Mons. Semeraro al mondo della scuola: non smettiamo coltivare desideri di bene per il «dopo» che verrà

Mons. Semeraro al mondo della scuola: non smettiamo coltivare desideri di bene per il «dopo» che verrà

Sento vivo il bisogno di farmi particolarmente vicino a voi, che in questo tempo di emergenza siete impegnati a fare, con dignità e coraggio, la vostra parte nella comune battaglia per vincere un virus, che non solo attacca pesantemente il nostro fisico ma, ancora più subdolamente, spaventa gli animi ferendo perfino le coscienze e, spesso, mettendo in seria difficoltà i nostri equilibri.
So che il mondo della scuola sta investendo molte energie e potenzialità per non bloccare il percorso formativo annuale e accompagnare voi alunni nell’apprendimento, aiutandovi con la didattica a distanza sulle varie piattaforme in rete e tutte quelle altre modalità digitali che per voi ragazzi sono l’habitat quotidiano; a volte, però, non lo sono altrettanto per i vostri docenti e per le vostre famiglie, cui le lezioni da remoto richiedono sicuramente un impegno e uno sforzo moltiplicato.
Immagino che anche per voi questa sorta di reclusione, l’allontanamento dagli amici, dal gruppo, da tanti affetti sono alquanto pesanti. Eppure è questa l’occasione che oggi ci è chiesto di vivere. Tutti, e non voi soltanto, ci siamo ritrovati all’improvviso a dover cambiare modi, forme e stili di vita e, per tanti fra noi, senza alcuna preparazione; e nonostante ciò dobbiamo cercare di mettere a frutto le nostre risorse, l’inventiva e la creatività per superare il virus e andare avanti. Oserei pure dire che possiamo fare ancora di più e darci una chance: guardare al covid-19 come a un ostacolo da superare con un bel salto, a un trampolino di lancio, anzi, di ri-lancio del nostro essere persone, uomini e donne, padri, madri e figli, bambini, ragazzi e giovani, dirigenti e insegnanti, scuola, famiglia e chiesa.

Vivo con voi e come voi le difficoltà che sorgono da questa temporanea modalità di esistenza così strana e precaria, nella quale ci sono vietate tante cose, comprese le espressioni con cui eravamo abituati a comunicare. Anche senza utilizzare le parole, spesso ci bastava una stretta di mano, o un cinque – come dite voi – un gesto, una carezza, un abbraccio. Ora, invece, dobbiamo rispettare il distanziamento sociale, rimanere fisicamente a distanza di sicurezza, con la mascherina in faccia e i guanti a coprire le mani, per evitare il rischio del contagio. Se, però, questa è una costrizione, può anche aiutarci a riscoprire il valore di un sorriso, di uno sguardo occhi negli occhi, di un cenno di saluto da lontano.
L’assenza, intanto, alimenta il desiderio di poter ancora stringerci la mano, sfiorarci, sentire la forza di una pacca sulla spalla, la delicatezza di una carezza e il calore dell’abbraccio. A volte i digiuni fanno bene ed è quando ci provocano a essere più pensosi e consapevoli, a ricomprendere il valore dei sentimenti, a restituire senso alle espressioni, a umanizzare le
relazioni, a non dare nulla per scontato, tra di noi e con Dio.

La pandemia può allora diventare – e in effetti forse già lo è – anche un tempo da scrutare per intuirne le opportunità e i benefici che pure ci sono, se impariamo a trarne gli insegnamenti giusti e le buone pratiche per un vivere davvero civile, positivo, solidale, più sobrio e responsabile, rispettoso di noi, degli altri, del creato, dell’umano e del Divino. Impegniamoci dunque a fare tutti la nostra parte (magari anche a lamentarci di meno); a farlo ciascuno nel proprio piccolo, per quello che ci è chiesto, proprio come la vedova del Vangelo che non esita a gettare gli unici suoi due spiccioli nel tesoro del tempio per il bene della collettività, rinunciando al suo, del tutto legittimo. Ci è chiesto di rimanere a casa: cerchiamo di farlo utilizzando al meglio anche gli spazi che sicuramente sono limitati e chiedono a ciascuno di rinunciare a un po’ del proprio perché tutta la famiglia possa continuare a vivere serenamente nei perimetri comuni.
Riscopriamo i legami che ci uniscono nella famiglia; diamo forza alle nostre relazioni; restituiamo significato alle parole che diciamo e scriviamo; comunichiamoci il tanto non detto che magari attende di venir fuori; sforziamoci di rendere piacevole e creativo il tempo dello stare insieme. Condividiamo il cuore, non le banalità e le chiacchiere, anche sui social; aiutiamoci nel coltivare uno sguardo positivo, per fare crescere il bene e le cose buone tra di noi.
Soprattutto, non smettiamo di sognare e coltivare desideri di bene per il «dopo» che verrà, quando sarà finalmente passata l’emergenza. Manteniamo accesa la speranza e immaginiamo i tempi nuovi che fin d’ora dobbiamo sapere insieme costruire, senza presunzioni di autoreferenzialità o autosufficienze, consapevoli di non poter fare da soli e a meno di nessuno.
Sarà un nuovo inizio, delicato e complesso, ma non lasciamo che il male di prima, lo scoraggiamento, la durezza economica – che sicuramente dovremo saper affrontare – e le difficoltà della ripresa ci affossino. Mettiamo in atto la capacità di condividere, la coscienza di essere parte di un corpo in cui ogni membro è necessario, tutti inclusi, tutti partecipi e coinvolti nel comune destino di un’era nuova che Dio per primo sta già sognando. Lui, che non ha mai smesso di custodire per noi germogli di vita nuova, come ci ricorda il profeta Geremia: Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo –
dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza (29,11).
Quest’anno anche la Pasqua sarà particolare. La celebreremo a porte chiuse. Fisicamente saranno solo i vostri parroci a celebrare i riti della Settimana Santa e la Messa di Pasqua, come sarà solo Francesco, e sarò solo anch’io. Nessuno, però, potrà impedirci di rimanere uniti, di rafforzare la fede e la speranza, di mantenere il cuore aperto e sono certo che tutti i
vostri cuori – cari bambini e bambine, ragazzi e ragazze – saranno spalancati alla forza della Risurrezione che vuole irrompere nelle nostre vite per sanarle, fortificarle e rigenerarle.
Un fiotto di vita nuova è il mio augurio per ciascuno di voi, per le vostre famiglie, i vostri docenti, i dirigenti e quanti collaborano nell’ambito delle vostre scuole. Un augurio che desidero estendere a tutta la nostra Chiesa di Albano, avendo lo sguardo rivolto all’Italia intera e al mondo. Insieme siamo più forti e con la forza e la generosità di ciascuno ce la
faremo a recuperare una vita più autentica per un futuro più sano e più bello, vivibile per tutti.
Sono certo che nessuno di voi mancherà all’appello. Chiedo a Dio di inondarvi con la sua benedizione per avere la forza di andare avanti con coraggio e occhi capaci di scorgere i bagliori di un’alba nuova oltre il buio di questi giorni cupi.