Mons. Moraglia: impegniamoci per costruire una società degna

Mons. Moraglia: impegniamoci per costruire una società degna

Carissimi, consentitemi prima di tutto di esprimere la mia gioia per quest’Eucaristia che ci permette di ritornare, dopo mesi, a celebrare insieme.

Questa celebrazione, anche se contingentata nel numero di presenze, è fonte di gioia. I presidi che ci sono stati prescritti non sono prima di tutto degli obblighi ma dei doveri di responsabilità in quanto, come cristiani, vogliamo preoccuparci degli altri.

E ringrazio ancora una volta – considerando che potrebbe essere l’ultima occasione, almeno in questo periodo – l’emittente Antenna 3 che ha permesso a migliaia e migliaia di persone di tutto il Veneto di poter partecipare alle nostre celebrazioni svolte nel territorio del Patriarcato di Venezia.

Ringrazio il parroco don Paolo Ferrazzo per le parole che ci ha rivolto all’inizio della Messa ricordandoci che siamo nella chiesa intitolata ad un santo taumaturgo. E ricordo qui che la Chiesa veneziana sta istituendo un fondo di solidarietà dedicato proprio a san Nicolò: è una piccola cosa quella che sta facendo la Diocesi di Venezia con questo fondo di solidarietà ma è un segno che vuole accompagnare – certo, non potrà rispondere a tutti i casi – e donare un sostegno alle famiglie.

Ringrazio inoltre don Giancarlo Iannotta e tutti i sacerdoti delle parrocchie del Lido: don Renato Mazzuia, don Cesare Zanusso e don Lucio Panizzon. E ringrazio i loro collaboratori, in particolare don Benedict.

Un ringraziamento sentito va alle nostre autorità: vi abbiamo sentito vicine! E credo che questo aiuti una comunità e un territorio. Non contano le difficoltà, conta il coraggio e la forza che avremo – soprattutto nei prossimi mesi – per voltar pagina, fare correzioni se necessario e far tesoro di questa esperienza, specialmente se ci sono state cose da mettere a fuoco per il futuro. Non parlo tanto di questioni locali ma della società occidentale che non ha messo l’uomo al centro.

L’omelia del Patriarca per la solennità della Sensa

Omelia del Patriarca Francesco per l'Ascensione, 24 maggio 2020, San Nicolò del Lido, Venezia.

Pubblicato da Gente Veneta su Domenica 24 maggio 2020

Sappiamo che l’uomo non vive di solo pane ma nel Padre nostro il Signore ci ha anche insegnato a chiedere: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. I mesi che ci stanno di fronte sono una sfida, affinché l’emergenza sanitaria non diventi emergenza economica e – Dio non voglia –  emergenza sociale!

Entro ora nella riflessione di questa domenica che – per noi veneziani – è la Sensa, cioè l’Ascensione del Signore. È una festa che fa parte della storia e della tradizione della nostra città di Venezia, della Venezia cristiana, della Venezia che è stata grande nel mare e sul mare. Quest’anno siamo costretti a vivela in tono minore, a causa di questa vicenda che ci ha segnato così profondamente non solo negli stili di vita ma perché, soprattutto, ci ha fatto riflettere.

Uomini, donne e comunità: in questi mesi tutti hanno riflettuto e – come ho detto – se sono emerse delle correzioni da fare, facciamole! Alcuni hanno messo in discussione un sistema a cui le nostre società occidentali si riferiscono e che esportano in tutto il mondo.

La festa liturgica dell’Ascensione del Signore, per il battezzato, è la sfida a camminare nella storia e, nello stesso tempo, a guardare e motivare ogni gesto ed azione con uno sguardo che va oltre e che sa andare oltre il tempo presente, sentendosi chiamato a vivere il tempo presente con ancor maggior impegno perché da esso dipende l’eternità. L’eternità non è il futuro; è qui, oggi, e la stiamo scrivendo in ogni giorno della nostra vita.

Ogni giorno il battezzato e la comunità cristiana si sentono profondamente inseriti nella storia: altro che religione come oppio dei popoli! Chi crede lo dimostra nell’oggi. E la storia non è mai il succedersi di fatti, di situazioni e di tempi che si susseguono a caso, in modo fatalistico e ineluttabile. Il fato appartiene alla cultura greca; non è un concetto cristiano, non è una realtà cristiana.

La storia appartiene in gran parte da noi. Certo, non tutto è nelle nostre mani ma qualcosa – e spesso molto di più di qualcosa – dipende da me, dipende da me e da voi, dipende da noi. La solennità dell’Ascensione è un richiamo importante, poiché – come cristiani – dobbiamo essere capaci di portare dei valori, capaci di portare una visione, capaci di portare un progetto di vita che non è solo personale ma anche sociale.

Richiamo ora due spunti della liturgia di oggi. Il primo è tratto dalla prima Lettura (At 1,1-11) e in particolare dalla domanda che gli apostoli rivolgono a Cristo, all’inizio del libro degli Atti: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». E Gesù, come abbiamo sentito, risponde: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti…» (At 1,6-7).

Noi tante volte certe cose non le facciamo perché vogliamo sapere il perché e invece il Signore ci dice: “Parti, le cose le capirai strada facendo”. Trovo che questa sia una filosofia di vita particolarmente adatta per i prossimi mesi. Non possiamo pretendere di sapere tutto. In nulla, per la verità, possiamo pretendere di sapere tutto; non è una vita umana quella che pretende di sapere tutto… La vita umana è partire con responsabilità.

Abbiamo, quindi, ascoltato negli Atti: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (At 1,7-8). Questo è il primo testo che voglio lasciarvi.

Ricavo il secondo testo dal Vangelo di oggi (Mt 28,16-20): «…io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (versetto 20). Ci crediamo a questa parola di Dio o no? Se la premessa è valida, ne tiriamo le conseguenze; se la premessa non è valida, ne dobbiamo tirare altre.

In queste parole di Gesù che abbiamo citato – sia dalla lettura degli Atti sia dal Vangelo secondo Matteo – prende forma il cristiano (e prende forma la comunità) che deve chiedersi prima di tutto: perché io opero? con che scopo opero? quali sono i valori attorno ai quali sto costruendo un progetto ed è un progetto degno dell’uomo immagine di Dio? Attenzione: è proprio questa la grande correzione che dobbiamo fare al modello sociale che finora abbiamo vissuto!

L’uomo – a prescindere da chi è e che storia ha, dai meriti e demeriti personali – resta sempre immagine di Dio. Ciò non toglie che la legge abbia il suo valore e vada rispettata; la legge deve avere una forza in se stessa, così come lo Stato è un potere che ha una sua legalità costituita e, certo, se le leggi non sono giuste lo Stato stesso diventa una conventicola di interessi personali…

Nella preghiera del prefazio – che il sacerdote compirà tra poco nella liturgia eucaristica – ascolteremo che Cristo è il Mediatore perfetto: «Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non si è separato dalla nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi» (dal Messale Romano).

Come viviamo l’attesa di questo momento in cui saremo anche noi con Lui? Cosa vuol dire essere battezzati? E un altro modo di porsi questa domanda è chiedersi: chi sono io nel mondo, cosa sono qui nel presente? Fanno pena e tristezza quelle persone che sognano un futuro che non sarà mai o che vivono in un passato che non tornerà più. Noi viviamo nel presente. Come costruire una realtà che sappia essere una realtà non ancora ultima? Perché prima o poi usciremo da questa vita; prima di noi e dopo di noi tutti usciremo da questa vita.

Come mettere le mani – in modo responsabile e onesto – per costruire una realtà penultima che sappiamo non è la realtà definitiva ma sappiamo che è quella in cui costruiamo la realtà ultima e definitiva? Quale visione, quale saggezza?

Troviamo una proposta in un testo che rileggevo in questo periodo di eremitaggio obbligatorio per tutti, un periodo in cui siamo stati tutti monaci, chiusi nelle nostre case… Vi consiglierei di leggerlo: è un testo del II secolo, di un anonimo, la “Lettera a Diogneto”.

Andate al capitolo X, sono capitoli molto brevi. Ci sono delle riflessioni belle e importanti, ve ne leggo alcune. Penso che possano dare il “la” e possano essere un’antifona per segnare la ripartenza dei prossimi mesi come cristiani. Già nel secondo secolo i cristiani avevano il progetto di essere significativi nella storia.

«Dio – scrive questo anonimo del II secolo – ha amato gli uomini e ha creato il mondo per loro, ha sottomesso loro tutte le cose sulla terra; a loro ha dato la parola e la ragione». Il nostro Occidente sta costruendo se stesso sulla ragione o ha abdicato alla ragione? Più vado avanti e più mi rendo conto che il problema non è credere o non credere, ma la ragionevolezza dei comportamenti.

Un altro punto: «Ad amarlo –  cioè ad amare Dio – diventerai imitatore della sua bontà e non ti meravigliare se un uomo può diventare imitatore di Dio. Non si è felici – sembra scritto oggi – nell’opprimere il prossimo, nel voler ottenere di più dai poveri, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori, in questo nessuno può imitare Dio». In questi atteggiamenti si è lontani da Dio!

Un ultimo punto sottopongo alla vostra attenzione: «Ma chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare l’inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per coloro che benefica, è imitatore di Dio».

Questo ultimo punto ci fa tornare con il pensiero a quanti – in questi ultimi mesi – hanno pagato con la vita per salvare gli altri. Vogliamo pregare allora per i 163 medici – io sono fermo a questo conteggio anche se, purtroppo, l’elenco si aggiorna quasi quotidianamente – che hanno lasciato la vita a causa del Covid-19. Erano anziani, giovani, di mezza età.

Diceva, appunto, l’anonimo del II secolo che chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare chi è in quel momento in difficoltà… diventa come un Dio per coloro che benefica. Ho sentito di medici che, alla fine, dicevano: «Ho potuto solo dare un piccolo segno di croce sulla fronte».

Ieri il telegiornale diceva che un parente ha scoperto solo adesso che un suo congiunto era stato sepolto perché gli è arrivato un numero dopo giorni di sepoltura… Non è cattiva volontà, ma è la situazione che molti medici e infermieri hanno vissuto. Tanti morti in queste settimane se ne sono andati nel silenzio, nel silenzio più completo. Anche i medici che si sono sacrificati se ne sono andati spessp in silenzio ed avevano anche loro una famiglia – “tenevano famiglia”, come si suol dire –  e magari avevano dei nipotini oltre che dei figli. Ma rimane il grido della loro testimonianza!

Anche nella professione medica – come in tante professioni – c’è un giuramento di fedeltà per coloro che, terminata la formazione, iniziano ad esercitare la professione. È il vecchio giuramento i Ippocrate – medico greco del IV secolo a.C. – aggiornato. Ad un certo punto i nostri medici giovani – appena “sfornati” – fanno questo giuramento nel quale è inserita anche questa frase: «Giuro di prestare soccorso nei casi di urgenza e di mettermi a disposizione dell’autorità competente in caso di pubblica calamità».

È a partire da questo esempio, da questa testimonianza, da questa fedeltà alla parola data e alla propria coscienza – che, alla fine, è la voce di Dio in ciascuno di noi – , è proprio guardando a questi medici e a tanti altri – volontari, autorità ecc- – che sono stati esemplari in questi mesi che tutti noi dobbiamo impegnarci nei prossimi mesi per costruire una società degna per il cristiano della Gerusalemme celeste dove oggi Gesù ci ha preceduto.

Secondo questo spirito, andiamo avanti con coraggio! Un popolo unito non deve temere nulla. Un popolo diviso deve temere anche il futuro più facile e semplice che gli si dispiega dinanzi. Buona festa della Sensa a tutti!