Mons. Peri: la storia non è ancora finita (2)

Mons. Peri: la storia non è ancora finita (2)

Mi sono rimasti per strada, in testa e nel cuore, scampoli di pensieri, frammenti inutilizzati, spezzoni o pezzetti di una stessa storia, della stessa stoffa e non vorrei che io mi sia perso qualche passaggio, che in realtà non sarebbe dovuto proprio avanzare.

Quelle notti che non finiscono mai
Ma oltre al ricordo della notte precedente avevamo da affrontare quella presente, con il Maestro ormai morto e sepolto. Non ci davamo pace che non s’era potuto fare nulla: in verità, noi non abbiamo tentato e fatto veramente nulla, ma neppure lui aveva potuto fare qualcosa. La notte che ci stava davanti era d’angoscia per tutti. Non passò veloce, ma passò ripetendoci più e più volte lo stesso discorso, rinnovando ogni volta la stessa paura e lo stesso più grande terrore. Alla fine non arrivò nessuno ad arrestarci. Al tramonto del sole pensavamo che tutti s’erano fermati. Era già sabato e anche solenne. Così come si comportano tanti altri credenti, in alcuni giorni, gli Ebrei fanno o meno cose per Dio. Tutti facciamo e non facciamo qualcosa per Dio, e in questo modo magari pensiamo di onorarlo o di farlo meglio e di più. Pure noi, quando qualcuno fa qualcosa per noi, ci sentiamo pensati e ce ne ricordiamo. Noi discepoli, in verità, ci ricordavamo che il nostro Maestro ci aveva detto che il Padre suo non si era mai riposato, e che pure lui aveva continuato ad operare fino al presente. In quel momento, però, poiché ci dava sicurezza, era più comodo pensare che nessuno poteva muoversi.

Quando capiamo che il mondo non ci appartiene mai
Il sabato, da questo punto di vista, passò più tranquillo; tutti pensavamo a cosa fare dopo, appena sarebbe stato possibile muoversi nuovamente. La nostra unica preoccupazione era di metterci al sicuro, e allontanarci da Gerusalemme era la prima condizione e la prima cosa da fare. Nel segreto dei propri pensieri ognuno o a gruppi, andavamo elaborando il nostro piano. Non c’era tempo da perdere, sarebbero presto tornati all’attacco. Per il giorno seguente ognuno aveva già in mente le proprie mosse, e a quanto pare saremmo scappati in ordine sparso. Due di noi, secondo il piano, si sarebbero diretti ad Emmaus, un villaggio abbastanza distante da Gerusalemme da sentirsi al sicuro.

Quando il cuore e l’amore fanno la differenza
Le donne, la parte femminile dei discepoli, quelle che da sempre avevano seguito il Signore, coltivavano altri programmi. Per la loro sensibilità, in genere le donne piangono di più e più facilmente; inoltre, quando amano non dormono, o se dormono continuano ad amare pure di notte. Per questo, più di tutti e più di noi, non pensavano a loro; ieri avevano sfidato le guardie lungo il tragitto del calvario ed erano rimaste con la Madre sotto la croce di Gesù. L’avevano visto scendere dal legno, e con la dolente delicatezza del loro amore avevano aiutato ad avvolgere il suo corpo e a portarlo nella tomba nuova del vicino giardino, che Giuseppe d’Arimatea aveva messo a disposizione. Si erano, poi, dovute allontanare perché la festa e la notte impedivano loro e tutti di poter fare qualcosa. Il sabato è passato per loro, come per tutti, forzatamente ferme. Si intende ferme solo all’esterno, perché avevano preparato tutto l’occorrente per ritornare alla tomba. Esse né prima né dopo si erano allontanate dal loro Maestro: avevano lasciato il suo corpo nel sepolcro, mentre continuavano a custodirlo dentro, nel cuore e nella vita. Esse non pensavano a loro, pensavano a Cristo; non pensavano al rischio che correvano, ma al Signore che amavano e a che cosa potevano fare ancora per lui. Loro contano le ore per correre a quel sepolcro che non avrebbero voluto mai lasciare. In realtà hanno poco da fare, perché praticamente non possono fare nulla. La grossa pietra è stata rotolata a chiudere la tomba e, per paura del morto e delle sue parole di vita e di resurrezione, ci hanno messo pure i sigilli e pagato le guardie; non volevano che qualcuno si prendesse gioco dei capi con qualche inutile rivincita dei suoi discepoli, che avrebbero potuto rubare il suo corpo e poi dire che, invece, era risorto come aveva predetto. Quelle donne, però, non se ne fanno nulla di tutti questi calcoli, seppur logici ed immutabili. Appena possibile, sarebbero andate al sepolcro, per questo sono già pronte. Ora per muoversi c’è da aspettare solo la luce del nuovo giorno, loro sono pronte a battere anche quella, appena la linea della notte sarà spezzata dalla prima luce. Infatti, quando è ancora buio, le donne sono già al sepolcro con i loro unguenti e le loro domande, il loro dolore grande e l’amore ancora più grande.

C’è sempre chi anticipa tutto e tutti
La loro corsa e il loro cuore ha preceduto tutto e tutti, la notte e il giorno, la luce e la logica, il possibile e l’impossibile, gli uomini ma non Dio. Non trovano nulla di quello che immaginavano, ma trovano tutto quello a cui non hanno pensato. Si sono portate dietro il dolore e le lacrime per continuare a piangere; la forza ed il coraggio per continuare ad amare; gli unguenti e le stoffe per ungere un morto; il silenzio e la speranza per non rassegnarsi comunque. Tutto questo ora, però, serve e non serve. Perché la pietra non c’è, qualcuno l’ha ribaltata, i sigilli sono stati tolti, le guardie non ci sono; il problema è che non c’è il morto! Non avevano messo in conto che qualcuno avrebbe fatto più presto di loro, della loro fretta. Mettersi nuovamente a cercare e a cercarlo. Ma non è strano cercare un morto?! Non avendo mercato, chi potrebbe essere interessato a sottrarre un defunto? Interessa solo a chi ama, a chi l’ha amato e continua ad amarlo. Per questo loro sono venute e lo cercano. A tutto erano preparate ma non a questo.

In quel giardino è accaduto quello che mai poteva accadere
Ora le donne devono affrontare pure questa ambigua novità. Dopo un rapido consulto decidono di avvicinarsi con cura, oltre la paura e la sorpresa. Mentre sono impegnate a gestire questa situazione imprevista, avviene un gran terremoto, che le spaventa e le fa indietreggiare; poi, andando subito con la mente all’indietro, sono concordi nel pensare che quello doveva essere un tempo di terremoti: il venerdì ce n’era stato uno al Golgota, e pure quello in prossimità dei sepolcri e del tempio, e di così forte intensità che qualche corpo è fuoriuscito dalla tomba. Forse è accaduto lo stesso con la tomba del Maestro? Il tempio, questa volta, sarà rimasto ancora al proprio posto o è andato distrutto? Questo non lo possiamo vedere ora e da qui, ma lo verificheremo in seguito, Avviciniamoci ancora un po’. La tomba è vuota, ma non come quando un ladro sottrae il cadavere, lo prende e scappa. Sarebbe evidente se si trattasse di un furto. Li c’è passato qualcuno, ha lasciato un ordine estremo: ogni cosa è piegata e rimessa al suo posto, il telo, il sudario e pure le bende. Alcuni collocati al capezzale e gli altri al posto dei piedi. Ma mentre osservano questo si prendono un grande spavento, vedono, sentono luci che parlano. Chi ne vede una e chi due, ma in quel silenzio c’è tanta luce e parola. Che non sia o non siano angeli? Se gli angeli sono messaggeri di Dio per noi, quelli lo sono perché ci parlano di Lui. E quello che dicono è molto bello: “Cercate Gesù? Non è qui, è risorto. Non perdete tempo, andate ad annunziarlo ai suoi discepoli e dite loro di andare in fretta in Galilea perché egli li precede e li aspetta. Là lo vedrete”. Le donne che fecero questa esperienza e furono destinatarie di questo Vangelo non persero tempo; tutte contente, subito corsero a dirlo ai discepoli di Gesù, che erano rimasti chiusi in città. Maria, invece, non trovava conforto e neppure si voltava: piangeva dinanzi al sepolcro vuoto, poiché avevano portato via il suo Signore; addirittura arrivò pure a scambiare il suo Maestro per il giardiniere. Ci volle che Gesù la chiamasse per nome e con la sua intonazione, perché lo riconoscesse: appena si voltò e gli strinse i piedi, perché era in ginocchio davanti al sepolcro, il Signore le disse che non c’era tempo perché prima doveva salire al Padre. Di fronte a quel sepolcro, come sul Golgota, si creò confusione: questa volta, però, di pianto e di gioia. Qui d’un colpo le lacrime brillano di luce, il pianto diventa canto, la tomba si svuota e si fa Vangelo; le donne che piangono diventano messaggere di gioia; dove gli uomini sono scappati ci sono donne vestite di festa; dove c’erano testimoni senza parole ora ci sono racconti e cuori di festa; chi era in ginocchio si ritrova all’in piedi; la pietra salta senza che nessuno ne abbia la forza; i sigilli non possono frenare la risurrezione; le guardie erano lì a custodire la cenere ma non la primavera di Dio; il buio del vuoto diventa ferita di luce, l’ombra della morte schizza di vita; dove abbiamo deposto Gesù crocifisso e morto, ora c’è il Cristo vivo, vivente e datore di vita; la morte non c’è più dove è passato Dio, e per sempre la vita ha sconfitto la morte; se la morte può continuare a fare strage, la morte è comunque morta per sempre. Su ogni tomba la vita ha piantato la sua bandiera e nessuno glielo può più impedire. Se Cristo, che noi abbiamo ucciso, è ora più che mai vivo, c’è la speranza e la certezza che l’ultima parola appartiene a lui, alla vita, e alla sua e nostra risurrezione.

Bisogna ritornare a correre
Alla notizia della tomba vuota che le donne portano in città, non tutti reagiscono allo stesso modo: alcuni la prendono come una farneticazione che qualcuna di loro, spinta dal dolore o da altro, prova a mettere in pubblico; o la strategia più accorta di altri per divulgare una falsità sperando che, come sempre, qualcuno vi abbocchi. Quando la notizia giunge al gruppo degli undici, ognuno reagisce a modo proprio, in generale non con molto entusiasmo: c’è di mezzo la credibilità delle donne e un uomo morto, che tutti avevano visto massacrato di botte e affisso alla croce. L’annuncio, quindi, non fa scalpore; il dubbio e l’incredulità ebbero il sopravvento. Chi aveva deciso di scappare non cambia idea e continua a coltivare la propria strategia. Per potere rispondere ad una notizia che presto si sarebbe divulgata in città e non solo, qualcuno si sarebbe dovuto recare alla tomba. Pietro era il capo e di motivi per prestarsi ad andare ne aveva tanti: come gli altri era scappato, ma l’aveva pure vigliaccamente rinnegato. Si sentiva, quindi, costretto ed in obbligo di farlo. Chi si candida, pronto e convinto, è Giovanni, e tutti sanno perché: egli era privilegiato, l’amava ed era amato di più, per questo c’era sempre con Gesù. Quando tutti siamo scappati, ancor prima di conoscere la condanna e la croce, Giovanni non l’ha mai lasciato, ed è rimasto anche sotto la croce; ha registrato tutte le sue parole ed ogni respiro; ha avuto il tempo di sentirsi dire che gli consegnava Maria, ed era sua madre, e che doveva prendersene cura, perché per sempre egli sarebbe stato suo Figlio. Giovanni veramente non ha abbandonato Gesù: è rimasto, pure sotto la croce, fino all’ultimo momento, fino a prendersi l’ultimo respiro prima che Egli poggiasse il capo sulla croce e riposasse dentro la morte. Per questo Giovanni è subito pronto a partire, e pure Pietro. E, senza accordarsi, si trovano a correre insieme. Giovanni, molto veloce, è spinto dalla sua giovane età e dall’amore che l’alimenta da dentro. Pietro non ha questo supporto, ma il riparare quel senso di colpa che ancora non lo lascia, e fare anche una piccola cosa per il suo Maestro morto, non avendo fatto nulla mentre era in vita, gli dona l’energia e la liberazione che lo spingono a correre. Giovanni è più veloce e taglia il traguardo in anticipo, ma non se la sente di entrare da solo e per primo, dal momento che sono lì per lo stesso motivo. Nel frattempo arriva Pietro e, piegato il capo, insieme entrano, vedono e credono. Cosa hanno visto in quella tomba vuota? O a loro è bastata la tomba vuota per una fede che tutti e in tutto ci sostiene? La fede si alimenta anche con il vuoto, con ciò che è svuotato, quando questo diventa grembo di vita e di speranza, diventa spazio di Pasqua e di amore. Diventa risurrezione. A me, una sottile sensazione e qualche domanda mi sorge e mi interpella. A dire il vero questa volta non ho avuto voglia di correre al sepolcro, o almeno sono stato diviso tra lo Spirito già pronto e la debolezza della carne e del corpo. Perché quando attorno e dentro di te il manto della morte si fa più stretto e pressante, sentire il suo odore e vedere il suo volto ripugna di più. Mi sono preso il mio tempo ed ho seguito la mia lentezza. Ho chiesto di portarmi a chi ha corso e di aspettarmi a chi è arrivato per primo, e ora li ringrazio della loro cortesia e pazienza. Mi sono detto che non basta sapere che bisogna correre verso la Pasqua, ma bisogna farlo; non basta sapere che la tomba è vuota bisogna vederla; non basta arrivarci con il proprio ritmo o lentezza, bisogna entrarci e soprattutto bisogna crederci; bisogna ascoltare e bisogna annunciarla, bisogna testimoniarla, come bisogna raccontare quello che è accaduto agli altri, ma anche a sé stessi. Per questo qualcuno mi ha detto ed io ve lo ripeto: “il Signore è risorto. Il Signore è veramente risorto!”. E più di tutti lo sanno coloro che quella mattina sfidando il dolore e la notte sono corse al sepolcro e l’hanno trovato vuoto perché lui è vivo e non muore più.

Nel seme c’è tutto
Questa volta la quaresima non sono riuscito a viverla nella sua interezza, ma nei giorni che la compongono. Non sono riuscito a coglierla nella sua unità ma nei suoi momenti, e non per quello che è sempre stata ma per quello che mai è stata, e per tutte le cose nuove che ci ha portato. Per questo è iniziata quando, dove e come doveva iniziare, ma non è finita quando doveva finire. Continua ad esserci e stenta a finire. Per questo anche la Pasqua, questa Pasqua, non sono riuscito a prenderla come un tutto ma nei suoi mille frammenti, nelle sue infinite e indefinite sfumature. Non nel suo contenuto e nella sua veste di sempre, ma in quella nuova ed irriconoscibile di ora. Non in quel volto di circostanza che abbiamo e conserviamo con noi, ma in quella sorpresa e novità di oggi. Ho percepito che in quei pezzettini, in ognuno di essi, in quelle tessere di diversa dimensione e peso, c’era la Pasqua e c’eravamo pure noi. Non c’era la forma, ma il suo contenuto; non c’era la sua evidenza, ma il suo mistero; non c’erano il tessuto e gli orpelli di sempre, ma tanta presenza. Dov’è che essa c’è tutta ed intera? Dove la vedi o dove ti vede? Dove la cerchi o dove ti trova? Dove l’attendi o dove ti aspetta? Dove la prendi o dove ti afferra? Dove non c’è o dove si sente? Dove fa le cose che aspettiamo noi o dove realizza le sue promesse? Dove c’è terremoto che apre tombe o dove il silenzio spacca la forma ed apre il cuore? Dove l’amore fa rumore o dove si addormenta in mezzo al tormento? Dove mostra la sua forza o dove ci indica e scopre la nostra debolezza? Dove abbiamo da dire tante cose a tutti o dove ci basta solo ascoltare? Dove Dio ci sorprende o dove noi vogliamo sorprendere Lui? Dove vogliamo fare cose per Lui o dove Egli non sembra fare nulla per noi?