In questa domenica dell’Ascensione, la liturgia propone di ascoltare l’ultima pagina del Vangelo secondo Matteo. A ben vedere, il Vangelo non riferisce del momento in cui Gesù lascia i discepoli per salire al cielo – il racconto si interrompe un attimo prima – ma i paralleli di Marco e Luca portano a interpretare in tal senso tutto l’episodio. È la prima volta che i discepoli vedono il Risorto e, come negli altri Vangeli, anche in Matteo la gioia e l’adorazione si mescolano al dubbio, a indicare l’assoluta novità che la risurrezione rappresenta, difficile da riconoscere anche per i più intimi seguaci di Gesù. Una tale convivenza di sentimenti contrastanti, di fede e di incredulità, lascia intendere che la relazione con il Risorto non è fatta di un singolo atto, ma è un processo lento e laborioso.
Interessante è anche il luogo dell’incontro: il monte in Galilea. Tutto si conclude là dove era iniziato. La Galilea è la terra in cui i discepoli sono stati chiamati per la prima volta, è la terra dei miracoli e degli insegnamenti; il monte è il luogo del primo importantissimo discorso di Gesù e della trasfigurazione. In tal modo un cerchio si chiude, e allo stesso tempo un cammino si apre: il Signore saluta per sempre, su questa terra, i suoi, e gli apostoli iniziano la loro missione. E infatti, le parole di Gesù indicano un compito chiaro: andare, insegnare, battezzare. È il compito che dà origine alla missione della Chiesa, fino ad oggi. Una missione senza confini, perché «tutti i popoli» devono essere raggiunti, e con radici ben piantate: è la vita e l’insegnamento di Gesù che bisogna proclamare. Loro, i discepoli, devono ora «fare discepoli» altri, secondo un chiaro passaggio di consegne (sapendo bene, però, che i nuovi discepoli affidati agli apostoli rimangono sempre discepoli dell’unico maestro)….