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Mons. Fanelli: “l’unzione che avete ricevuto rimane in voi”

Dopo il lungo periodo della “prima fase” dell’emergenza sanitaria per la pandemia, che ci ha visti celebrare – con grande sofferenza da parte di tutti – senza il popolo e a porte chiuse, siamo tornati a celebrare insieme la Santa Eucaristia e questa Messa Crismale.

In questo drammatico periodo di impossibilità a nutrirci comunitariamente della Parola di Dio e dell’Eucaristia, siamo però entrati in tante case attraverso i diversi mezzi di comunicazione sociale assicurando a tutti una presenza di Chiesa e una parola di conforto, riflesso della unica nostra speranza, che è Cristo Gesù, il Signore Risorto. Grazie ad ognuno di voi, fratelli presbiteri, per aver assicurato tale presenza!
Oggi siamo qui per lodare il Signore che ci ha resi partecipi della sua consacrazione costituendoci testimoni nel mondo della sua opera di salvezza. Come ogni anno, in questa solenne circostanza, nella nostra preghiera e nel nostro affetto sacerdotale vogliamo sentire vicini tutti i confratelli assenti, perché ammalati, e in particolare ricordiamo don Vito Comodo, che ha subito ieri un intervento chirurgico; i confratelli anziani; i confratelli lontani per ragioni di ministero.
Sentiamo particolarmente vicina la Vergine Maria, come la sentirono gli Apostoli nel Cenacolo in attesa dello Spirito. Maria, segno di consolazione e di sicura speranza, in questo tempo di Covid-19 ci è stata vicinissima, ci ha fatto sperimentare la sua potente intercessione nei giorni drammatici della pandemia, tenendo lontano tante situazioni difficili e pericolose: santa Maria ci ha protetti!
A Maria, nostra Madre amatissima, diciamo il nostro “grazie” e la nostra filiale devozione; con Maria viviamo questa Messa Crismale e al termine di essa, con le parole che ho pronunciato il 3 aprile scorso dalla Cappella dell’Episcopio, rinnoveremo insieme l’atto di consacrazione della Diocesi al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria.

2. La celebrazione della Messa del Crisma, nonostante i limiti imposti dalla pandemia, resta sempre uno dei momenti più forti ed intensi nella vita di una Chiesa Diocesana, sia perché essa è vera epifania del Corpo mistico di Cristo presente nella storia in comunione con il Vescovo, e sia perché essa è anche santa convocazione per accogliere il grande dono del Sacro Crisma e degli altri Oli benedetti, con i quali il Signore stesso accompagna il cammino del suo popolo lungo i sentieri di una testimonianza sacerdotale, regale e profetica. Nella Messa Crismale, anche quest’anno, la Chiesa gioisce e prega per i propri sacerdoti, accogliendo da essi la bella testimonianza del rinnovo delle promesse fatte nel giorno dell’Ordinazione sacerdotale in cui ci è stato consegnato, tra gli altri doni, il grande dono dell’Eucaristia.

3. Le restrizioni dovute alla pandemia, che abbiamo accolto con grande sacrificio, ma con spirito di vera responsabilità civica e morale, ci hanno per un lungo periodo di tempo privati totalmente della gioia dello stare insieme tra noi e insieme con i fedeli attorno all’altare per celebrare i divini misteri. Anche questa nostra celebrazione risente ancora, purtroppo, di queste limitazioni e restrizioni: manca di fatto il Popolo santo di Dio nella sua interezza e nella sua varietà di carismi e ministeri.
Non mancano, però, segni di speranza che già li cogliamo nelle forme di questa graduale ripresa. Possiamo anche noi dire con le parole dell’evangelista san Marco «Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi [Gesù] disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede”» (Mc 4,39-41). Con queste parole Papa Francesco è entrato la sera del 27 marzo nel racconto della “tempesta sedata”, in quel momento straordinario di preghiera solitaria in Piazza san Pietro dinanzi al miracoloso Crocifisso ligneo della Chiesa di san Marcello al Corso e all’icona della Vergine Maria, salute del popolo romano.

4. Oggi, qui nella nostra Cattedrale – pur con tutte le limitazioni del momento – quasi alla vigilia di Pentecoste, noi ministri ordinati, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i collaboratori del servizio liturgico, siamo riuniti per proclamare la fedeltà del Signore e per rinnovare il nostro impegno a camminare con Lui nella luce e nella forza dello Spirito Santo.
Tutti avremmo desiderato e sperato che questa celebrazione potesse segnare la ripresa completa della vita sociale ed ecclesiale; tutti avremmo desiderato vedere come ogni anno la Cattedrale gremita di fedeli; esigenze superiori, però, ci portano a celebrare oggi la Messa Crismale entro la Solennità di Pentecoste.
Questo contesto celebrativo, illuminato dalla luce della imminente Pentecoste, è un forte invito a riconoscere il primato dello Spirito Santo (cfr. Papa Francesco, Omelia per la Messa Vespertina nella Vigilia di Pentecoste, 8 giugno 2019) nella nostra vita di battezzati e di ministri ordinati inviati dal Signore a testimoniare al mondo la forza dell’amore, della vita e della fede.

5. Questo primato dello Spirito, che come Chiesa siamo chiamati a confessare e a vivere con docilità, coraggio e coerenza, è la grande realtà di grazia già presente nella persona e nella missione di Gesù, che per san Luca è “l’unto nello Spirito Santo” (cfr. Lc 4,18 e At 10, 37-38), Colui che è venuto a proclamare nella potenza dello Spirito “un anno di grazia” (cfr. Lc 4, 19) e che promette di rivestire i suoi discepoli della “forza” dello Spirito (cfr. At 1, 8).
Gesù, infatti, prima della sua glorificazione e della sua ascensione, promette ai suoi discepoli lo Spirito, affinché la loro missione sia efficace ed abbia il duplice carisma di una predicazione kerigmatica e testimoniale. Nel grande discorso di addio ai suoi discepoli, riportato dall’evangelista Giovanni al capitolo 17 del suo Vangelo, Gesù non solo promette lo Spirito, l’altro Paraclito (Gv. 13, 31-16, 33 e 17, 1.26), ma ne mostra anche la sua natura personale, la relazione intima e sostanziale con il Padre e con Lui, e il legame vitale che è chiamato ad avere con la comunità cristiana: senza lo Spirito nulla è nell’uomo, nulla senza colpa!
Tutta la missione di Gesù inizia nel segno dello Spirito, nel giorno del suo Battesimo al Giordano, e dallo Spirito riceve la luce con cui attuare l’ opera messianica attraverso le parole di Isaia proclamate nella sinagoga di Nazareth: “lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (cfr. Lc 4, 18); la vita terrena di Gesù riceve il suggello finale nel gesto che Lui fa di consegnare lo Spirito (“emise lo Spirito”), come primizia della Redenzione (cfr. Gv 19,30).
Ma lo Spirito è anche la sorgente della lode di Gesù: lode grata e riconoscente con cui Egli, figlio unigenito di Dio, ha vissuto quotidianamente la sua intimità filiale con il Padre in una preghiera intima e prolungata (cfr. Lc 10, 21-24).

6. Gesù promette (cfr. Gv 14,16.17.26) e dona lo Spirito (cfr. Gv 20,23) ai suoi discepoli affinché nell’opera di evangelizzazione possano sentirsi realmente partecipi della sua stessa missione. I battezzati, infatti, unti dai Santi Oli, sostenuti e irrobustiti dai doni dello Spirito, consacrati nella verità (cfr. Gv 17, 17), sono chiamati a rendere presente nell’oggi della storia il Regno di Dio. Gesù, infatti, vuole continuare oggi a dire al mondo, attraverso di noi:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4, 16-21 e cfr. Is 61, 1-2) 

7. Questo annuncio, che è “la gioia del Vangelo” (EG 1), deve risuonare attraverso la vita dei discepoli del Risorto e ciò sarà possibile, nell’esperienza della Pentecoste. Infatti, san Pietro, alla folla radunata nella piazza di Gerusalemme, darà il grande annuncio della discesa e della presenza dello Spirito Santo:

«Gesù, Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso come voi potete vedere e sentire» (At 2, 32-33).
Vedere e sentire lo Spirito è possibile, secondo l’autore del libro degli Atti degli Apostoli; far vedere e sentire lo Spirito è, dunque, il grande compito affidato alla nostra testimonianza; con la nostra vita battesimale e con la gioia della nostra vita di comunione ecclesiale, noi siamo chiamati a far vedere e a far sentire ciò che lo Spirito Santo compie attraverso i discepoli del Risorto alcune azioni che consentono l’allargamento dei confini del Regno; le azioni sono fondamentalmente queste: guidare, trasformare, unire e fruttificare.

8. Noi presbiteri, carissimi fratelli, che sperimentiamo ogni giorno, al di là di ogni nostro merito, l’amicizia di Cristo come dono gratuito (cfr. Benedetto XVI, Omelia in occasione dell’imposizione del pallio ai nuovi Metropoliti, 29 giugno 2011), in quanto partecipi in un modo speciale della sua unzione di Pastore e Guida, siamo a chiamati – vivendo in questa amicizia – ad essere la sua ripresentazione sacramentale, pastorale ed esistenziale.
La nostra vita presbiterale, in quanto irradiazione dell’amicizia di Cristo – pur tra prove e difficoltà, personali e comunitarie – attraverso la nostra carità pastorale (cfr. Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, n. 23), deve ogni giorno diffondere il profumo di questa santa unzione (cfr. 2 Cor 2, 15-16) e diventare – per noi stessi e per il popolo che ci è affidato –   sorgente di gioia, di entusiasmo e di amore gratuito.
Questo, miei cari,  – lo dico innanzitutto a me – ci libererà dal bisogno di mendicare affetti vuoti e sterili, o di difenderci dagli altri, chiudendoci in un’anaffettività algida e sprezzante (cfr. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per il Clero, 1° giugno 2017), e ci consentirà, invece, di trovare soprattutto nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia la nostra intimità con il Signore, la nostra identità profonda e il nostro ruolo di intercessori in Cristo, sommo ed eterno Sacerdote (cfr. Eb 7, 25 – 8, 6). La pandemia, mentre ci ha tolto quasi tutto rispetto all’agire ordinario pastorale, nel contempo ha evidenziato una dimensione fondamentale della nostra vocazione sacerdotale: l’essere intercessori (cfr. Libanori Mons. Daniele, La fede al tempo di Covid-19 riflessioni ecclesiali e pastorali, in Civiltà Cattolica, Quaderno 4076 pag. 163 – 176, Anno 2020, Volume II, 18 Aprile 2020).
La nostra gente deve poter percepire in ciascuno di noi che la nostra vita sacerdotale nasce e si sostanzia in un “sì” gioioso e fedele, che ci rende forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, gioiosi nella speranza, premurosi nella carità (cfr. Rm 12, 12).
Questo “sì” sacerdotale, che tra poco rinnoveremo, è il segno di una decisione di vita irrevocabile per Cristo nell’obbedienza alla Chiesa; questo “sì” ci porterà di volta in volta, in base alle circostanze del momento presente, a incarnare ora lo stile del “pastore”, ora quello del “pescatore”, ora quello dell’ “agricoltore”.

9. Sono tre immagini, presenti nei Vangeli, che Gesù usa per evocare lo stile di azione che egli richiede agli Apostoli; ma tutte e tre queste immagini esprimono insieme anche il nostro essere radicati nell’amore di Cristo e nell’amore per Cristo, che è la carità pastorale. Il Popolo di Dio a noi ministri ordinati chiede tante cose, ma soprattutto ci chiede amore e presenza:

  • in certi momenti il popolo chiede a noi sacerdoti di essere amato con la premura e la presenza del buon pastore, che dà al gregge la sicurezza della sua guida e della sua protezione;
  • in altri momenti ci chiede di essere amato con l’energia del pescatore di uomini che sa liberare alla vita nuova in Cristo;
  • in altri ancora richiede l’amore paziente dell’agricoltore, che con cura prepara il terreno, semina e attende il raccolto, senza spaventarsi della presenza concomitante della zizzania (cfr. Mt 13, 24-30).

10. Gli Oli dei catecumeni, degli infermi e il Sacro Crisma, e l’unzione ad essi collegata, ci ricordano che il nostro ministero sacerdotale nasce da un’unzione e non è mai riducibile ad una funzione. La prima, l’unzione, è vocazione e mistero; la seconda, la funzione, invece ha origine sempre in una autocandidatura personale e può essere svolta con lo stile della mondanità, ovvero con metodi o burocratici o rivoluzionari, che sono chiaramente antievangelici.
L’unzione nello Spirito, invece, dice elezione, evoca predilezione, provoca trasformazione (cfr. 1 Sam 16, 1-13). L’unzione nello Spirito fonda soprattutto la nostra relazione con Cristo che è la sorgente vera del nostro agire sacerdotale, regale e profetico.
L’unzione evoca, dunque, appartenenza permanete a Cristo e rende vivo il memoriale di un incontro vocazionale (1 Gv 21, 27), che ha cambiato la nostra vita, che ci ha portato a “lasciare le reti” (cfr. Mc 1, 16-20) per seguirlo e che non può essere racchiuso in un tempo e in uno spazio che sono lontani da noi.
L’unzione evidenzia, invece, una realtà che è tutta presente nel “qui ed ora” e che costituisce rispetto al nostro essere e al nostro ministero la nostra unica forza e la vera sorgente di gioia, di fedeltà e di entusiasmo apostolico.

11. Quest’anno, la vicinanza della Solennità della Pentecoste, con i timori legati alla pandemia, potrebbe portarci a chiedere al Signore tante cose, per noi stessi, per le nostre comunità, per la nostra gente, per la nostra Chiesa diocesana, tante cose. Tutte sicuramente necessarie e urgenti.
Ma, come diceva san Paolo VI, di cui domani ricordiamo la memoria liturgica, una è, invece, la cosa di cui abbiamo veramente bisogno come Chiesa, che è il dono dei doni e che senza di esso siamo veramente poveri e insignificanti, siamo come sale che perde il sapore e luce posta sotto il moggio (cfr. Mt 65, 13-15): questo dono dei doni è lo Spirito Santo (cfr. Lc 11, 5-13)!
Abbiamo bisogno – diceva san Paolo VI – di “fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo” (cfr. Paolo VI, Udienza generale, 29 novembre 1972).
Spesso non ci rendiamo conto dei tanti doni con i quali il Signore arricchisce la nostra vita; tra questi doni: il dono della vita, della vocazione, della comunione ecclesiale, della Parola di Dio, dell’Eucaristia, dei Sacramenti della Fede, dei fratelli e delle sorelle. Ecco questo è il tempo favorevole, questo è il giorno fatto dal Signore, per ringraziare Lui che continuamente li elargisce al suo popolo e per ritrovarli tutti nella rinnovata effusione dello Spirito di cui siamo in attesa orante.

12. In prossimità della Pentecoste e in vista del Convegno diocesano (che avremmo dovuto celebrare tra qualche giorno, che evidentemente è rimandato a data da destinarsi) avrei voluto – come vi ho preannunciato all’inizio di questo anno pastorale –  tra le altre cose, inaugurare il nuovo Consiglio Pastorale diocesano e avviare la nuova riconfigurazione della Curia diocesana, ma con questa situazione inattesa, determinata dalla pandemia, tutto è rinviato.
Posso soltanto – per ora – come vi ho anticipato nella lettera di convocazione per la celebrazione della Messa Crismale, annunciarvi il nome del confratello a cui ho chiesto di ricoprire l’ufficio di Vicario Generale: Don Mauro Gallo. A lui l’augurio più caro!

Ringrazio don Mauro per la sua disponibilità; sicuramente lo incoraggerete con la vostra vicinanza e con la vostra stima; questa sua disponibilità, come tutte le disponibilità nella Chiesa, viene posta a servizio del Signore per il comune cammino di fede, per l’edificazione della comunione e per un rinnovato slancio nell’opera di evangelizzazione. Queste scelte e questi avvicendamenti non sono scatti di carriera, ma forme con cui vivere il nostro unico ministero per il bene della Chiesa; questo incarico, come tutti gli altri, è un servizio da vivere e da interpretare in una logica di amore alla Chiesa nella gratuità, che passa attraverso il discernimento e il ministero del Vescovo.

Ringrazio anche don Vincenzo Vigilante, al quale dopo il servizio di Amministratore Diocesano, ho chiesto di affiancarmi quale Delegato vescovile ad omnia nella fase iniziale del mio servizio episcopale a Melfi.

Ringrazio tutti voi per la disponibilità, la pazienza e la benevolenza che mostrate nei miei confronti e soprattutto nei confronti del mio ministero in mezzo a voi.

Con le parole di Papa Francesco invochiamo ora lo Spirito Santo, fuoco d’amore che arde nella Chiesa e dentro di noi, affinché ci aiuti sempre ad essere docili strumenti nelle sue mani per l’edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa:

“Spirito di Dio,
Signore che sei nel nostro cuore
e nel cuore della Chiesa,
tu che porti avanti la Chiesa,
plasmandola nella diversità, vieni.
Per vivere
abbiamo bisogno di Te come dell’acqua:
scendi ancora su di noi
e insegnaci l’unità,
rinnova i nostri cuori
e insegnaci ad amare
come Tu ci ami,
a perdonare
come Tu ci perdoni. Amen”.

Sia lodato Gesù Cristo.