Verso Pentecoste: Sapienza, cristiani che “sanno di buono”

Verso Pentecoste: Sapienza, cristiani che “sanno di buono”

Riscoprire in noi i doni dello Spirito Santo, sapendoli riconoscere nella nostra vita e nelle persone attorno a noi, proprio in questo tempo difficile e doloroso. Ci aiuterà in questa nuova rubrica che offriamo ai nostri lettori la professoressa Assunta Steccanella (nella foto), docente di Teologia pastorale alla Facoltà Teologica del Triveneto, formatrice di catechisti e autrice di articoli e testi, tra cui “Alla scuola del Concilio per leggere i «segni dei tempi»”.
Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22). Il dono di Gesù ai suoi – a noi – la domenica di Pasqua dischiude un tempo nuovo, nel quale tutti insieme camminiamo verso le porte spalancate di Pentecoste: sospinti dal soffio del Suo “Spirito, impareremo a lasciare che ci conduca fuori dalla paura e dallo sconforto. I sette doni dello Spirito Santo sono la formula con la quale (sulla base del testo di Is 11,2-3) la Tradizione della Chiesa ha cercato di descriverne la fecondità nella vita dei credenti. Sono doni che tutti riceviamo: esserne consapevoli è il primo passo per renderli fruttuosi. Sapienza Nel linguaggio comune, di solito si parla di sapienza in riferimento alla facoltà di chi è saggio e conosce molte cose. In realtà la parola contiene in sé due sfumature particolari, che possiamo scoprire andando alla sua origine. Il temine deriva dal latino sàpere, che indica sia sentire sapore che avere sapore.
Attingere al dono della sapienza, che continuamente si rinnova in noi attraverso i sacramenti, significa allora, a un primo livello, essere in grado di sentire il gusto vero della vita, riconoscendo il buono lì dove si fa presente e distinguendo ciò che la avvelena e la distorce, anche se al primo impatto può sembrare dolce e stuzzicante. È questa una grande forma di saggezza, capace di indirizzare le scelte e l’agire quotidiano verso ciò che davvero è bene per noi e per le nostre relazioni. In questa disposizione interiore diventa vero il secondo significato del dono della sapienza: scoprendo ciò che davvero dà sapore alla vita, diventiamo a nostra volta persone piene di sapore. Essere persone che hanno sapore (e non insipide: cf. Mt 5,13) significa essere in grado di offrire ai fratelli l’aroma della propria esistenza, il gusto delle proprie idee, dei propri affetti e delle proprie scelte; significa scoprirsi capaci di trasformare in meglio la
realtà, a partire dal quotidiano, consapevoli che così contribuiamo a far crescere il mondo secondo il sogno di Dio. Quanta sapienza, quanto sapore hanno oggi, le vite di medici, infermieri, operatori sanitari, inservienti, commessi di supermercati, operai e tutti coloro che lavorano per garantire a ciascuno il bene di ogni giorno, anche a rischio del proprio? E quanta sapienza c’è nel riconoscerne il grande valore, finalmente slegato dalla dimensione economica che è stata per troppo tempo il più importante criterio della nostra valutazione? Quanta sapienza mostra chi, rinchiuso tra le mura di casa, si sforza di creare un ambiente sereno, per sé e i propri cari? E quanta
sapienza esprime chi questa fatica è capace di riconoscere, senza darla per scontata? Quanta sapienza c’è nell’imparare a ringraziare? E che buon sapore hanno relazioni vissute nel segno della gratitudine? Un cristiano è sapiente, «sa di buono» e «sa riconoscere il buono» dove si manifesta, anche tra le pieghe più amare del quotidiano, perché vive e guarda il mondo con gli occhi di Gesù Risorto. Spirito di Cristo, donaci la sapienza.

Assunta Steccanella, docente di Teologia pastorale alla Facoltà Teologica del Triveneto

Fonte: La Vita del Popolo