcro e ricollocare ogni altra attività ecclesiale attorno a questo perno strutturale facendone la “carta d’identità” del cristiano e il “cuore” della comunità. Per questo, nelle omelie di queste domeniche di Pasqua, mi sono proposto di sviluppare una riflessione sul giorno del Signore per consentire a tutti una maggiore consapevolezza del suo immenso valore. Gli aspetti che caratterizzano il dies Domini sono molteplici. Nella precedente omelia mi sono soffermato sul valore cristologico, antropologico e cosmologico della domenica. In questa, intendo sottolineare che la domenica è un “giorno sponsale” nel quale si rinnova l’amore tra Cristo e la Chiesa dentro una cornice storico-escatologica. Tanto più forte sarà la memoria degli éschata (morte, giudizio, inferno e paradiso), tanto più intensamente si rafforzerà l’unione sponsale con Cristo. L’amore appassionato e geloso di Dio comprende anche la nota dell’ammonimento e del giudizio. La domenica è dunque il giorno della rinnovazione dell’amore sponsale in prospettiva escatologica. La tensione verso il futuro vuol dire attesa del “giorno del Signore” che è anche “giorno del giudizio”. Mettere troppo in sordina la dottrina dei novissimi significa appiattirsi quasi esclusivamente sul presente trascurando la regola aurea proposta dal Siracide: «Memorare novissima et non peccabis». «In tutta la tua vita, ricordati dei novissimi e non cadrai mai nel peccato» (Sir 7,40). Se accogliamo l’idea che ogni domenica è il giorno della festa nuziale, dobbiamo anche accettare di sottoporci al “giudizio dello Sposo”. In tal modo, l’amore si intensificherà e si affinerà sempre di più e ci aiuterà a considerare la vita e la morte come un destino di eterna felicità e gioia. Il coronavirus, tra le altre cose, ci ha insegnato che non si scherza con il male e che se si vuole venire fuori dalla pandemia bisogna agire con discernimento, con regole precise e chiare e con comportamenti che richiedono sacrifici necessari. Guai a prendere sotto gamba questo flagello. Le conseguenze sarebbero deleterie per tutti. La superficialità, la banalità, la mancanza di chiarezza e di impegni precisi, l’assenza di indispensabili rinunce producono conseguenze mortali sul piano del corpo e dello spirito.

Lo stesso atteggiamento dobbiamo avere per le “cose sante”. Non basta aprire le Chiese e tornare a celebrare la santa Messa con la presenza del popolo. Lo slogan “niente sarà come prima”, sarà vero sul piano ecclesiale solo se la domenica diventerà la principale risorsa della vita cristiana. Bisogna avere più serietà, e camminare senza ambiguità e lassismo, senza confusione e incertezza, senza dare priorità a ciò che è secondario, ma puntando tutto sull’essenziale. Dobbiamo svegliarci dal torpore e dall’indolenza. Dobbiamo procedere con misericordia verso i “deboli”, ma anche senza troppa indulgenza e mezze misure nei riguardi dei “forti”. Al contrario, «noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo» (Rm 15,1-2). Se diventeremo cristiani “insipidi”, non saremo più buoni a nulla se non a essere gettati via e venire calpestati dagli uomini (cfr. Mt 5,13). Il mondo è cambiato e il cambiamento è radicale. Lo diciamo da tanto tempo, forse senza molta convinzione e senza profonde trasformazioni. Anzi, continuando a camminare come se niente fosse accaduto. Se veramente siamo convinti che viviamo in un “cambiamento d’epoca”, allora dobbiamo comportaci di conseguenza. Non ci sono alternative: o rifondiamo ogni cosa sulla domenica o scivoleremo sempre più velocemente verso il baratro dell’inconsistenza e della insignificanza.

Leggi l’omelia integrale della Terza Domenica di Pasqua