“Con questa ‘allerta sanitaria’ un altro ‘tsunami’ si abbatte sulle nostre comunità ecclesiali e sociali, già duramente provate dalla tragedia del terremoto. Anche questa volta vi è chiesto di stare, in piedi e con coraggio, sulle postazioni avanzate che fronteggiano questa nuova calamità. Al dilagare del devastante contagio opponiamo la barriera evangelica della preghiera (anzitutto eucaristica) e della penitenza”. Con queste parole il card. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita di L’Aquila, si rivolge ai sacerdoti della diocesi in una lettera diffusa oggi. “Siete consapevoli – dice l’arcivescovo – che il vento dell’ansia soffia forte, e può scatenare tempeste emotive. Si moltiplicano la fatica e lo stress: causati da una tensione alta e continua. I segnali di allarme arrivano da tutte le direzioni: nessuno può sentirsi totalmente al sicuro”. L’esposizione al rischio-contagio e le restrizioni, “emanate giustamente dalle Autorità competenti”, possono, per il cardinale, “approfondire la consegna fiduciosa alla Provvidenza, ma possono pure moltiplicare l’indice di reattività abrasiva o di avvilimento sconfortato”. “In questa condizione di apparente stasi ministeriale – rimarca Petrocchi – siete chiamati a impiantare una nuova edizione della pastorale dell’emergenza e a riscoprire la forza della intercessione: la figura di Mosè sul monte deve essere centrale nelle nostre giornate. La vittoria viene ottenuta dalle ‘braccia alzate’ dell’uomo di Dio, su una altura, in una posizione elevata ma isolata, mentre la battaglia si combatte in pianura, a grande distanza. Anche noi, in questi giorni, attraversiamo il deserto, sicuri che proprio dentro le aridità e nella povertà Dio ci parla e si manifesta”. L’arcivescovo dell’Aquila esorta i suoi sacerdoti a “convergere sulla preghiera fatta come ‘Noi-Chiesa’, anche se fisicamente distanziati, poiché abbiamo la certezza che il Signore ascolta ciò che chiediamo uniti nel suo Nome”. “Queste potature ci spingono a riscoprire il primato della vita interiore, nella convinzione che proprio le attese recise possono generare nuove forme di vitalità pastorale”. Ecco perché, conclude, “oltre a rilevare con saggia obiettività i problemi, dobbiamo domandarci quali sono le buone sorprese che il Padre celeste ci riserva. Vi raccomando di incrementare la sollecitudine fattiva verso gli indigenti e i bisognosi, avviando o potenziando catene di solidarietà”.