Mons. Peri: la storia non è ancora finita (1)

Mons. Peri: la storia non è ancora finita (1)

Non abbiamo ancora finito
Dopo Pasqua, lo sappiamo tutti e bene, nessuno ha più voglia di fare prediche e soprattutto di ascoltarne. Ne abbiamo le orecchie e le tasche piene, il cuore lasciamolo da parte, anche se spesso continuiamo a vivere come prima, come se nulla fosse veramente accaduto per noi. Io lo dico almeno per me. Passata la festa, è passato tutto, e resta la vita con la realtà di sempre. Non è un supplemento di predica e nessuno è invitato a fare questo sforzo: né di ascoltare e né di leggere.
Mi sono rimasti per strada, in testa e nel cuore, scampoli di pensieri, frammenti inutilizzati, spezzoni o pezzetti di una stessa storia, della stessa stoffa e non vorrei che io mi sia perso qualche passaggio, che in realtà non sarebbe dovuto proprio avanzare. Insieme non sono riuscito a cucirli in unità, sono lì a disposizione di chi pensa qualcosa o di chi, senza impegno, vuole continuare a pensare. Fanno parte della stessa storia e dello stesso tessuto. Forse, avrei dovuto buttarli, ma non sono riuscito a farlo. Ora, però, mentre vi parlo sento che pezzi di quella storia e di quei personaggi mi toccano tanto, anzi mi colpiscono fino ad inquietarmi, tanto li sento miei e soprattutto me. Sarebbe più comodo non considerarli, ma non mi sentirei vero o almeno sincero; quindi, lo faccio per me, senza cercare compagni di sventura, per consolarmi del mezzo gaudio o del male comune. Ormai di abbondonarli non lo posso e non lo voglio più fare, perché sono testimoni scomodi di quello che avrei dovuto fare o fare meglio. Sento che è un percorso che si può fare e si deve fare in solitario. Proverò, allora, a non sottrarmi.

Non sappiamo attraversare le notti
La notte che abbiamo passata dopo il calvario è stata da incubo: ci siamo asserragliati nell’unica stanza che ci conteneva tutti. Te lo ricordi? Era quella tutta addobbata per la festa di Pasqua, prima che le cose precipitassero improvvise e finissero peggio. Ci è scappato pure il morto. Il nostro Maestro, che consideravamo invincibile, è andato a finire sulla croce e dentro una tomba come tutti. Non c’era nessuna accusa vera e fondata, ma è bastato che qualcuno incominciasse a gridare “crocifiggilo” che tutti gli sono andati dietro e gli si sono rivoltati contro. Non c’è stato proprio nulla da fare. Non è proprio facile seguire il filo per ricostruire i fatti, e neppure è agevole ricordare come sono andate veramente le cose: ognuno ne ricorda un pezzetto, ma non riusciamo a metterli insieme come tasselli al loro unico posto. Chi si ricorda di una parola, di un gesto, dell’acqua, del grembiule, di piedi sporchi, di qualcuno che non voleva farseli lavare, salvo poi ad essere disponibile per il bagno intero. Ci ricordiamo di mani che si sono intrecciate in quell’unico piatto di tutti, e di un boccone particolare, che è volato per Giuda. Ci è rimasta scolpita l’immagine di qualcuno che, per capirne qualcosa, si è avvicinato al petto di Cristo per chiedere e sentirne il respiro ed il cuore. Lo fece per saperne e raccontarne di più, almeno di quelle cose che contano e non si vedono, che cerchiamo e difficilmente troviamo. Qualcuno, poi, è scappato via veloce, nessuno ha capito perché, per cosa e neppure per dove. Non c’è stato nulla da fare: è andato via senza pensarci due volte e senza salutare nessuno. Era Giuda, colui che teneva la cassa! Era già notte ma è voluto uscire ugualmente, nonostante quando si va nel buio si inciampi sicuro e ci si fa male davvero. È sceso di fretta e si è perso nella notte. Poveretto, era proprio così urgente? Non si poteva aspettare domani? Glielo chiederemo alla prima occasione.

Una notte che non era più notte
Da quel momento non ci abbiamo capito più nulla. Nessuno aveva più la testa alla festa. Ognuno aveva paura che, unita a quella di tutti, era veramente grande e forte. Quella sera anche il cibo e le coppe hanno girato al contrario, ce ne sono state di più e nessuno ha capito il perché. Solo Gesù sembrava aver chiara la scaletta da seguire, specialmente per i pezzi fuori programma; come quando prese il pane e lo benedisse, lo spezzò e ce lo diede da mangiare, dicendo di fare attenzione perché lì dentro c’era il suo corpo, c’era Lui. Come fece anche con la coppa del vino, che dopo averla pure benedetta, invitandoci a bere, ci disse che era il suo sangue, che per questo distruggeva il peccato e salvava tutti i peccatori.
Quella notte abbiamo fatto più cose e tante fuori programma, ma le abbiamo fatte senza averne capito di più. Nessuno ha avuto più il coraggio di fare domande, dopo che ognuno si era rasserenato perché il traditore c’era, ma non era lui. Il resto non lo ricordo. Gelosamente, però, custodiamo un suo imperativo, o come egli l’ha chiamato, “il suo comandamento” di amarci a vicenda ma come ha fatto lui con noi. A dire il vero, nessuno, ha capito un granché o perché. Ci proveremo a farlo in seguito. Per il momento abbiamo continuato a fare come prima e come sempre. È più facile! Ti ho raccontato di quella sala al piano superiore perché tutti, dopo la sua morte violenta, abbiamo pensato a quella per metterci in salvo.
Ognuno che è entrato ci ha messo del suo per meglio chiudere e sigillare la porta. La paura era tanta e dovevamo proteggerci: ricordo che tutto quello che abbiamo trovato e potevamo spostare, l’abbiamo messo a rafforzare e custodire quell’uscio.
Temevamo di essere stati scoperti e che sarebbe toccato a noi, e che da un momento all’altro sarebbero venuti a cercarci e ad arrestarci, e sarebbe stata la fine anche per noi. Non c’era bisogno di ricordare le immagini del Maestro arrestato, flagellato, deriso e giustiziato in croce senza pietà, perché ognuno le aveva orrende da sé. Ad ogni rumore della notte quell’angoscia si ripresentava e si ingigantiva. Ognuno aveva la sua, già bella e pesante da sé, e tutt’insieme ne avevamo una comune ancora più grande. Cercavamo di farci coraggio  a vicenda e di consolarci pure. Ognuno che accumulava un po’ di coraggio lo dava agli altri, ma subito finiva per tutti.

La consolazione non può finire
Qualcuno aveva proprio bisogno di essere consolato perché era sconsolato più di tutti, anche se tutti ci sentivamo in colpa, perché oltre la brutta figura e perderci la faccia, siamo stati proprio codardi. Abbiamo lasciato solo il Maestro al suo destino, siamo scappati pensando solo a metterci in salvo. Tutte le belle parole e le promesse solenni di coraggio e di esserci sono svanite nel nulla, peggio della neve sul fuoco. Abbiamo sbirciato solo la scena, ma senza mai scendere in campo quando era soprattutto necessario farlo e non dirlo. Non so se saremmo mai riusciti a cambiare gli eventi, ma saremmo stati diversi, sicuramente più vicini a quello che tutti gli avevamo giurato. Invece, no! dal primo all’ultimo, da Giuda che è scappato per primo, fino a Pietro, la nostra bandiera, il più battagliero e coraggioso di tutti, poi solo a parole, abbiamo fatto tutti la stessa figura, siamo andati lontano con la coda tra le gambe, senza provare ad osare e resistere un po’. Ci dicevamo di accettare la sconfitta, e ce lo ripetevano l’un l’altro per farci coraggio, e tutti insieme lo ripetevamo soprattutto a Pietro, che più di tutti non riusciva a darsi pace: lo aveva rinnegato addirittura tre volte. Quel canto stridulo del gallo, con cui Gesù l’aveva messo in guardia, gli rimbombava nelle orecchie, ma il suo rinnegamento gli batteva sul cuore e gli faceva male davvero, mentre il rimorso lo schiacciava da dentro. Non si dava pace per come era caduto, proprio come una pera matura al primo vento assolutamente leggero. Subito a terra e sopraffatto, ancor prima di avere iniziato a combattere.

Quando le serve non servono e ci servono
Quella notte è bastata una serva, di quelle che in tempo ordinario non contano e non pesano nulla, ma che appena ha visto Pietro l’ha subito beccato con la sua inopportuna domanda: Tu non appartieni ai suoi discepoli, non sei uno di loro? Una domanda così a bruciapelo in quel concitato momento non se l’aspettava. E non c’era tempo per pensare e riflettere: si andava di corsa e la situazione stava precipitando. La serva era lì, piantata davanti a lui, senza altre domande di riserva, solo ad aspettare la risposta, quella che già per lei era scontata e sicura. Neppure Giovanni si dava pace e spiegazione per quello che era accaduto. Lui nel pretorio era conosciuto, a quella serva l’aveva presentato e pure raccomandato, per farlo entrare e riscaldare al fuoco comune. Ora, però, impettita era lì davanti a lui, non lo lasciava passare e aspettava solo che le rispondesse. Pietro, nell’imbarazzo, anziché dire Sì, lo conosco, disse subito: No! Aggiungendo pure che non lo conosceva e non sapeva neppure di chi stesse parlando. Il tutto sarà durato un minuto, non più. La serva andò per la sua strada e Pietro rimase impietrito un po’ di più, prima di riprendersi, di rientrare in sé stesso e rendersi conto di che cosa non avesse combinato. Non era ancora finito. Un’altra serva, anche lei agguerrita come e più della prima, bruscamente chiede a Pietro da che parte stesse, perché sicuramente anche lui era seguace di quell’ammirato Maestro, che tutti prima avevano osannato e che ora abbandonavano al suo ignobile e scandaloso destino. Pietro ebbe il tempo di chiedersi se l’avesse scritto in fronte che veniva dalla Galilea, che la serva l’aveva già preceduto ed era andata avanti: Sicuramente sei dei suoi, il tuo accento ti tradisce! Sei arrivato a Gerusalemme, ma non ci sei nato. Anche questa volta non ebbe il tempo di pensare, di pensarci, e tanto meno di fare tesoro della risposta precedente, perché era già lì a scongiurare che non lo conosceva davvero, non sapeva chi fosse.

C’è un gallo che canta per noi
Questo valse per Pietro immediatamente come un lasciapassare, ma durò poco, non era ancora finita, ancora un’altra serva con la stessa domanda. Nella confusione più totale, Pietro fece più in fretta a rispondere che a capire, ma anche questa volta continuò a scongiurare e giurare che egli con quell’uomo non c’entrava proprio nulla. Ormai ogni argine era stato rotto ed ogni ritegno superato. Aveva toccato quel fondo, al quale non aveva mai pensato di toccare.
Non ebbe il tempo ti tirare un respiro di salvezza, che quel maledetto gallo era lì pronto a cantare di nuovo e a ricordargli il suo inganno e la sua meschina caduta. Il gallo cantava per la seconda volta ed egli era stato anche più veloce del gallo, l’aveva già rinnegato tre volte. Come è potuto accadere? Non si dava pace o spiegazione. Eppure riandava alla sua promessa con cui aveva giurato a Gesù che era disposto a morire piuttosto che ad abbandonarlo. Ripensandoci, anche dopo tutto quello che l’aveva smentito, sentiva che non gli aveva mentito.
Non si sapeva e non si poteva consolare.  Gli altri discepoli per incoraggiarlo ed aiutarlo, gli ricordavano che almeno lui si era esposto, si era avvicinato anche se non ce l’aveva fatta; e, comunque, aveva incontrato lo sguardo del maestro, ricevendo con questo il pianto ed il perdono. Loro, invece, neppure quello, non ci hanno nemmeno provato. Visto il pericolo sono scappati via, e non si sono più fatti vedere.

Non sappiamo abitare il giardino
Mentre eravamo angosciati per quella notte di morte, quella del venerdì santo, in cui null’altro era accaduto se non inganno e violenza, sangue e dolore, strazio e morte, tutti ammucchiati e concentrati nel buio feroce del Golgota, pure con la fretta di fare veloce per chiudere tutto e fare la festa, noi pensavamo all’altra notte da incubo: quella del giovedì santo. Infatti, che cosa non era accaduto, nel momento in cui era accaduto di tutto, anche la morte del nostro Maestro e Signore? Gesù dopo quella Pasqua diversa e quella cena insolita al piano superiore, era voluto andare nel giardino degli ulivi e noi tutti l’abbiamo seguito. Era un posto familiare per tutti e Gesù lo riteneva anche sicuro. Non quella notte, però. C’erano tutti e accadde di tutto. Come se tutti l’avessero scelto o si fossero dato appuntamento. Egli per primo si scostò da noi, quanto un tiro di sasso per pregare il Padre suo. Ci chiese di vegliare almeno un’ora e di accompagnarlo e sostenerlo in quella faticosa preghiera. Cosa che sostanzialmente nessuno è riuscito a fare. Giusto il tempo di sentirlo angosciato, di sentirlo gridare al Padre suo che il calice era troppo amaro. Mentre lo vedevamo sprofondare sempre di più nell’angoscia, profondamente sopraffatto dal dolore l’abbiamo visto grondare sangue. Abbiamo avuto il tempo di sentire che alla fine pregava e si rimetteva fiduciosamente a Dio: “Padre non la mia ma la tua volontà sia fatta”. Ricordiamo che si avvicinò di nuovo a noi, ma solo per dirci che potevamo continuare a dormire, tanto ormai tutto aveva preso il suo cammino. La pesantezza del nostro sonno, con un senso di liberazione, ci tirò fuori da quello che accadde intorno e dormimmo profondamente. Il rimorso l’abbiamo ora, ma ieri notte quel sonno ci sembrò un premio ed un ristoro.

Quando sappiamo solo fuggire
Non so quanto abbiamo dormito perché ci siamo svegliati all’improvviso. Il frastuono che accadde intorno ci riportò alla realtà dalla quale per un po’ eravamo scappati: d’un colpo ci siamo ritrovati nel fracasso, tutti dentro la stessa scena. Peccato che, invece, era realtà e dramma.
Con nostra sorpresa ci trovammo anche Giuda, che avevamo perso, vedendolo misteriosamente sparire nel nulla. Egli sprecò il suo ultimo bacio per il suo Maestro: un gesto che, di fatto, lo consegnò ai suoi nemici. Noi non lo capimmo subito perché il Signore gli si era avvicinato confidenzialmente e gli aveva pure chiesto: “Amico, che ci fa qui, perché sei venuto?”.
Ce ne siamo resi subito conto, quando vedemmo spuntare le guardie e mettergli le mani addosso; non abbiamo avuto il tempo di chiederci cosa stesse accadendo che già l’arresto era avvenuto. Qualcuno reagì d’istinto e si incominciò a menare sul serio. Noi non lo sapevamo, ma Pietro si era portato la spada, che estrasse subito e con un colpo staccò l’orecchio al primo servo che gli capitò davanti. Ancora il suo coraggio non l’aveva abbandonato! Si preparava a colpire di nuovo, quando Gesù, precedendolo, lo invitava a rimettere la spada nel fodero, prima di ferire e di perire di spada.
Tutto si fece più concitato e tutti fecero tutto. Nella fretta di esserci, un tale non si era neppure vestito, ed era arrivato avvolto solo nel suo lenzuolo. Un soldato tentò di afferrarlo, ed egli, per salvarsi, gli lasciò in mano il lenzuolo e scappò nudo perdendosi nel buio e tra gli alberi. Presto tutti abbiamo avuto la sensazione che quella notte non c’era nulla da fare, che le cose sarebbero andate male per tutti e anche o soprattutto per Gesù. Infatti, da lì a poco dopo qualche altra fase concitata di lotta, l’abbiamo visto legato in mezzo ai soldati che lo portavano via con le fiaccole nel buio degli alberi e della notte.